
Le drammatiche immagini dell’inseguimento e dello speronamento a Milano dello scooter a bordo del quale sfrecciavano Fares Bouzidi, 27 anni, e Ramy Elgaml, 19 anni, incidente che purtroppo ha causato la morte di quest’ultimo, stanno costituendo il pretesto, per alcuni esponenti politici, per sostituirsi alla Magistratura e soprattutto per infangare l’Arma dei Carabinieri con dichiarazioni perlomeno frettolose e superficiali. Nel contempo scene di guerriglia metropolitana, in risposta alla morte di Ramy Elgaml, rinnovano l’odio verso le forze dell’ordine da parte principalmente di esponenti dei centri sociali e della sinistra antagonista, come avvenuto a Roma e a Bologna nelle ultime ore.
Ovviamente non si parlerebbe di questo “caso Ramy” se l’operazione compiuta dalla volante Volpe 60 (con altre due pattuglie lanciate all’inseguimento) non avesse comportato la morte di un ragazzo, cosa sempre deplorevole. Crediamo, però, sia necessaria qualche riflessione.
Innanzitutto, se sul piano giudiziario c’è chi richiama il sacrosanto principio di “proporzionalità” (alla base della civiltà giuridica) tra un inseguimento e la tragedia finale, è la stessa legge a fare però chiarezza: l’articolo 53 del Codice penale recita che “non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza”. Nel caso in oggetto ci sembra siano palesi sia la resistenza sia il mezzo di coazione fisica.
La Cassazione, da parte sua, ha ritenuto proporzionati perfino gli spari quando i fuggitivi mettano a repentaglio l’incolumità o la vita delle persone, anche attraverso manovre spericolate. Nei filmati diffusi in queste ore, realizzati dagli stessi carabinieri, lo scooter Yamaha T Max da 11 mila euro guidato da Fares Bouzidi corre a velocità inaudita per alcune strade molto trafficate di Milano, per quanto a notte fonda. Zigzaga tra autoveicoli, passa con il semaforo rosso, sfiora vetture parcheggiate. E lo fa, secondo le ricostruzioni, per ben otto chilometri e per venti minuti. Quali tragedie avrebbe potuto causare, ad esempio investendo passanti o lavoratori notturni?
Inoltre il mezzo ha forzato un posto di blocco, sottraendosi quindi ai controlli ed alimentando ovviamente sospetti sui due ragazzi a bordo, dalla “veniale” mancanza di patente fino all’ipotesi di essere terroristi internazionali o altro. Le forze dell’ordine esistono proprio per questo, per neutralizzare pericoli e per onorare quel “contrattualismo hobbesiano” in cui il cittadino rinuncia a parte delle proprie libertà e delle proprie ricchezze a favore dello Stato, per ottenerne in cambio protezione e sicurezza.
C’è poi l’aspetto deontologico: i carabinieri non avrebbero potuto utilizzare altre strategie, come ha osservato qualcuno? No, perché i militi che hanno inseguito quei due giovani che non si sono fermati all’alt hanno compiuto esattamente il proprio dovere. Non potevano far altro. Se non l’avessero fatto, avrebbero omesso la loro funzione.
Certamente vanno condannate alcune parole pronunciata dai tutori dell’ordine durante l’inseguimento, ad esempio l’augurio della caduta dei due ragazzi, o i tentativi di occultare prove (se ci fossero stati), ma vanno comunque inseriti in momenti altamente concitati.
Se si continua a delegittimare il sempre più difficile operato delle forze dell’ordine, sfiduciate essere stesse dalla condizioni in cui operano (si pensi all’ormai costante subire lancio di ogni cosa nelle manifestazioni di piazza per 1.400 euro di stipendio al mese), arriveremo al punto che anche il comparto sicurezza farà la fine dell’istruzione scolastica o della sanità, con i privati che suppliranno sempre più all’apparato pubblico? E vedremo comuni cittadini organizzarsi da soli per contrastare la crescente microcriminalità, come sta già avvenendo nelle metropolitane delle nostre grandi città?
(D.M.)