L’amorale del 5 in condotta



Riportiamo un pezzo dell’eccellente Ilvo Diamanti, curatore della rubrica “Bussole” sul quotidiano “La Repubblica”. L’articolo è di giugno 2009.

Finito l’anno scolastico, arrivano le pagelle e gli esami. Con alcune importanti novità, dopo anni e anni durante i quali il passaggio da una classe a quella successiva avveniva in modo quasi automatico. Pochi voti, molti giudizi. E poi crediti e debiti. Da saldare con corsi di recupero più ipotetici che reali.
Quest’anno si assiste a una brusca sterzata. Il percorso scolastico sembra all’improvviso tornato più aspro. Quasi come un tempo. (Quasi). Quando le bocciature o i rinvii ad ottobre erano frequenti. Lo ricordano bene quelli della mia generazione. Quelli del Sessantotto, che avevano protestato “anche” contro la selezione, considerata rigorosamente e rigidamente classista. (Lo è anche oggi, ma si riflette nella scelta dell’indirizzo e soprattutto dopo, nel lavoro). Ci si opponeva contro la bocciatura in sé, prescindere: perché “promuovere” – nel senso di insegnare, sostenere, ridurre le disuguaglianze – era il compito della scuola. Come recitavano Don Milani e gli allievi – divenuti a loro volta maestri – della scuola di Barbiana. Ebbene, da quest’anno Barbiana è più distante. Nel tempo e nella memoria. Il numero dei bocciati quest’anno pare in aumento.
Dalle proiezioni su un campione di scuole, si parla di circa 380 mila studenti, pari al 15,4% nel complesso. Anche la cifra dei non ammessi agli esami di maturità sembra aver sfondato ogni record. Il 6% sul totale, circa 28 mila giovani. Si assiste, peraltro, anche se al proposito non vi sono ancora cifre, a una crescente sensibilità al voto in condotta. In generale, spinto verso il basso. D’altronde, se si va sotto il 6 è prevista la bocciatura oppure la non ammissione agli esami.
È una sorta di marchio di fabbrica del governo e in particolare della ministra Gelmini. Dolce di aspetto, ma dura e inflessibile nelle scelte e nel linguaggio. Insieme a Brunetta e Maroni – che tuttavia interpreta il messaggio securitario della Lega – la più rappresentativa esponente del governo. Perché indica una cultura, oseremmo dire: un’ideologia. Fondata sul rigore. Un Sessantotto alla rovescia. Una marcia con gli occhi rivolti al passato. Per riportare il futuro prima di quella “frattura storica”. Anche se c’è molto mito in questa rievocazione. Perché ai tempi nostri, ben prima del Sessantotto, a fine anni Cinquanta, quando io frequentavo le elementari, il voto di condotta era l’ultima delle preoccupazioni. Anzi: prendere 10 in condotta era quasi un segno spregiativo. Perché marchiava i “buoni buoni”. (Nell’argot veneto: “un poco mona”). Quelli che non parlavano, non copiavano e non facevano copiare. Il 10 in condotta toccava, non a caso, perlopiù alle bambine e alle ragazze. Alle donne. Abituate alla disciplina, per ruolo sociale e familiare. L’insufficienza in condotta, peraltro, veniva adottata in casi estremi. Per punire i giovani teppisti. Quelli che le maestre e i professori non riuscivano proprio a contenere. Quelli che picchiavano i compagni e insultavano le maestre e i professori. Quelli, infine, che inanellavano più assenze che presenze. Insomma: i devianti.
Rispetto a un’idea di condotta che richiamava il rispetto dell’autorità e della disciplina. Esattamente ciò che teorizza la ministra quando sostiene che “l’aumento delle bocciature sta a significare il ritorno ad una scuola dell’impegno, ad una scuola del rigore, ad una scuola che prepara i ragazzi alla vita”. Appunto: la scuola del “rigore … che prepara i ragazzi alla vita”. Che insegna e indica loro la linea di condotta da seguire. Appunto. Ma i modelli, i valori e le regole in base a cui orientare la condotta, chi li dà? Chi li esprime? Chi li interpreta e chi li propone? La scuola da sola? I professori e i maestri da soli? La scuola. A quale vita e a quale modello di società dovrebbe educare i ragazzi? A quali stili di vita, a quali linguaggi? Secondo quali valori? Oggi, in fondo, conta apparire. Comunque e in ogni modo. Apparire. Veline o amici, famosi o sedicenti tali. E per apparire devi scandalizzare, fregare gli altri, sfidare e schiantare il senso del “pudore” (una parola perduta, come tante altre). Se vai a un dibattito, devi insultare chi ti sta vicino, magari aggredirlo, lanciare minacce e usare il turpiloquio. Devi esibire in pubblico il tuo privato. Meglio se ascoltano le tue comunicazioni personali. Se sei un impotente (se invece sei un potente allora non ti possono intercettare). Perché questa società è tutta piegata a spiare dal buco della serratura. E le tecnologie della comunicazione – cellulari, videofonini, internet, you tube, social network – offrono a tutti infinite opportunità “private” di adeguarsi a questo imperativo. La scuola che boccia di più, che eleva il voto in condotta come simbolo del ritorno al rigore educativo appare, per questo, quanto meno singolare. E un po’ ipocrita. D’altra parte, coloro che dovrebbero trasmettere il messaggio educativo, gli insegnanti : i maestri, i professori, siano puntualmente apostrofati e stigmatizzati da autorevoli membri del governo come “fannulloni”. Incapaci. Impreparati. Come pretendere di possibile affidare agli insegnanti – poveri sfigati che si smazzano per uno stipendio modesto e pensano che un cellulare sia un telefono portatile – nientemeno che la “cura morale” delle giovani generazioni? La loro “educazione”? Il loro futuro?
Anche la pretesa di affidare agli insegnanti un ruolo esemplare – e un messaggio esemplare: educare è punire. Fa sorridere un poco. Nessuna punizione può davvero preoccupare quando è comminata da figure che hanno perso autorità. Quando le vittime delle punizioni esemplari sono spalleggiati e protetti dai genitori. D’accordo sul rigore solo quando viene esercitato sui figli altrui. Per questo il ritorno del rigore, dell’inflessibilità, suscita molti dubbi. Deve aver suggerito prudenza anche ai filosofi che hanno ispirato questo disegno, ai tecnici che l’hanno tradotto in legge. Come, in fondo, suggerisce il cambiamento subito dal metro di misura adottato, rispetto a un tempo. La soglia critica, che produce la bocciatura, è il 5 di condotta. Ai miei tempi bastava il 7. Il limite è stato, quindi, abbassato. Per realismo. Un realismo, tuttavia, ancora irrealista. Perché se la scuola dovesse aiutare davvero i ragazzi ad affrontare la vita, come afferma la ministra Gelmini, il valore del voto di condotta andrebbe rovesciato. Occorrerebbe, cioè, bocciare ed escludere dagli esami non gli studenti che ottengono meno di 6 in condotta ma, al contrario, quelli che superano il 5.
Perché loro, più degli altri sono coerenti con la condotta e con l’amorale pubblica del nostro tempo.

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