Roberto Farinacci, il gerarca del manganello

Roberto Farinacci, personaggio di primo piano del fascismo, nasce ad Isernia nel 1892 (in corso Marcelli, in una piccola casa proprio di fronte alla sede del municipio), da famiglia d’origine campana e molisana (il padre, vicecommissario di polizia, era nato a Gildone, in provincia di Campobasso).

Il gerarca Roberto Farinacci

Nel 1902 si trasferisce con la famiglia a Cremona. Qui intraprende la carriera politica, passando da allievo del capo del socialismo riformista, Leonida Bissolati, a leader del fascismo intransigente e radicale, ponendosi non di rado in forte, in realtà, quanto insanabile contrasto con il duce.
E’ volontario nella prima guerra mondiale e nel 1919 partecipa alla fondazione dei fasci di combattimenti.
Ras di Ferrara, nel 1921 viene eletto deputato a soli 29 anni, ma l’elezione viene annullata per la giovane età. Nello stesso anno si oppone al patto di pacificazione con i socialisti. Diviene console generale della milizia.
Nel 1922 partecipa alla marcia su Roma, provando anche a rinviare la scelta “normalizzatrice” di Mussolini, in nome di una “seconda ondata” del fascismo.
Modi intransigenti, imperiosi e poco diplomatici, esponente del versante più duro del fascismo, tollera, se non incoraggia, la violenza dello squadrismo.
Giornalista e avvocato, dal 1922 è direttore del quotidiano “Cremona nuova” (che poi, nel 1929, diventerà “Il Regime fascista”) ed è segretario del fascio locale dal 1919 al 1929.
E’ lui ad assumere la difesa in giudizio del fascista Amerigo Dumini nel processo per l’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti.
Membro del Gran consiglio del fascismo, nel febbraio 1925 diviene segretario generale del Partito nazionale fascista ma resta in carica solo 13 mesi a causa delle divergenze con Mussolini.
Alla fine degli anni venti è al centro di una tumultuosa vicenda in cui rischia la vita nonché di mandare in crisi il fascismo. Farinacci, tramite Carlo Maria Maggi, ex federale di Milano (il quale firma un memoriale e sarà poi espulso dal partito), fa emergere il torbido intreccio milanese tra affari e politica e punta il dito contro le attività illecite del podestà Ernesto Belloni (che sarà costretto alle dimissioni nel settembre 1928) e del successore alla guida della federazione milanese Mario Giampaoli, giocatore d’azzardo, immerso in una vita dispendiosa, pesantemente coinvolto in una maxi tangente ottenuta durante la transazione di un prestito di 30 milioni di dollari a favore del Comune. Secondo le carte provenienti dagli archivi di Enrico Varenna, strettissimo collaboratore del gerarca molisano, Giampaoli avrebbe deciso di eliminare il gerarca “moralizzatore” a causa dei dossier che Farinacci stesso spedisce al duce, il quale, tra l’altro, è irritato dall’intraprendenza del ras di Cremona.
Farinacci, nell’occasione, si presenta di fronte a Mussolini con una lettera “in cui il federale Giampaoli invita una persona a uccidere Farinacci, per un compenso di duemila lire”. Giampaoli, chiamato a rendere conto della missiva, è silurato dallo stesso Mussolini. Il caso-Giampaoli-Farinacci-Belloni, grazie anche agli articoli pubblicati su “Il Regime fascista”, finisce nelle aule di tribunale, a Cremona,
settembre 1930, dove la spunta Farinacci, il quale però firma anche il suo isolamento politico.
Negli anni trenta parte volontario nella guerra d’Etiopia. E’ quindi favorevole all’intervento in Spagna e all’introduzione delle leggi razziali nel 1938, quando diviene ministro. Sostenitore dell’alleanza con Hitler, respinge l’ordine del giorno nella seduta del Gran consiglio del fascismo del 25 luglio 1943.
Fuggito in Germania, torna nuovamente a Cremona, e durante la Repubblica sociale italiana si mantiene al di fuori della politica.
Muore fucilato dai partigiani il 28 aprile 1945 a Vimercate.

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