Il nodo della carenza di competenze per la realizzazione dei progetti legati al Pnrr è il tema emerso con forza nell’incontro dal titolo “Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il Next generation Eu e il Just transition fund come opportunità per recuperare aree industriali compromesse e territori”, svoltosi presso “Esperienza Europa – David Sassoli” in piazza Venezia a Roma.
Moderato dal giornalista Stefano Secondino dell’Ansa, l’evento è stato aperto dai saluti di Carlo Corazza, capo dell’Ufficio del Parlamento europeo in Italia, il quale ha ribadito l’importanza dei molteplici finanziamenti che l’Unione europea sta mettendo a disposizione degli Stati membri in questo periodo dalla complicata congiuntura.
Riguardo, nello specifico, ai fondi per la valorizzazione delle zone industriali dismesse e dei territori circostanti, il focus ha riguardato principalmente la realtà di Taranto, flagellata dall’inquinamento provocato dal comprensorio industriale dell’acciaio. Sia Rinaldo Renucci, sindaco di Taranto, sia l’europarlamentare tarantina Rosa D’Amato hanno denunciato l’esito di un’industrializzazione selvaggia (“città paradigma del concetto di compromissione”), che non è purtroppo terminata, nonostante il dimezzamento della produzione industriale.
A Taranto, grazie all’Europa, andranno rilevanti finanziamenti per le bonifiche (ad esempio i tre quarti del Just transition fund) e la città potrebbe diventare un concreto esempio di transizione se si riusciranno a realizzare i progetti, tra i quali spicca quello della “Idrogen Valley”, anche con una significativa ricaduta occupazionale.
Situazione simile è quella di Priolo, in Sicilia. L’assessore all’Ambiente, Giuseppe Raimondo, ha ricordato l’impatto della più grande raffineria d’Europa, nata lì negli anni Cinquanta, con benefici economici ma enormi danni ambientali, a cominciare dagli alti livelli di mercurio nel mare. “Tutte le matrici ambientali sono compromesse – ha ricordato l’assessore.
Tra le buone pratiche quella di Crotone, illustrata dettagliatamente dall’assessore Luca Bossi, con 38 proposte presentate, 34 ammesse a finanziamento e progetti che mirano al recupero di aree dismesse attraverso la rigenerazione di quartieri e la realizzazione di servizi, tra cui una cittadella dello sport.
Altri interventi hanno evidenziato principalmente il nodo nel reperimento delle competenze più idonee a livello territoriale per la gestione dei progetti legati al Pnrr. “Risorse umane che vanno formate e aggiornate in tempi brevi – ha spiegato il generale Giuseppe Vadalà, tra i massimi esperti in Italia di bonifiche, il quale ha anche posto l’accento sulla velocità di realizzazione, prendendo a modello il ponte di Genova.
Sulla stessa linea l’europarlamentare Maria Angela Danzì, che ha denunciato la carenza degli investimenti centrati sulle competenze e l’errore dei tagli indiscriminati di personale nelle pubbliche amministrazioni locali. Concetti ribaditi dalla vicepresidente dell’Emilia-Romagna, Irene Priolo, la quale ha spiegato che sui siti abbandonati la competenza è proprio dei piccoli comuni, quelli che incontrano le maggiori difficoltà nel reperire le figure professionali adatte a gestire la materia. “Abbiamo l’esempio di Spilamberto, 12mila residenti in provincia di Modena, con un’enorme area dismessa da un’azienda di esplosivi – ha raccontato la Priolo. “Come Regione trasferiamo competenze ai comuni, tuttavia la bonifica si limita a riconsegnare il suolo, importante primo passo, ma resta aperto tutto il capitolo della riqualificazione urbana”.
In termini più tecnici sono intervenuti Francesco Violo, presidente del Consiglio nazionale dei geologi, il quale ha sottolineato la funzione fondamentale della sua categoria nella rigenerazione dei territori (“il nostro approccio è multidisciplinare ed il territorio è l’infrastruttura portante di tutte le altre – ha detto Violo); Gianfranco Cergol, vicepresidente di Confindustria Cisambiente, organizzazione nata nel 2016 anticipando il tema della transizione; Cinzia Pasquale, presidente della Camera forense ambientale, la quale ha ricordato che “il ruolo del diritto è quello di raccogliere le sollecitazioni e fornire un linguaggio comune” per cui il Pnrr “costituisce un’occasione per fornire un linguaggio diverso alla norma”. La Pasquale auspica un ripensamento della legislazione ambientale che negli anni s’è spesso rivelata fallace: emblematico il fatto che dal 2006, anno in cui è entrato in vigore, il Testo unico ambientale è stato modificato 72 volte all’anno.
Più polemico, infine, l’intervento dell’europarlamentare Pina Picierno, la quale ha detto che “la realizzazione del Pnrr è parzialmente compromessa”, soffermandosi su tre “fatti incontrovertibili”, cioè l’impegno costante delle istituzioni europee, il ruolo centrale dei fondi europei per la ripresa, seppur lenta, e la necessità di rafforzare la macchina organizzativa dei comuni, specie nel Mezzogiorno.
Di “occasione persa” ha parlato infine Raffaele Cattaneo, sottosegretario della Regione Lombardia, in quanto il Pnrr destina un solo miliardo, sugli oltre duecento totali, al tema al centro dei lavori e l’approccio centralista apporta enormi problemi, per cui “si sarebbe potuto fare meglio”.