Il terremoto e l’aziendalizzazione della solidarietà



Il terremoto e l’aziendalizzazione della solidarietà

ROMA – Non è tempo per le polemiche, d’accordo. Al limite, ma proprio al limite, si può solo ipotizzare che a L’Aquila qualcuno ha messo non "sacchi di sabbia sotto alla finestra", come cantava Lucio Dalla in una celebre canzone ma, cosa ben più grave, nelle fondamenta di ospedali, case degli studenti e uffici pubblici. E che, ma proprio al limite, altri sapevano e hanno fatto finta di nulla. Mentre in edifici senza autorizzazioni si continuava a vivere. E soprattutto a rischiare. Speriamo che l’efficientismo dell’emergenza non venga meno nell’individuare le gravi responsabilità macchiate di sangue innocente.
Che dire: straordinario l’impegno delle migliaia di operatori e volontari che hanno riesumato vite e sepolto ricordi di ritardi e inefficienze di precedenti emergenze; palpabile la solidarietà nazionale, dove a sbriciolarsi, stavolta per fortuna, sono i confini e i preconcetti geografici; esemplare la reazione "dignitosa" (finalmente abusiamo di un bell’aggettivo) del popolo abruzzese "forte e gentile" e dei suoi riservati simboli culturali; enorme l’attenzione mediatica, con qualche sbavatura nella spettacolarizzazione della tragedia e del dolore o di qualche inevitabile passerella. Insomma, la memoria collettiva incassa un’immagine di puntualità e di efficienza, che fa indubbiamente onore – una volta tanto – al nostro Paese.
Indigniamoci pure, allora, per Santoro che stavolta, a quanto pare, l’ha fatta grossa: abituale, per lui, partire con una tesi e calcarci la mano. Polemista e faziosetto. Ma avrebbe fatto meglio a fermarsi sui dubbi per il cemento, lasciando perdere quelle minime percentuali che fisiologicamente non sono andate per il verso giusto. Ma dal Belice, da Vermicino e dall’Irpinia per fortuna ne è passato di tempo.
Tuttavia, anche qui, fatti i complimenti a chi di dovere, permetteteci qualche considerazione un po’ fuori dal coro.
Innanzitutto sulle diversità evidenti. Cioè su quelle differenze, per quanto pretestuosamente celate, che stanno caratterizzando, per occhi attenti, questo post sisma. Difformità che non costituiscono più un fattore di arricchimento sociale ma purtroppo di drammatica frattura in questo nostro Belpaese.
Da una parte la semplicità decorosa e pragmatica della gente d’Abruzzo, che equivale all’umanizzazione del dramma, all’interiorità del dolore, all’armonia con la terra, al legame indissolubile con i valori antropici. E dall’altra, in forte contrasto, un esercito di osservatori e analisti televisivi appiattiti nella stancante e logorroica prevedibilità e nell’ossessiva ostentazione. Differenze anche fisiche tra un mondo ordinario, comune e naturale e uno sempre più artificiale, secolarizzato e autoreferenziale.
Altre differenze di tipo verticale. Alla base, le migliaia di volontari dalle facce sporche di polvere, operatori instancabili nell’offrirsi agli altri con sacrificio, nel vivere l’aiuto come missione, nell’affrontare maratone di lavoro per alleviare le sofferenze altrui, per assistere anziani e infermi, per garantire pasti caldi e coperte. Di contro, occorre dirlo, organismi di appartenenza che "istituzionalizzando" la solidarietà continuano ad essere al centro di polemiche, scalfiti da statuti e da gestioni discutibili, degradati da deficit stratosferici frutto della gestione "allegra" di vari commissari e di dirigenti con lauti stipendi da molti zeri, di assegnazioni d’urgenza, senza quindi alcun bando e gara d’appalto, di scandali clamorosi che ne hanno scalfito l’immagine, come quello della Missione Arcobaleno del 1999. Legittima qualche preoccupazione di fronte a questi nuovi flussi di denaro.
Ci sono poi altre differenze, soprattutto di metodo, che riguardano beneficenza e pratiche assistenziali. Da una parte la miriade di raccolte di denaro, dove non c’è mai chiarezza tra lordo, netto e tara, dove non manca l’aziendalizzazione dell’impegno sociale (è un continuo di comunicati stampa per informare che la tale azienda ha fatto partire una raccolta per l’Abruzzo, naturalmente con il proprio marchio ma con i soldi dei propri clienti) e dove, in sostanza, l’intervento standardizzato tende a disperdere il valore imprescindibile della gratuità. Dall’altra parte, invece e per fortuna, chiari e specifici progetti in loco, sul territorio, in microaree. Puntualmente rendicontati. Affinché l’Abruzzo non diventi l’ennesima Irpinia.

(G.C.)

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