 |
|
|
|
Il boom del prezioso tubero in tutto il Molise
Vanghette e tartufi
Recente (e piacevole) scoperta
FROSOLONE (ISERNIA) - Intorno al 1977-78, a Frosolone arrivarono i “Bolognesi”.
Mio nonno così li chiamava: Bolognesi. Era per lo più gente
dell’alta Italia, appunto Bologna, Ferrara, Reggio Emilia. Arrivavano
forniti di strane vanghette e molti cani. Si fermavano anche per mesi
al ristorante “La Colombina” di Frosolone e dopo ripartivano.
Chi erano? Cosa cercavano? Perché da Bologna venivano proprio nel
Molise?
Nessuno sapeva e si preoccupava di dare risposte a tali domande; anzi
mio nonno mi diceva sempre che passavano nel suo campo, vicino Cerasito
(frazione di Frosolone ndr), e si mettevano a scavare con la loro vanghetta
sotto la sua grande quercia. Ma perché sotto la quercia? Perché
proprio nei campi di “lupinella”? Boh!
Eppure ne arrivavano tanti. Già ai primi chiarori dell’alba
si avviavano per i campi con i loro cani. Fucili non ne portavano, cartucciere
nemmeno… Avevano solo quella strana vanghetta che suscitava tanta
curiosità in tutti noi.
Solo dopo qualche anno si riuscì a capire che erano i “tartufari”.
Sì, il tartufo di cui tanto di parlava di cui noi si ignorava l’esistenza,
quel tartufo che arricchiva i “carnieri” e le tasche dei bolognesi,
era giaciuto per tanti anni nei nostri campi. Siamo stati “derubati”
per tanti anni e nemmeno ce ne siamo accorti.
Per fortuna di bolognesi da diversi anni se ne vedono pochi, anche perché
ci sono “tartufari” nostrani che con le proprie vanghette
ed i loro cani comprati dagli stessi bolognesi (sempre loro), si avventurano
nel territorio che comprende Frosolone, Sant’Elena, Torella del
Sannio, Civitanova, Pietrabbondante, Pescopennataro, San Pietro Avellana,
fino a spingersi verso i confini con l’Abruzzo (Quadri, Ateleta).
A Frosolone parlo spesso con un mio grande amico, Antonio Meale, che forse
è uno dei più bravi “tartufari” della zona,
grazie anche al fiuto del suo cane Sara, un levriero.
“Me l’hanno valutato 4 milioni di lire ma io non lo vendo
nemmeno per 6-7 milioni” mi ha confidato una sera in cui il discorso
era caduto, appunto, sul tartufo. Con me che di tartufi, funghi, ecc.
capivo ben poco, ha dovuto cominciare da capo.
“Il tartufo è un fungo che cresce sotto terra ad una profondità
di 30-40 centimetri”. E’ lui che parla. “E’ un
fungo che se ne sta nascosto senza dar segno di sé, senza emanare
alcun odore. Quando le spore sono mature, il tartufo sprigiona il suo
inconfondibile e pregnante aroma. Da settembre a poco prima di Natale,
da noi si trova il bianco pregiato; a febbraio troviamo il tartufo nero
(Tuber Melanosporum). Il bianco vive in simbiosi con salici, tigli, pioppi,
querce (ah, ecco il perché della quercia di mio nonno!).
Il bianchetto, che matura in primavera, il tartufo nero e lo scorzone,
anch’esso di colore nero che matura inizi estate, si trovano invece
oltre che sotto le querce, anche nei prati (ecco spiegata anche la “lupinella”).
Non è il nostro un tartufo pregiato tipo quello di Alba o quello
nero di Norcia, ma ha pur sempre un valore molto elevato. Il bianco si
riesce a vendere anche a 100 mila euro il chilo. Purtroppo il tutto dipende
dalla stagione, dalle piogge estive e dallo stato del terreno; tartufi
se ne trovano, ma siamo troppi “tartufari” e la gelosia, quando
ci sono di mezzo i soldi, gioca brutti scherzi e crea tante inimicizie.
Ecco perché ancora non si riesce a creare un’associazione
di “tartufari” nelle nostre zone”.
Ma allora vattene, va verso altri paesi…
“E dove? A Quadri, dove gli abitanti hanno istituito una riserva
con tanto di licenza rilasciata dalla Regione Abruzzo? Oppure a Pescopennataro
e San Pietro Avellana, dove rischi che ti brucino la macchina o addirittura
ti impallinano? Preferisco restare così, sperando sempre nella
buona stagione…”.
Intanto squilla il telefono: è il raccoglitore. Si parla di milioni
come se fossero bruscolini. Antonio abbassa seccato il telefono.
“Scusa, tu stai a Roma – mi fa – te ne do un paio di
chili, vedi se riesci a piazzarli come hai fatto l’anno scorso!”.
Ricordo! L’anno scorso…da Fortunato….al Pantheon e poi
vidi in tv che in quel ristorante vanno spesso a mangiare i vari politici.
“No Antonio, grazie! Ci sono andato una volta e non ci torno più!
Non sono abituato a trattare e a tirare sulla 100 mila lire su e 100 mila
giù. E poi scusa, quando il nostro tartufo devono mangiarlo i vari
politici, preferisco che tu lo venda a minore prezzo al tuo rivenditore…”.
(Silvio Prezioso)Cosa sono i tartufi
I tartufi sono funghi cosiddetti “ascomiceti” (dalla forma
dell’involucro), appartenenti alla classe Discomycetes, ordine Tuberales.
Ciò che mangiamo è il corpo fruttifero dell’organismo.
Il resto nascosto, il corpo vegetativo, è costituito da filamenti
detti “ife” che formano il micelio, causa di quella trasformazione
di cellule che produce i corpi fruttiferi commestibili (“incaricati”
di riprodurre l'intero organismo attraverso le spore di cui si nutrono
gli animali).
La “micorrizia” è invece il fenomeno dell’unione
tra il tartufo e le radici di una pianta: il fungo riceve dalla pianta
prodotti organici necessari per lo sviluppo, la pianta non solo incrementa
l’assorbimento nutrizionale attraverso la profondità del
fungo, ma ha protezioni fitosanitarie grazie alla produzione di antibiotici
operata dal fungo.
Graditi già da Greci e Romani, i tartufi vennero classificati da
Plinio tra le cose meravigliose della natura,
Oggi vengono utilizzati per un’infinità di leccornie come
creme, olii, patè, salse ma anche per arricchire burro e formaggi,
pasta o per aromatizzare il carpaccio.
Molte le varietà. Ecco le principali:
- Bianchetto o Marzaiolo (Tuber borchii Vittadini o Tuber Albidum Pico).
Per tradizione appartiene a Toscana, Marche e Romagna. Ha un valore commerciale
inferiore al tartufo bianco. E’ molto diffuso sotto le pinete marittime.
Si raccoglie tra febbraio e aprile.
- Bianco (Tuber magnatum Pico). Prodotto esclusivamente in Italia (Piemonte,
Lombardia, Appennino centrale, Molise compreso) ed in Istria. Predilige
posizioni ombreggiate (fondovalle, bosco, greto di torrenti). Vegeta fino
a mille metri, prediligendo altitudini collinari. Piante simbionti: carpino
nero, cerro, farnia, nocciolo, pioppo, rovere, roverella, salice, tiglio.
- Nero pregiato (Tuber molanosporum Vittadini). Presente in tutta Europa
(soprattutto Francia, Spagna e Italia, in particolare Umbria, Marche,
Abruzzo, Lazio, Lucania, Calabria, in misura minore Veneto, Trentino,
Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Molise). Preferisce terreni
brecciosi, ben drenati, ricchi di carbonati di calcio, altitudini comprese
fra 100 e mille metri, posizioni ben soleggiate. Piante simbionti: carpino
nero, cerro, leccio, nocciolo, roverella,; in subordine cisto, farnia,
rovere, tiglio. La raccolta dei migliori è compresa in dicembre-marzo.
- Scorzone (Tuber aestivum cittadini). E’ quello estivo. E’
presente in tutta Europa, Russia, Nordafrica. Teme i ristagni idrici.
Piante simbionti: carpino, faggio, nocciolo, rovere, roverella,. Ad altitudini
più basse: carpino nero, farnia, leccio, nocciolo, pino, roverella.
Raccolta ideale: agosto-settembre.
- Uncinato (Tuber aestivum Var. uncinatum Chatin). Simile allo scorzone.
Presente soprattutto in zone con umidità costante tutto l’anno,
con esposizioni a mezzaombra e altitudini elevate. Vegeta sulle stesse
specie del tartufo estivo.
Esistono poi il Moscato (Tuber brumale Var. mascatum De Ferry), il Nero
liscio (Tuber macrosporum Vittadini), il Nero ordinario (Tuber mesentericum
Vittadini) e la Trifola nera (Tuber brumale Vittadini).
Silvio Prezioso
© Forche Caudine – Vietata la riproduzione
|
 |