Povero Molise

Trivento è un paese con poco più di quattromila abitanti in provincia di Campobasso. Ne aveva quasi settemila nel secondo dopoguerra. Da queste parti lo spopolamento e l’invecchiamento della popolazione sono fenomeni costanti nella loro drammaticità. Nel Molise, su 136 comuni, soltanto otto hanno più di cinquemila residenti. La maggior parte degli altri sono paesi-fantasma.

Trivento è sede di una diocesi che incarna il territorio con tutte le comuni criticità delle aree appenniniche interne. Comprende nove comuni abruzzesi e 31 molisani, per un totale di circa 30mila persone (dalle 81mila del 1961) su una superficie di ben 1.139,49 chilometri quadrati, media di 750 abitanti per paese. A momenti ci sono più parrocchie che abitanti: Agnone, con poco più di quattromila abitanti, ne ha ben sedici. Trivento quattordici. Frosolone e Carovilli dodici ciascuno. Testimonianza di comunità che nel passato erano numericamente ben differenti da oggi.

Un primo elemento di disuguaglianza è frutto della status montano dei territori: la politica nazionale, urbanocentrica, ha di fatto distolto l’attenzione dalle aree montane interne, determinando la rituale condizione del “cane che si morde la coda”: il dissanguamento demografico produce meno servizi (emblematici i tagli alla sanità e all’istruzione), quindi ulteriori diaspore per l’invivibilità del territorio. Il caso di Agnone è esemplare: lo smantellamento, di fatto, di molti reparti del locale ospedale “Caracciolo” (dal pronto soccorso al laboratorio di analisi) ha ridotto notevolmente anche i rientri al paese d’origine da parte delle persone anziane, oggi la netta maggioranza della comunità emigrata.

Nella maggior parte dei paesi il farmacista non c’è più, il medico viene da fuori, è sparito anche il maresciallo dei Carabinieri. Persino i sindaci sono diventati part-time.

Le infrastrutture viarie sono insufficienti: le principali arterie di collegamento che riguardano la diocesi di Trivento sono le strade Bifernina (SS647) e Trignina (SS 650), frutto di un’edificazione ormai desueta, risalente agli anni Settanta, persino pericolosa. Il collegamento ferroviario, non elettrificato in tutto il Molise, in zona è ormai più utilizzato in termini turistici (molto saltuariamente), che non in ambito quotidiano: un esempio è rappresentato dalla cosiddetta “Transiberiana d’Italia” da Sulmona ad Isernia, aperta nel 1897 e chiusa nel 2011 per gli ingenti costi di gestione rispetto all’entità dell’utenza. Le corse dei collegamenti regionali con i pullman si sono addirittura ridotte negli ultimi anni.

La transumanza

L’area della diocesi di Trivento per secoli ha avuto un’economia caratterizzata principalmente dalla pastorizia (sono ancora presenti i tratturi, le “autostrade verdi” secolari per il transito di mandrie e greggi), da un’agricoltura frastagliata e dall’artigianato. Realtà ormai residuali. Da Frosolone parte l’ultima transumanza a piedi verso la Puglia operata dalla famiglia Colantuono, generazioni di pastori. Qualche gregge c’è ancora tra Capracotta e Carovilli, Alto Molise. Le ultime bandiere dell’artigianato sono ad Agnone, dove è attiva la millenaria fabbrica di campane Marinelli, e a Frosolone, dove si producono forbici e coltelli dal medioevo (ma molte lame oggi vengono realizzate in Cina, quindi marchiate dalle aziende locali). Insomma, si tratta di vera e propria “resistenza”.

L’edilizia, un tempo finanziata soprattutto con le rimesse degli emigrati, è oggi in piena crisi: dappertutto è un’esposizione di cartelli “vendesi” per abitazioni chiuse da anni. A Capracotta, il comune più alto dell’Appennino, oggi ridotto a 800 residenti “ufficiali” (erano cinquemila un secolo fa), ci sono 120 case in vendita. E il turismo, da queste parti, non è mai seriamente decollato.

I numeri della crisi

Il primo Report della Caritas sulla situazione sociale, targato 1992, già denunciava la drammaticità di alcuni problemi, lo spopolamento e l’invecchiamento della popolazione in primis. Poi dieci anni fa, un altro Report della Caritas attestava che tra il 2009 ed il 2011 le persone in rilevante difficoltà economica in Molise erano aumentate di ben dodici punti rispetto al vicino Abruzzo, dove erano diminuite di un punto. Se l’Abruzzo, con oltre 1.342.000 abitanti, registrava un prodotto interno lordo pari a 29.656 milioni di euro, con un Pil pro capite di 22.092 euro, il Molise, con 320mila abitanti (oggi sono 280mila), aveva un Pil di 6.447 milioni di euro equivalenti a 20.160 euro pro capite annui.

Vicolo molisano

Nella diocesi di Trivento, in quello stesso periodo, le schede delle persone bisognose erano aumentate del 90 per cento.

Lo stesso Report metteva in evidenza un dato emblematico: la spesa per interventi sociali in Molise era addirittura 2,5 volte inferiore a quella nazionale e 2,2 volte inferiore alla media della spesa sociale nel Sud Italia. Disuguaglianza nella disuguaglianza, la classica “pioggia nel bagnato”.

Nonostante ciò, si è continuato – a livello di amministrazione pubblica – a fare poco o niente per combattere il processo di impoverimento generalizzato, diffuso, ma spesso invisibile ai più: sono mancati interventi strutturati e coordinati per favorire l’inclusione sociale ed il benessere.

I principali media, negli ultimi anni, si sono concentrati sul racconto dell’emarginazione simbolica delle grandi città, quella più manifesta anche perché spesso attigua ai centri dell’informazione nazionale, ad esempio a Roma o a Milano. L’homeless per le strade cittadine, in genere estraneo nei paesi dell’entroterra, è l’identificazione più comune del tema. Viceversa, lo stato di povertà nell’entroterra è rimasto impercettibile, incorporeo, evanescente nel dibattito pubblico. L’ennesima disuguaglianza nella disuguaglianza, che pone sul banco degli imputati anche gli organi di comunicazione: l’assenza di attenzione ha accresciuto la vulnerabilità e indebolito il sistema delle garanzie sociali nei piccoli centri. Nemmeno la robusta rete di relazioni umane, la coesione e la solidarietà sociale tradizionalmente forti nei paesi hanno potuto far qualcosa per arginare il precariato esistenziale sempre più diffuso, la scarsità delle risorse, l’autonomia economica e sociale messa sempre più a rischio, la marginalizzazione individuale e collettiva, l’impoverimento in crescita costante.

Molti di quei pensionati che un tempo costituivano il ceto medio, cioè gli abitanti prevalenti dei paesi molisani, sono oggi scivolati irreversibilmente in condizioni meno gratificanti, con perdita di ruolo e accresciuta instabilità. Situazioni meno visibili di quelle “cittadine” perché, talvolta, meno documentabili, verificabili, misurabili.

Il “peso” degli anziani è determinante: a Schiavi di Abruzzo costituiscono il 72 per cento della popolazione, a Castel del Giudice il 58 per cento, a San Giovanni Lipioni il 55 per cento.

La Caritas, nel suo Report, oltre a rivendicare il ruolo svolto dai volontari dei Centri di ascolto, ha evidenziato l’importante passaggio dalla logica dell’assistenza e dall’aiuto sociale a quella della promozione sociale, cioè della dimensione attiva, partecipativa, volta alla condivisione dei problemi: “occorre pensare a quell’insieme di attività che sono volte alla risoluzione del disagio sociale a livello individuale, di famiglia, di ambienti educativi e formativi, nei luoghi di lavoro, ma anche e soprattutto al reperimento del lavoro, all’acquisizione di una abitazione, all’adozione di stili di consumo corrispondenti alla posizione ricoperta, alla partecipazione a pieno titolo all’insieme delle opportunità che vengono offerte per l’affermazione di una piena cittadinanza sociale”. Parole ovviamente sottoscrivibili in toto, che rilanciano il ruolo del “capitale sociale” rispetto a quello dominante del “capitale economico”.

Nonostante queste chiare indicazioni, nel piccolo Molise s’è fatto davvero poco, privilegiando gli interventi estemporanei alla pianificazione strutturata. Con risultati drammatici sul fronte della povertà.

I dati di qualche anno dopo hanno confermato il declino economico e sociale. La povertà relativa, dal 2007 al 2015, in Molise è passata dal 13,6 al 24,4 per cento, molto vicina al record siciliano (28 per cento) e ben lontana dall’invidiabile dato emiliano-romagnolo (3,9 per cento). Un’esplosione dell’indigenza a cui hanno contribuito anche le numerose chiusure di aziende e l’assoluta mancanza di programmazione culturale, economica e sociale da parte della Regione.

Nel 2017, con un’inchiesta di Paolo Viana pubblicata sul quotidiano Avvenire il 17 ottobre, si è dato conto del secondo Rapporto sulla povertà realizzato dalla Caritas di Trivento a distanza di 25 anni dalla prima edizione. Il dramma si è accentuato: le persone che si rivolgevano alle strutture della Caritas per sopravvivere erano arrivate ad oltre trecento (circa una su cento), mentre secondo i sindaci almeno 2.903 cittadini si trovavano in grave difficoltà (otto su dieci). «Queste persone sono la più evidente e drammatica smentita della tesi di chi sostiene, non sappiamo se in buona o cattiva fede, che la crisi che ha devastato la nostra realtà, come quella più ampia della nostra regione e dell’intero Paese, sia ormai alle nostre spalle – denunciava don Alberto Conti, direttore della Caritas diocesana di Trivento.

Confermato, purtroppo, il drammatico quadro: «Tutti i Comuni sono caratterizzati da spopolamento, invecchiamento demografico, scuole con pochi allievi, smantellamento dei servizi sociosanitari, trasporti in diminuzione, assenza di attività industriali e terziarie, migrazione dei giovani e un tasso di disoccupazione elevato. È il risultato di una politica che ha abbandonato negli anni il territorio delle zone interne – emergeva nel Rapporto.

Un dato emblematico che sovrastata gli altri riguardava i sempre più diffusi tagli al riscaldamento, nonostante più di due paesi su tre si trovino sopra i 700 metri di altitudine, con inverni rigidi e lunghissimi e nevicate fino a maggio.

Altro aspetto è il crollo della natalità, in quanto “mettere su famiglia” in queste condizioni di insicurezza, disoccupazione diffusa e di povertà multidimensionale crescente è davvero rischioso: se l’Italia, ultimo tra i Paesi europei, registrava otto nati all’anno per mille abitanti, nella diocesi molisana si era fermi a sei.

Nei Report più recenti sul territorio molisano, come quello della Scuola di formazione all’impegno sociale e politico “Paolo Borsellino” del 2017, a cura di Antonia Cirulli, Benedetta Di Bartolomeo e Michele Fuscoletti, o il “Quaderno della Solidarietà” presentato dalla diocesi il 10 novembre 2021, oltre a confermare la forte diminuzione della popolazione (perdita di undici abitanti al giorno per il Molise, oltre quattromila in un anno)e il suo rapido invecchiamento, affiora una parola drammatica: desertificazione. Ha scritto nella prefazione al “Quaderno della Solidarietà” il vescovo di Trivento, Claudio Palumbo: “Le pagine che compongono questo testo, lungi dal voler essere sterile prodromo all’atteggiamento solito del rinchiuderci nel malinconico vizio del piangersi addosso… vogliono essere invece di provocazione e di caloroso invito a rimboccarsi, in modo saggio e produttivo, le maniche per mettere in pratica quel grido affettuoso ed accorato che San Giovanni Paolo II° lanciò ad Agnone, in quell’indimenticabile pomeriggio del 19 marzo 1995 quando ci raccomandò caldamente ‘Non rinunciate a progettare il vostro futuro’”.

Uno delle ultime inchieste sulla povertà dilagante nel territorio della diocesi di Trivento, uscita a gennaio 2022 sul mensile Jesus dei Periodici San Paolo (da pagina 33), firmata da Igor Traboni e intitolata “Italia Minore“, conferma il grido d’allarme che da almeno vent’anni ripete il “solito” don Alberto Conti, direttore della locale Caritas, cioè che «non è accaduto nulla, anzi la situazione è sempre più grave, mentre la politica è cieca e sorda e non riesce a capire che, abbandonando le zone interne, è a rischio anche la salvaguardia ambientale, con il territorio che va in rovina tra frane, disastri e paesi isolati».

Fatto sta, se prima la Caritas locale distribuiva venti pacchi alimentari, oggi è arrivata ad oltre duecento. Ed è la diffusa solitudine degli anziani a prendere il posto di quella estesa solidarietà che prima caratterizzava questi territori. «La solidarietà oggi è occasionale, come quando c’è lutto; poi ognuno si rinchiude in casa – insiste il sacerdote.

Il reddito di cittadinanza

A fronte della diffusa inerzia dello Stato di fronte alla piaga della povertà, emblema di disuguaglianza e ingiustizia sempre più estese nella forbice tra chi ha troppo e chi poco, i due più concreti tentativi di attenuazione del problema – affiancati dalle insufficienti politiche di assistenza – richiamano all’iniziativa del Reddito d’inclusione prima e poi all’attuale e tanto dibattuto Reddito di cittadinanza.

Quest’ultimo, che costituisce in particolare la bandiera elettorale del Movimento Cinque Stelle, benché fallimentare sul piano dell’inclusione al lavoro, costituisce però un salvagente per tante famiglie in alternativa alla miseria assoluta. Uno strumento dimostratosi prezioso e lungimirante a fronte delle conseguenze della pandemia da Covid-19 e del carovita determinato anche dall’invasione russa all’Ucraina.

Il Molise è una delle regioni dove il Reddito di cittadinanza è più utilizzato in rapporto alla popolazione: attualmente sono ben 16.726 i beneficiari con 4.639 domande; nel 2022 i numeri sono andati ulteriormente su, con una crescita di 76 domande in provincia di Isernia e di ben 757 in quella di Campobasso.

Il Reddito di cittadinanza, però, certifica il fallimento delle politiche precedenti e l’acuirsi delle disuguaglianze, costituendo una misura che riesce soltanto a mitigare parzialmente e in modo transitorio una situazione in costante peggioramento. Certamente il ruolo dei sostegni economici è basilare per affievolire anche le difficoltà di natura alimentare di tante famiglie. Ma qualsiasi strumento di sussidio e di contrasto alla povertà, anche su un piano transnazionale, rappresenta purtroppo un surrogato all’unica soluzione del problema, cioè alla piena occupazione, così come avviene in alcune regioni d’Europa. Invece la beneficenza di Stato, affiancata all’instancabile e meritoria opera del volontariato laico e religioso, sembrerebbe la sola strada intrapresa per contrastare alla radice non le ragioni di uno status precario, frutto di ingiustizie e disuguaglianze, ma le conseguenze di diritti violati, dalla mancanza di abitazioni pubbliche ad occupazioni iniquamente retribuite.

Questo quadro dimostra, per l’ennesima volta, che il dramma economico e sociale vissuto nel piccolo-grande territorio della diocesi di Trivento sia in realtà frutto di meccanismi più complessi, non riconducibili soltanto alla specificità dell’area geografica: sono le disuguaglianze globali, spesso generate da una mondializzazione economica e finanziaria che ha dissimulato i poteri e atomizzato le responsabilità, a replicarsi anche nei più piccoli lembi di territorio, tra sfruttamento di manodopera, difficoltà d’inclusione, interessi particolaristici di amministrazioni svuotate di significato, incapacità – spesso dolosa – di operatività.

Pur nella consapevolezza che non esistono “ricette magiche” per risolvere il problema delle aree interne, quale può comunque essere, per concludere,una strada percorribile perché la quotidianità che si sta vivendo nell’Alto Molise e nel Basso Abruzzo possa migliorare, provando a fermare il declino? Quale conseguenza positiva può apportare la pubblicazione di questo contributo e degli altri, purtroppo sparuti, frutto dell’impegno della Caritas di Trivento e dei pochi organi d’informazione che saltuariamente s’interessano dello sconosciuto e spopolato territorio molisano?

Per invertire la pericolosa rotta è necessario partire dalla ricostruzione di una dimensione relazionale che costituisca innovazione e valore sociale e di una socialità condivisa e coesa, forte di un nuovo protagonismo dei gruppi sociali che la compongono, orientata alla risposta ai bisogni sociali quale priorità amministrativa. Occorre promuovere mutualità e reciprocità in ottica di giustizia sociale, perché comunità più equanimi e armoniche, tra loro interconnesse, saranno certamente meno povere.

L’immigrazione, infine, deve essere vista come possibilità di arricchimento demografico, di pluralità culturale, professionale ed economica, rianimando servizi e relazioni. L’assuefazione al declino può essere combattuta non con logicvhe di sussistenza, ma soltanto aprendosi finalmente all’esterno da dove ogni potenzialità del territorio potrà essere colta con nuove speranze.

(Giovanni Castellotti)

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