Pnrr, il Sud rischia di perdere il treno

Raffaele Fitto, ministro per Affari europei, Pnrr, Sud e Politica di coesione, quindi il principale responsabile della gestione del Pnrr, nei giorni scorsi ha manifestato timori sull’eventualità di non riuscire ad utilizzare le risorse in tempo utile. Cioè rendicontate entro giugno 2026.

La sua dichiarazione, confermata da esponenti della Lega e di Forza Italia (il capogruppo leghista alla Camera, Riccardo Molinari, è arrivato ad ipotizzare di “rinunciare a una parte dei fondi a debito”), ha scosso l’intero apparato politico-amministrativo e tanti esponenti della società civile, accentuando le preoccupazioni. C’è consapevolezza, infatti, che il Pnrr sia un’opportunità che non può essere sprecata: si lascerebbe invariata, di conseguenza, la tendenza del nostro Paese verso il declino e la marginalità.

Fitto in queste ultime ore ha compiuto una parziale retromarcia, accogliendo volentieri, a nome del governo, l’invito a riferire in Parlamento sullo stato di attuazione del Pnrr.

Per capire come stiamo messi, cioè l’attuale stato di attuazione delle misure, è utile il servizio di OpenPolis con le percentuali di completamento degli investimenti nei singoli settori. Mediamente siamo al 27,93%, quindi i ritardi ci sono. Le differenze tra i settori, però, sono rilevanti. Se la Giustizia è al 74,55%, Impresa e lavoro al 42,79% e Inclusione sociale al 37,18%, a scendere troviamo Digitalizzazione al 35,58%, Salute al 34,59%, Cultura e turismo al 30,17%, Infrastrutture al 23,81%, Transizione ecologica al 18,74%, Scuola, università e ricerca al 17,71%.

Va detto che ad alzare quelle percentuali è stato soprattutto il patrimonio progettuale che le Ferrovie dello Stato già avevano pronto nei cassetti.

La distanza tra le varie materie non è fatta solo di fredde percentuali. Infatti a presentare le maggiori criticità sono proprio quei settori a cui è destinata la più rilevante quota delle risorse (che in totale ammontano a 235,12 miliardi per 358 misure e submisure, di cui 66 riforme e 292 investimenti): il macro tema delle infrastrutture, in mano all’omonimo ministero, con 54,7 miliardi di euro e 72 misure, cioè oltre un quinto del totale delle risorse, e quello della transizione ecologica con 33,1 miliardi e 41 interventi, responsabile il ministero dell’Ambiente. Va ricordato, inoltre, che la maggior parte delle risorse è costituita da prestiti per 122,6 milioni di euro, poi ci sono le sovvenzioni per 68,9 milioni, quindi i fondi dello Stato italiano per 30,62 miliardi.

Qualche esempio? Il progetto da 110 milioni “Nodes – Nord Ovest Digitale e Sostenibile”, finanziato dal ministero dell’Università e della Ricerca nell’ambito del Pnrr, mira ad accelerare la transizione ecologica e digitale per assicurare maggiore competitività, anche sul trasferimento tecnologico e sull’innovazione di prodotto, alle nostre imprese. E cosa rischiamo di perdere? L’allarme degli industriali di Brescia riguarda i percorsi degli Istituti tecnici superiori e la Cittadella dell’Innovazione sostenibile.

La domanda è d’obbligo: perché rischiamo di perdere anche questo treno?

Dai territori ci si lamenta principalmente per la solita giungla fatta di burocrazia e di più livelli amministrativi a cui fare riferimento. Ciò a fronte di tempi molto rigidi, visto che l’iter di tutte le misure previste deve concludersi entro il 2026 con la macchina amministrativa italiana abituata a tempi sempre dilatati. C’è poi l’atavica carenza di supporti tecnici e di buona progettualità, in fondo quello stesso problema per cui restituiamo all’Europa vagonate di fondi comunitari. A ciò si aggiunge, come evidenzia Paride Gianmoena, presidente del Consorzio dei Comuni trentini, il fatto “che le regole le detta Roma. Noi non abbiamo possibilità di intervenire, perché è a livello centrale, in questo caso, che decidono tempi e come fare”. Cioè finora è stato tutto in mano ai ministeri.

C’è poi il problema della trasparenza delle informazioni, il loro scarso aggiornamento. OpenPolis spiega che la base dati disponibile sulla piattaforma “Italia domani” risale al 31 dicembre 2021 e consta di soli 5.246 progetti mentre nell’ultima relazione del governo Draghi al parlamento, nei primi giorni di ottobre 2022, si legge che i progetti in corso sarebbero più di 73mila. Nel portale le ultime notizie sono del 2021.

In fondo tutto prevedibile. Già se ne parlava in Anci quasi un anno fa. Ed oggi le amministrazioni si trovano a fare i conti con la solita burocrazia, la mania di gerarchizzare su troppi livelli, interventi di non facile realizzazione e tempistiche difficili da rispettare.

Ogni errore si paga a caro prezzo. Il regolamento Ue 2021/241, cioè il quadro normativo europeo sul Pnrr, prevede la mancata erogazione dei fondi qualora il completamento di scadenze e misure non avvenga nei termini previsti, un processo di verifica che è in capo alla Commissione europea. C’è anche la possibilità per i Paesi di modificare il Piano, in qualsiasi momento della sua attuazione, rispettando però precise condizioni che saranno sempre valutate dalla Commissione. Ma equivarrebbe ad ulteriore benzina sul fuoco se non si interviene sulle cause dei problemi.

Il governatore della Regione Veneto, Luca Zaia, ospite a Start su Sky TG24, ha proposto da una parte “modalità di accompagnamento, di tutoraggio, di aiuto a quelle comunità, magari al Sud, che hanno più difficoltà”, dall’altra la redistribuzione nazionale (overbooking) di quello che non viene utilizzato per evitare che torni all’Europa. Proposta intelligente, ma rischia di penalizzare soprattutto il Mezzogiorno, da sempre connotato dai maggiori ritardi di sviluppo. Il rischio, per il Sud, è quello di essere ulteriormente penalizzato, aumentando i divari in essere.

(Domenico Mamone)

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