Rapporto 2020 Almalaurea: la fotografia dei neolaureati

La condizione occupazionale dei laureati di 76 atenei e le caratteristiche del capitale umano uscito dal sistema universitario italiano nel 2019 sono state al centro della presentazione presso il MUR del Rapporto annuale di AlmaLaurea sul profilo e sulla condizione occupazionale dei laureati (XXII indagine).

La presentazione del Rapporto 2020 si è tenuta per la prima volta nella sede del MUR con il Ministro dell’Università e della Ricerca Gaetano Manfredi. Presenti per AlmaLaurea, il presidente professor Ivano Dionigi, il direttore professoressa Marina Timoteo e, in collegamento, Remo Morzenti Pellegrini, rettore dell’Università di Bergamo dove il 4 giugno si sarebbe dovuto svolgere il Convegno annuale alla presenza delle Istituzioni e dei rappresentanti degli Atenei consorziati – in primis i Rettori – che, comunque, hanno partecipato da remoto.

Il Rapporto sulla Condizione occupazionale dei Laureati si basa su un’indagine che riguarda 650mila laureati di 76 Atenei e analizza i risultati raggiunti nei mercati del lavoro dai laureati nel 2018, 2016 e 2014, intervistati rispettivamente a 1, 3 e 5 anni dal conseguimento del titolo. I laureati nel 2019 coinvolti nel Rapporto 2020 sul Profilo dei Laureati sono oltre 290mila: si tratta di 166mila laureati di primo livello (57,3%), 87mila magistrali biennali (29,7%) e 36mila magistrali a ciclo unico (12,5%); i restanti sono laureati pre-riforma (compresi quelli di Scienze della Formazione Primaria).

Il rapporto sul Profilo dei laureati conferma i dati positivi sulla regolarità degli studi (nel 2019 hanno concluso gli studi in corso il 55,7% dei laureati) e l’abbassamento dell’età alla laurea (in media, inferiori ai 25 anni per i triennali e a 27 circa per i magistrali a ciclo unico e biennali).

Crescono anche i tirocini curriculari e, seppur in maniera più contenuta, le esperienze di studio all’estero (rispetto al 2009).

Per quanto riguarda la Condizione occupazionale, il Rapporto ha messo in luce che nel 2019 il tasso di occupazione è pari, a un anno dal conseguimento del titolo, al 74,1% tra i laureati di primo livello e al 71,7% tra i laureati di secondo livello del 2018. Il confronto con le precedenti rilevazioni evidenzia un tendenziale miglioramento del tasso di occupazione che, rispetto al 2014, risulta aumentato di 8,4 punti percentuali per i laureati di primo livello e di 6,5 punti per i laureati di secondo livello. Si tratta di segnali positivi che, tuttavia, non sono ancora in grado di colmare la significativa contrazione del tasso di occupazione osservabile tra il 2008 e il 2014 e che devono comunque essere contestualizzati anche rispetto all’attualità.

A proposito della correlazione tra percorso di studi e tasso occupazionale, è interessante notare come tra i laureati magistrali biennali del 2014, intervistati a cinque anni dal conseguimento del titolo, si registrino rilevanti differenze tra i vari gruppi disciplinari. I laureati in ingegneria, nelle professioni sanitarie e in architettura mostrano le migliori performance occupazionali (tasso di occupazione superiore al 90,0%). Sono, invece, nettamente al di sotto della media i tassi di occupazione dei laureati dei gruppi insegnamento, letterario, psicologico e geo-biologico (il tasso di occupazione è inferiore all’83,0%).

Anche tra i laureati magistrali a ciclo unico, intervistati a cinque anni, si evidenziano importanti differenze tra i gruppi disciplinari: i laureati del gruppo medico hanno le più elevate performance occupazionali (tasso di occupazione pari al 93,8%); al di sotto della media, invece, i laureati del gruppo giuridico, dove il tasso di occupazione si ferma al 78,2%.

A cinque anni dal titolo, i valori più elevati di efficacia sono raggiunti tra i laureati magistrali biennali dei gruppi educazione fisica (74,2%), geo-biologico (69,3%), e dei gruppi architettura, scientifico, psicologico e chimico-farmaceutico (superiore al 65,0%).

Nel Rapporto 2020 emerge anche una forte differenziazione nella composizione per genere dei vari ambiti disciplinari: nei corsi di primo livello le donne costituiscono la forte maggioranza nei gruppi insegnamento (93,8%), linguistico (84,2%), psicologico (79,9%) e professioni sanitarie (71,0%). Al contrario, esse risultano una minoranza nei gruppi ingegneria (26,4%), scientifico (26,7%) ed educazione fisica (34,0%). Tale distribuzione è confermata anche all’interno dei percorsi magistrali biennali. Nei corsi magistrali a ciclo unico le donne prevalgono nettamente in tutti i gruppi disciplinari: dal 95,4% nel gruppo insegnamento al 54,7% nel gruppo medicina e odontoiatria.

Il Rapporto 2020 conferma la presenza di elementi di disuguaglianza a livello territoriale, sociale e di genere.

In particolare per quanto riguarda il profilo, si osserva che coloro che provengono da famiglie più svantaggiate, non solo in termini economici ma anche livello di istruzione dei genitori, studia per meno anni e anche quando arriva a iscriversi all’Università sceglie corsi di laurea più brevi. Nel 2019 prosegue gli studi universitari, iscrivendosi a un percorso di secondo livello, il 73,1% dei laureati di primo livello con alle spalle una famiglia in cui almeno un genitore è laureato, rispetto al 54,3% rilevato tra quanti provengono da famiglie con un modesto background formativo.

Le ombre evidenziate nel Profilo dei laureati si confermano anche nella condizione occupazionale per la quale il Rapporto 2020 comprova le tradizionali differenze di genere e, soprattutto, territoriali, mostrando, ceteris paribus, la migliore collocazione degli uomini (+19,2% di probabilità in più di essere occupati rispetto alle donne) e di quanti risiedono o hanno studiato al Nord (per quanto riguarda la residenza, +40,0% di probabilità di essere occupati rispetto a quanti risiedono al Sud; per quanto riguarda la ripartizione geografica di studio, +63,7% di probabilità di essere occupati rispetto a quanti hanno studiato al Sud).

Luci e ombre, dunque, dal Rapporto 2020 che si colloca in un contesto temporale così speciale quale è quello dell’emergenza pandemica che, inevitabilmente, avrà delle ripercussioni sul profilo dei laureati protagonisti del Rapporto 2021 e sulla loro condizione occupazionale.

Al fine, quindi, di prepararsi al meglio al prossimo appuntamento, AlmaLaurea, per la prima volta contestualmente alla presentazione del Rapporto, ha analizzato i dati parziali (da marzo a giugno 2020) raccolti sulla condizione occupazionale dei laureati per fotografare la situazione contingente, con particolare riferimento al periodo di lockdown causato dall’emergenza Covid-19, approfondito con un’indagine ad hoc (vedi Approfondimenti in allegato).

L’indagine parziale (marzo-giugno 2020) sulla condizione occupazionale dei laureati ha raccolto le risposte di 46mila laureati del periodo gennaio-giugno 2019, di primo e di secondo livello, a un anno dal titolo, e circa 19mila laureati del periodo gennaio-giugno 2015, di secondo livello, contattati a cinque anni dal titolo. Dai dati emerge che nei primi mesi del 2020 il tasso di occupazione a un anno dal conseguimento del titolo è pari al 65,0% tra i laureati di primo livello e al 70,1% tra i laureati di secondo livello. Rispetto alla rilevazione del 2019, entrambe le quote sono in calo: rispettivamente di -9,0 e di -1,6 punti percentuali.

Altro parametro da monitorare è quello sull’efficacia della laurea nell’attività lavorativa: qui si conferma la corrispondenza tra studi compiuti e lavoro svolto.

È interessante rilevare, anche in questo caso, come i primi dati dell’indagine condotta da AlmaLaurea da marzo a giugno 2020 mostrano che per il 50,5% dei laureati di primo livello e per il 61,9% dei laureati di secondo livello, occupati a un anno, il titolo accademico risulta ancora “molto efficace o efficace” ma, rispetto alla rilevazione del 2019, i livelli di efficacia risultano in calo tra i laureati di primo livello (-7,8 punti) e leggermente in aumento per quelli di secondo livello (+0,4 punti).

LA SCHEDA

L’indagine 2020 ha coinvolto, da marzo ai primi di giugno, oltre 100.000 laureati del periodo gennaio-giugno 2019, di primo e di secondo livello, contattati a un anno dal titolo, e circa 50.000 laureati del periodo gennaio-giugno 2015, di secondo livello, contattati a cinque anni dal titolo (il collettivo dei laureati di primo livello a cinque anni dal titolo è invece stato sottoposto a rilevazione da poche settimane e le interviste raccolte non sono ancora sufficienti a garantire una valutazione delle tendenze). La rilevazione sui laureati del periodo gennaio-giugno è tuttora in corso: sono qui resi noti i risultati parziali relativi a oltre 46.000 interviste a un anno dalla laurea e a circa 19.000 interviste a cinque anni (a causa della situazione emergenziale, vissuta in questi mesi, sono stati inizialmente esclusi i laureati del gruppo medico; per loro la rilevazione è stata riaperta solo da una ventina di giorni).

Tra i laureati di primo livello intervistati a un anno dal titolo, il 60,8% si è iscritto a un corso di laurea di secondo livello: come è ormai consuetudine, vista l’elevata prosecuzione degli studi si è ritenuto opportuno circoscrivere l’analisi a coloro che, dopo il conseguimento del titolo, non si sono iscritti ad un altro corso di laurea (38,4%).

I dati analizzati evidenziano abbastanza chiaramente come siano in particolare i neo-laureati (intervistati a un anno dal titolo) ad aver accusato il colpo legato alle conseguenze dell’epidemia di Covid-19. I laureati a cinque anni dal titolo, invece, dato che sono già inseriti nel mercato del lavoro da tempo, hanno registrato esiti occupazionali che non paiono, allo stato, risentire particolarmente dell’attuale situazione emergenziale.

Inoltre, sono soprattutto le fasce “deboli” della popolazione di laureati ad aver rilevato esiti occupazionali più preoccupanti: anche se sono presenti alcune differenze tra laureati di primo livello e di secondo livello, il Sud del nostro Paese e, soprattutto, le donne evidenziano in generale i segnali di peggioramento più forti.

TASSO DI OCCUPAZIONE

Nei primi mesi del 2020 il tasso di occupazione a un anno dal conseguimento del titolo è pari al 65,0% tra i laureati di primo livello e al 70,1% tra i laureati di secondo livello. Rispetto alla rilevazione del 2019, entrambe le quote sono in calo: rispettivamente, -9,0 punti e -1,6 punti percentuali.

La contrazione del tasso di occupazione riguarda quasi tutti i gruppi disciplinari, sia di primo sia di secondo livello, con differenze che variano da pochi punti percentuali a scostamenti anche a doppia cifra.

Se si distingue per genere, i primi dati del 2020 confermano la generale contrazione del tasso di occupazione, sia per i laureati di primo livello sia per quelli di secondo livello. I differenziali di genere, peraltro, risultano tendenzialmente accentuati rispetto al 2019. Più nel dettaglio, tra i laureati di primo livello il tasso di occupazione risulta pari al 69,1% per gli uomini e al 62,4% per le donne (nel 2019 il tasso di occupazione a un anno era, rispettivamente, pari a 77,2% e a 72,2%). Tra i laureati di secondo livello il tasso di occupazione è pari al 75,5% per gli uomini e al 66,2% per le donne (nel 2019 il tasso di occupazione a un anno era, rispettivamente, pari a 76,5% e 68,2%).

Anche in termini territoriali si evidenzia una generale contrazione del tasso di occupazione, cui si affianca un tendenziale incremento dei differenziali territoriali (l’analisi è realizzata sulla base della residenza del laureato), quanto meno per i laureati di primo livello. Tra questi ultimi, infatti, i primi dati del 2020 rilevano un tasso di occupazione del 71,4% tra i laureati residenti al Nord e del 56,5% tra quelli residenti al Sud (nel 2019 erano, rispettivamente, 80,6% e 64,8%). Tra i laureati di secondo livello il tasso di occupazione risulta, nei primi mesi del 2020, pari al 79,0% tra i laureati residenti al Nord e al 61,2% tra quelli residenti al Sud (nel 2019 erano, rispettivamente, 81,0% e 62,3%).

A cinque anni dalla laurea, il quadro rimane invece positivo, poiché tra i laureati di secondo livello il tasso di occupazione, nei primi mesi del 2020, risulta in tendenziale aumento rispetto al 2019 (+2,0 punti percentuali): il tasso di occupazione è pari all’88,8%. Il quadro risulta sostanzialmente confermato anche nella disaggregazione per gruppo disciplinare, genere e per ripartizione territoriale di residenza.

(Per tali motivi noi ci concentreremmo solo sui laureati a un anno nel prosieguo, anche se per ora i commenti sono presenti).

TASSO DI DISOCCUPAZIONE

L’analisi del tasso di disoccupazione conferma, ancor più nettamente, le considerazioni fin qui sviluppate. I primi dati del 2020 mostrano, a un anno dal conseguimento del titolo, un tasso di disoccupazione pari al 18,7% tra i laureati di primo livello e al 15,4% tra i laureati di secondo livello. Rispetto all’indagine del 2019 si registra un significativo aumento: +4,5 e +1,6 punti percentuali, rispettivamente.

L’analisi distinta per genere e per ripartizione territoriale conferma il generale peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro, in tal caso senza particolari differenze tra uomini e donne e tra residenti al Nord e al Sud.

A cinque anni dalla laurea, il tasso di disoccupazione nei primi mesi del 2020 è del 5,5% per i laureati di secondo livello, in leggera diminuzione rispetto allo scorso anno. Ciò risulta confermato sia nella distinzione per genere sia in quella per area territoriale di residenza.

TIPOLOGIA DELL’ATTIVITÀ LAVORATIVA

I primi dati del 2020 evidenziano che, a un anno dal titolo, il lavoro autonomo riguarda il 10,5% dei laureati di primo livello occupati e il 9,6% di quelli di secondo livello, il contratto alle dipendenze a tempo indeterminato interessa il 29,1% degli occupati di primo livello e il 24,6% di quelli secondo livello, mentre i laureati assunti con un contratto non standard (in particolare alle dipendenze a tempo determinato) rappresentano il 35,8% dei laureati di primo livello e il 35,9% di quelli di secondo livello. Il confronto con la rilevazione del 2019 evidenzia una diminuzione del lavoro autonomo, sia per i laureati di primo sia per quelli di secondo livello (-3,3 punti e -2,0 punti, rispettivamente). Le altre tendenze non sono univoche: per i laureati di primo livello si registra un aumento dei contratti a tempo indeterminato (+3,5 punti) e una diminuzione del lavoro non standard (-2,9 punti); per quelli di secondo livello, all’opposto, una contrazione dei contratti a tempo indeterminato (-1,2 punti) e un aumento del lavoro non standard (+2,4 punti).

Se si pone l’attenzione sui laureati di secondo livello intervistati a cinque anni dal conseguimento del titolo, i dati parziali del 2020 evidenziano che il lavoro autonomo risulta pari al 18,1%, in diminuzione rispetto al 2019 (era il 19,6%). Si osserva invece un leggero aumento sia dei contratti a tempo indeterminato (54,9%; era il 54,6 nel 2019) sia del lavoro non standard (18,3%; era il 17,1% nel 2019).

RETRIBUZIONE

I dati parziali del 2020 mostrano che la retribuzione mensile netta a un anno dal titolo è, in media, pari a 1.177 euro per i laureati di primo livello e a 1.261 euro per i laureati di secondo livello. Rispetto alla rilevazione del 2019 le retribuzioni a un anno risultano in tendenziale calo: -2,8% per i laureati di primo livello, -1,9% per quelli di secondo livello.

Disaggregando per gruppo disciplinare si confermano le generali contrazioni riscontrate, seppure su livelli talvolta profondamente diversi.

In questi primi mesi del 2020, a un anno dalla laurea, gli uomini percepiscono una retribuzione più elevata di quella delle donne (per i laureati di primo livello: 1.297 euro e 1.090 euro, rispettivamente, +19,1%; per i laureati di secondo livello: 1.379 euro e 1.166 euro, +18,3%). Inoltre, rispetto all’indagine del 2019, le retribuzioni risultano in diminuzione sia per gli uomini (-2,8% per i laureati di primo livello; -2,6% per i laureati di secondo livello) sia per le donne (-3,7% e -1,4%, rispettivamente).

Sempre a un anno dal titolo, le retribuzioni mensili nette dei laureati risultano più elevate per gli occupati al Nord (per i laureati di primo livello 1.227 euro rispetto ai 1.041 di quelli del Sud, +17,9%; per i laureati di secondo livello 1.311 euro e 1.065 euro, rispettivamente, +23,1%). Rispetto alla rilevazione del 2019, le retribuzioni risultano in diminuzione sia al Nord (-1,8% per i laureati di primo livello, -1,0% per i laureati di secondo livello) sia al Sud (-1,3% e -2,0%, rispettivamente).

A cinque anni dal titolo, invece, i primi dati del 2020 indicano una retribuzione pari a 1.502 euro mensili; rispetto al 2019 la retribuzione risulta sostanzialmente stabile (era infatti pari a 1.499 euro). A cinque anni dal conseguimento del titolo l’andamento delle retribuzioni per gruppo disciplinare è variabile e non sempre lineare: il modesto incremento retributivo rilevato, infatti, è il risultato di andamenti differenziati, talvolta in crescita, talvolta in calo. Inoltre, si confermano i divari di genere e quelli territoriali, anche se, rispetto alla rilevazione del 2019, le retribuzioni risultano sostanzialmente stabili.

EFFICACIA DELLA LAUREA NELL’ATTIVITÀ LAVORATIVA

I primi dati del 2020 mostrano che per il 50,5% dei laureati di primo livello e per il 61,9% dei laureati di secondo livello, occupati a un anno dal titolo, la laurea risulta “molto efficace o efficace”. Rispetto alla rilevazione del 2019 i livelli di efficacia risultano in calo tra i laureati di primo livello, -7,8 punti, e leggermente in aumento per quelli di secondo livello, +0,4 punti.

A cinque anni, infatti, la laurea risulta “molto efficace o efficace” per il 65,3% dei laureati di secondo livello, stabile rispetto alla rilevazione del 2019.

Il quadro qui delineato risulta sostanzialmente confermato se si considerano, separatamente, le due componenti dell’efficacia, ovvero l’utilizzo, nel lavoro svolto, delle competenze acquisite all’università e la richiesta, formale o sostanziale, della laurea per l’esercizio della propria attività lavorativa.

TENDENZE DEL MERCATO DEL LAVORO NEI PRIMI MESI DEL 2020: ALCUNE RIFLESSIONI BASATE SULLA BANCA-DATI ALMALAUREA

La banca dati dei curricula della rete AlmaLaurea1 rappresenta un interessante osservatorio per monitorare l’andamento della domanda di laureati in questo periodo di crisi pandemica. I dati relativi alle ricerche e alle acquisizioni di cv, infatti, consentono di scattare una fotografia in tempo reale sulla dinamica di ricerca di personale laureato, anche se le imprese che si rivolgono alla rete AlmaLaurea (circa 16.000 nel 2019 e nel 2020) non possono essere considerate pienamente rappresentative del tessuto economico e produttivo italiano2. Sono infatti meno rappresentate le imprese di piccolissima dimensione, ovvero fino a 10 addetti, mentre sono più rappresentate le imprese di più ampia dimensione. Inoltre, sono più rappresentate le imprese del settore industriale (in particolare la metalmeccanica) e, per quanto riguarda i servizi, soprattutto le imprese che operano nel ramo dell’informatica.

Nel mese di gennaio 2020 sono stati acquisiti, dalle imprese che si sono rivolte alla rete AlmaLaurea, oltre 100mila cv: si tratta di un valore superiore a quello registrato nello stesso mese dell’anno precedente del 15,1%. L’anno 2020 si è dunque avviato sotto i migliori presupposti. I primi segnali di contrazione delle dinamiche di richiesta di laureati da parte delle imprese si colgono nel mese di febbraio (-17,3% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente), per poi acuirsi a marzo (-45,1%) e, soprattutto, ad aprile (-56,1%) e maggio 2020 (-55,8%). Anche se la contrazione, nel mese di maggio 2020, è elevata, se confrontata con il corrispondente mese del 2019, si rileva comunque una ripresa delle acquisizioni dei cv in seguito alla fine del lockdown e al corrispondente avvio della Fase 2.

Fig. 1 Acquisizioni di cv della banca-dati AlmaLaurea da parte delle imprese, periodo gennaio-maggio 2019 e 2020 (valori assoluti, asse di sinistra, e variazioni percentuali, asse di destra)

La repentina contrazione delle acquisizioni dei cv dalla banca-dati è trasversale e riguarda tutti i tipi di corso (sia di primo sia, soprattutto, di secondo livello), tutte le aree territoriali (anche se riguarda, in misura più consistente, gli Atenei collocati al Nord, che operano su flussi decisamente più elevati) e tutti i gruppi disciplinari, con la sola eccezione del gruppo medico (i cv acquisiti sono triplicati, passando da circa 9.000 di marzo-aprile 2019 a oltre 27.000 nei corrispondenti mesi del 2020). Quest’ultimo risultato è rilevante ed evidenzia il picco delle richieste di laureati con queste professionalità in concomitanza con l’emergenza sanitaria. Se si concentra l’attenzione sulle imprese che hanno interrogato la banca-dati AlmaLaurea, si conferma una generale e trasversale contrazione dei cv acquisiti, sia per dimensione d’impresa, sia per localizzazione territoriale (in tal caso la maggiore contrazione è per le imprese collocate al Centro-Sud). Se si considera il ramo di attività economica, la contrazione delle acquisizioni riguarda tutti i settori, con la sola eccezione delle imprese che operano nella sanità (che hanno registrato un aumento nei mesi di marzo 2020, +74,1% rispetto al corrispondente mese del 2019, e soprattutto ad aprile 2020, +100,6%).

Si rilevano analoghi segnali, seppure asincroni rispetto alle acquisizioni di cv, analizzando le offerte di lavoro pubblicate nella bacheca degli annunci della rete AlmaLaurea (anche in tal caso vengono considerati sia gli annunci di imprese che si rivolgono direttamente al Consorzio sia quelli di imprese che si relazionano con gli Uffici placement degli Atenei). L’andamento risulta asincrono e, in particolare, con effetto ritardato rispetto alla banca-dati dei cv, poiché frequentemente le imprese “programmano” con largo anticipo l’uscita degli annunci in bacheca. Ne deriva che i segnali di contrazione del mercato del lavoro sono stati intercettati più tardi rispetto alle acquisizioni dei cv dalla banca-dati.

Fig. 2 Pubblicazioni di annunci di offerte lavoro nella bacheca della rete AlmaLaurea, periodo gennaio-maggio 2019 e 2020 (valori assoluti, asse di sinistra, e variazioni percentuali, asse di destra)

Nel mese di gennaio 2020 sono stati pubblicati 5.920 annunci nella bacheca della rete AlmaLaurea: si tratta di un valore superiore del 6,5% a quello registrato nello stesso mese dell’anno precedente. Nel corso del mese di febbraio si è registrata una prima contrazione, malgrado il numero di annunci pubblicati sia rimasto, anche se di poco, superiore a quello rilevato l’anno precedente (+3,5%), mentre i segnali di arresto si rilevano nel mese di marzo (-31,0% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente) e poi si accentuano ad aprile (-53,2%) e, soprattutto, maggio 2020 (-64,2%).

Anche in tal caso, la contrazione è trasversale e coinvolge sia gli annunci pubblicati direttamente da AlmaLaurea sia quelli pubblicati mediante gli uffici placement degli Atenei. Inoltre, riguarda tutti i settori economici a cui si rivolgono gli annunci e tutte le forme contrattuali offerte.

PRINCIPALI RISULTATI DEL QUESTIONARIO SOMMINISTRATO

PER L’EMERGENZA COVID-19

L’emergenza pandemica vissuta in questi mesi ha imposto una profonda revisione delle nostre abitudini di studio, lavoro e vita. Per questo motivo AlmaLaurea ha voluto approfondire questa particolare fase storica con un’indagine ad hoc basata su un breve questionario integrativo che è stato somministrato nel corso dell’indagine sulla Condizione occupazionale dei laureati.

La rilevazione integrativa ha coinvolto i laureati di primo livello del 2019 a un anno dal conseguimento del titolo e i laureati di secondo livello del 2019 e del 2015, contattati rispettivamente a uno e cinque anni dalla laurea. Si tratta di una rilevazione con campionamento casuale stratificato proporzionale, parametrato sulla base delle variabili: genere, ripartizione territoriale di residenza, gruppo disciplinare. Le risposte raccolte, tra il 29 maggio e il 3 giugno 2020, riguardano, a un anno dal titolo, 810 laureati di primo livello, che hanno proseguito con gli studi magistrali in un Ateneo italiano, e 1.003 laureati di secondo livello. A cinque anni dal titolo hanno invece risposto 932 laureati di secondo livello. Avendo in generale realizzato più interviste di quelle inizialmente ipotizzate, nonché per garantire la necessaria proporzionalità degli strati, è stato inoltre applicato un sistema di riproporzionamento.

LA MAGGIOR PARTE DEGLI STUDENTI È RIUSCITA A FREQUENTARE LE LEZIONI UNIVERSITARIE E A SOSTENERE, ALMENO IN PARTE, GLI ESAMI PROGRAMMATI.

Il 74,5% degli studenti di secondo livello, iscritti ad un Ateneo italiano, ha dichiarato di essere riuscito, durante il periodo di emergenza sanitaria, a seguire gran parte delle lezioni (Fig. 1). Il 17,7% non è invece riuscito a seguire le lezioni per difficoltà di tipo tecnico, tra cui la mancanza di connessione o problemi con il pc; il 5,7% non è riuscito a seguire per motivi personali, mentre la restante quota (2,0%) non è riuscita a seguire a causa di lezioni sospese o cancellate.

In generale, il 40,1% degli studenti di secondo livello è riuscito a sostenere tutti gli esami che aveva in programma di affrontare, mentre una quota molto simile, pari al 36,5%, è riuscito a sostenerne solo una parte. I restanti (21,8%) non sono riusciti a sostenere alcun esame (nel 13,6% dei casi per cause indipendenti dalla propria volontà, tra cui sospensione o cancellazione di sessioni di esame; nell’8,2% dei casi per motivi personali).

FREQUENZA LEZIONI ON-LINE ESAMI SOSTENUTI

LA METÀ DEGLI STUDENTI RITIENE CHE LA SITUAZIONE EMERGENZIALE NON AVRÀ EFFETTI SULLA PREPARAZIONE O SUI TEMPI DI CONSEGUIMENTO DEL TITOLO. GLI UOMINI SONO PIÙ OTTIMISTI DELLE DONNE.

Oltre la metà degli studenti di secondo livello (50,9%) ritiene che l’emergenza vissuta in questo periodo non avrà alcun effetto negativo sul proprio percorso universitario (tra questi, un 3,1% ritiene potrà avere addirittura un effetto positivo). La restante quota ritiene, invece, che vi sarà inevitabilmente un effetto negativo, in termini di preparazione o di ritardo nel conseguimento del titolo. In particolare, il 22,1% ritiene che la situazione emergenziale di questi mesi provocherà un ritardo nel conseguimento del titolo, senza però intaccare la preparazione, mentre per il 9,5% intaccherà la preparazione, pur non provocando un ritardo nel conseguimento del titolo. A questi si aggiunge un ulteriore 17,4% che ritiene che la situazione emergenziale influirà su entrambi gli aspetti.

In generale si osserva maggiore ottimismo tra gli uomini piuttosto che tra le donne. Tra i primi la maggior parte dichiara che la situazione emergenziale vissuta in questo periodo non avrà alcun effetto negativo sulla performance universitaria (54,0% rispetto al 43,4% delle donne), mentre le donne sono preoccupate soprattutto per il ritardo che potrebbero subire (24,0% rispetto al 19,5% degli uomini). Sono più ottimisti anche i laureati degli ambiti disciplinari sanitario e sociale, tra i quali oltre la metà dichiara che probabilmente non vi saranno effetti negativi in termini di preparazione e ritardo. Meno ottimisti i laureati dell’area umanistica.

QUASI TUTTI GLI OCCUPATI HANNO SPERIMENTATO EFFETTI SULLA PROPRIA ATTIVITÀ LAVORATIVA, IN PARTICOLARE PER L’ADOZIONE DELLO SMART WORKING, CHE HA COINVOLTO SOPRATTUTTO I LAUREATI OCCUPATI NEL SETTORE PUBBLICO E NEI SERVIZI.

Ai laureati di secondo livello sono stati posti quesiti volti ad approfondire la situazione lavorativa, in questa situazione sanitaria emergenziale, e le prospettive per il futuro lavorativo. A un anno dal conseguimento del titolo la quasi totalità (94,8%) dei laureati di secondo livello occupati ha dichiarato che l’emergenza sanitaria ha avuto effetti sulla propria attività lavorativa. Tra questi, oltre un terzo (33,8%) ha adottato la modalità di lavoro in smart working (compreso telelavoro e home working), mentre il 14,3% ha dovuto modificare le modalità di lavoro (tra cui l’adozione di dispositivi di protezione individuale). Il 12,8% ha rilevato un aumento del carico di lavoro, che si contrappone all’11% che ha invece riscontrato un rallentamento dell’attività (in seguito alla riduzione dell’orario o delle giornate di lavoro); l’8,8% ha inoltre dichiarato che la propria azienda ha imposto periodi di ferie. La temporanea sospensione dell’attività e il ricorso alla cassa integrazione hanno riguardato, complessivamente, l’11,2% degli occupati. Risultano residuali gli ulteriori effetti rilevati, tra cui l’ampliamento o la modifica del tipo di attività svolta, l’accesso a congedi parentali o di altro tipo.

Il quadro a cinque anni dal conseguimento del titolo non si modifica in modo sostanziale. Anche a cinque anni, infatti, quasi tutti (93,8%) i laureati di secondo livello hanno vissuto conseguenze sulla propria attività lavorativa. Tra questi, circa un terzo (30,9%) ha lavorato in smart working (compreso telelavoro e home working), mentre la modifica delle modalità di lavoro ha coinvolto il 14,7% degli occupati. A cinque anni dal titolo, anche in virtù dell’aumento del peso dei lavoratori autonomi, è invece apprezzabile, e pari al 12,9%, la quota di chi ha vissuto una modifica del tipo di attività aziendale (tra cui la riconversione dell’attività). Il 10,7% ha vissuto un aumento del carico di lavoro, che si contrappone al 9,9% che ha invece riscontrato un rallentamento dell’attività; l’8,3% dichiara cha la propria azienda ha imposto periodi di ferie. La temporanea sospensione dell’attività e il ricorso alla cassa integrazione hanno riguardato l’11,8% degli occupati. Risultano residuali gli ulteriori effetti analizzati.

Hanno lavorato più frequentemente in smart working i laureati occupati alle dipendenze (con contratti non standard o a tempo indeterminato), nel settore pubblico e nei servizi (in particolare nei rami dell’istruzione e ricerca e dei servizi alle imprese). Ha potuto ricorrere allo smart working in particolare chi, a cinque anni dal titolo, svolge una professione esecutiva nel lavoro d’ufficio (69,1%), una professione a elevata specializzazione (59,2%, in particolare ingegneri e architetti, specialisti della formazione e della ricerca, docenti e professori) o una professione tecnica (57,7%).

Come è naturale attendersi, hanno dovuto più frequentemente modificare le proprie modalità di lavoro gli occupati nella sanità e nella pubblica amministrazione (verosimilmente perché più a contatto con il pubblico). Anche l’aumento del carico di lavoro è stato percepito soprattutto dagli occupati della sanità.

LO SMART WORKING, SEPPURE VISSUTO CON SENSAZIONI SPESSO NEGATIVE, RAPPRESENTA UNA MODALITÀ DI LAVORO ALTERNATIVA A QUELLA TRADIZIONALE: PER LA MAGGIOR PARTE NON INTACCA NÉ PRODUTTIVITÀ NÉ RAPPORTI UMANI. PERÒ NON È DETTO CHE SIA SOSTENIBILE NEL LUNGO PERIODO

Focalizzando l’attenzione sugli occupati che, a un anno dal titolo, hanno lavorato in smart working, solo una minoranza (39,3%) descrive tale esperienza utilizzando aggettivi positivi: le emozioni più frequentemente espresse sono fortunato e motivato. La maggioranza (59,0%) ha invece percepito lo smart working in modo negativo, utilizzando aggettivi quali stressato, alienato, frustrato. Le motivazioni alla base delle sensazioni negative risiedono soprattutto nel protrarsi della condizione dovuta al lockdown (dichiarata dal 55,7%) o traggono origine dalla propria situazione familiare personale (17,1%), dalla gestione della modalità di lavoro da parte del proprio datore (13,9%), da motivazioni legate agli strumenti tecnologici a disposizione (10,3%). Tali tendenze sono confermate quando si considerano i laureati occupati a cinque anni dal titolo. Il 42,8% descrive l’esperienza di smart working con emozioni positive (in particolare, fortunato e motivato), mentre la maggior parte (56,9%) ha percepito questa situazione in modo negativo (gli aggettivi più ricorrenti sono analoghi a quelli espressi dai laureati a un anno). La principale motivazione alla base delle sensazioni negative si conferma il protrarsi del lockdown (nel 61,1% dei casi), seguita dagli strumenti tecnologici a disposizione (18,3%), dalla propria situazione familiare (13,9%) o dalla gestione della modalità di lavoro da parte del datore di lavoro (6,8%).

In termini di produttività lavorativa percepita dagli occupati, per il 38,4% lo smart working non ha avuto alcun effetto, mentre per il 36% la propria produttività è addirittura migliorata (per il 21,9% lievemente, per il 14,1% decisamente). All’opposto, il 25,6% rileva invece un peggioramento della propria produttività (per il 21% in misura lieve, per il 4,6% invece in modo deciso). Il quadro si rafforza ulteriormente a cinque anni dal titolo: tra gli occupati in smart working, il 41,3% ha dichiarato che non è intervenuto alcun cambiamento, il 43,3% ritiene la propria produttività migliorata (25,4% in misura decisamente superiore, 17,9% in misura lieve), mentre solo il 15,4% ha rilevato un peggioramento della propria produttività (quasi tutti, 14,5% in misura lieve).

Concentrando l’attenzione sugli effetti dello smart working sui rapporti umani (in particolare con i colleghi), il 37,1% degli occupati a un anno dal titolo ritiene che si siano intensificati, mentre il 36,6% li considera diminuiti; per il 26,3%, infine, non si riscontra una modifica sostanziale dei rapporti umani. A cinque anni dalla laurea le percentuali sono, rispettivamente, 21,4%, 41,5% e 37,1%: i valori, seppure su livelli diversi rispetto a quelli a un anno dal titolo, consentono una sostanziale conferma del quadro generale. Il fatto che tale modalità di lavoro non intacchi particolarmente i rapporti umani, o addirittura possa intensificarli, trova probabile giustificazione nel fatto che in molti ambiti lavorativi si fa massiccio ricorso a strumenti di comunicazione digitale (come, ad esempio, Skype, Teams, Zoom, Google Meet): il rapporto di lavoro, anche per la giovane età dei laureati, è vissuto con il filtro delle nuove tecnologie, ma non per questo ne è intaccato.

Cosa ci si aspetta dallo smart working nel futuro, superata la fase emergenziale? Il 69,4% dei laureati ritiene che la modalità di lavoro in smart working sia sostenibile solo in alcuni specifici settori, il 5,4% ritiene che sia sostenibile in tutti i settori, mentre il 25,2% ritiene che sia una strada per nulla sostenibile in futuro. A cinque anni dalla laurea tali quote sono, rispettivamente, pari al 65,2%, al 2,6% e al 32,3%. La tesi che lo smart working sia sostenibile solo in alcuni settori è sostenuta in particolare dai laureati occupati nel ramo della sanità, della pubblica amministrazione e del credito. L’opinione secondo cui lo smart working non è sostenibile in futuro è diffusa soprattutto tra gli occupati del settore dell’istruzione e ricerca.

C’È OTTIMISMO RISPETTO AL PROSSIMO FUTURO? PIÙ TRA I NEO-LAUREATI A UN ANNO DAL TITOLO

In generale, il 53,1% degli occupati a un anno dal titolo ritiene che, entro i prossimi sei mesi, sarà molto probabile un ritorno alla modalità di lavoro tradizionale, precedente all’emergenza sanitaria; il 26,8% lo ritiene invece poco probabile mentre il 12,3% lo considera molto improbabile. Il restante 7,5% non riesce a dare una valutazione.

A cinque anni dalla laurea gli occupati hanno una visione un po’ meno rosea del prossimo futuro: per il 39,2% sarà molto probabile un ritorno alla modalità di lavoro “classica”, pre-emergenza epidemiologica, mentre il 44,1% lo ritiene poco probabile, cui si aggiunge un ulteriore 12,1% che lo considera molto improbabile. In restante 4,2% non sa al momento fornire una risposta. È possibile che su questo maggiore scetticismo incida il bagaglio esperienziale maturato in questi anni dai laureati di più lunga data, tra crisi economica e modesta ripresa del mercato del lavoro.

DA CRISI A OPPORTUNITÀ: PUR SE IL FUTURO È INCERTO, SECONDO I LAUREATI SARANNO RICHIESTE NUOVE COMPETENZE

Per meno della metà (48,5%) dei laureati iscritti a un corso universitario di secondo livello l’esperienza emergenziale vissuta in questi mesi ha consentito di sperimentare o acquisire nuove competenze, che potranno essere utili nel proprio futuro lavorativo: si tratta soprattutto di donne afferenti all’area sanitaria. L’impatto di tale esperienza è invece stato maggiore tra i laureati di secondo livello, alla luce del fatto che sono già inseriti nel mercato del lavoro: infatti, per oltre il 60%, sia a uno sia a cinque anni dal titolo, questa esperienza ha permesso di sperimentare o acquisire nuove competenze utili nel proprio futuro lavorativo.

Cosa lascerà, questa crisi epidemiologica, sui laureati e quali ripercussioni ci saranno nelle proprie opportunità lavorative? Indipendentemente dalla propria situazione occupazionale, il 51,3% dei laureati di secondo livello a un anno dal titolo ritiene molto probabile che questa situazione avrà delle ripercussioni sulle proprie opportunità lavorative, quanto meno nell’arco dei prossimi sei mesi; il 34,5% lo ritiene poco probabile mentre il 13,9% lo valuta molto improbabile. A cinque anni dalla laurea la percezione non si modifica in misura sostanziale: le percentuali sono, rispettivamente, 47,6%, il 35,7% e 16,1%.

E in termini di competenze, ne serviranno di nuove passata l’emergenza? Tra i laureati a un anno dal titolo, il 43,1% lo ritiene molto probabile, il 40,4% poco probabile, mentre il 16,1% molto improbabile (Fig. 6). Tanto che per il 61,3% dei laureati tale situazione ha permesso di sperimentare o acquisire nuove competenze utili al proprio futuro lavorativo. Anche a cinque anni dal titolo i valori sono sostanzialmente gli stessi (per quanto riguarda la richiesta di nuove competenze: 42,0%, 41,0% e 17,0%; per quanto riguarda la sperimentazione o acquisizione di nuove competenze: 62,8%).

In generale, chi ritiene molto probabili delle future ripercussioni sulle proprie opportunità lavorative, così come chi sente che saranno richieste nuove competenze nel proprio ambito lavorativo, sono soprattutto le donne, dell’area sanitaria e sociale.

Fig. 6 – Laureati di secondo livello del 2019 e del 2015 occupati, rispettivamente, a uno e cinque anni dal conseguimento del titolo: probabilità di richiesta di nuove competenze nel proprio percorso professionale, una volta conclusa l’emergenza pandemica (valori percentuali)

1 Avviata nel 1994, la banca dati contiene attualmente 3,1 milioni di curricula di laureati, che hanno ottenuto il titolo in una delle 76 università che fanno parte del Consorzio. Nel 2019 sono stati acquisiti dalle imprese oltre 1milione di cv. AlmaLaurea ha inoltre messo a disposizione delle università aderenti, a titolo gratuito, una piattaforma dedicata alla gestione dei servizi di job placement, tra cui i cv: attualmente sono 55 le università che utilizzano tale servizio. Con “rete AlmaLaurea” si intende sia l’attività svolta, a livello centrale, da AlmaLaurea srl (società interamente controllata dal Consorzio e autorizzata dal Ministero del Lavoro all’esercizio dell’attività di ricerca e selezione del personale) sia quella degli Uffici placement degli Atenei aderenti, nel caso in cui utilizzino la piattaforma messa a disposizione dal Consorzio.

2 Questa considerazione è basata su un confronto con i dati dell’Istat sulle caratteristiche delle imprese nell’anno 2017. La comparazione non è del tutto adeguata vista la copertura delle imprese rilevate da AIDA, la fonte da cui Istat trae le proprie statistiche (in AIDA non sono comprese le attività economiche relative a: agricoltura, silvicoltura e pesca; amministrazione pubblica e difesa; assicurazione sociale obbligatoria; attività di organizzazioni associative; attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro per personale domestico; produzione di beni e servizi indifferenziati per uso proprio da parte di famiglie e convivenze; organizzazioni ed organismi extraterritoriali; le unità classificate come istituzioni pubbliche e istituzioni private non profit).

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