La doccia fredda è arrivata. Gelata. Ma prevedibile. Per la prima volta dal 29 aprile, i contagi da Covid-19 nel nostro Paese tornano sopra quota 2mila. Anzi, sfondano quota 2.500. Esattamente 2.548 nelle ultime 24 ore, secondo il bollettino quotidiano diffuso dal ministero della Salute. Ieri erano 1.851.
Nell’ormai abituale altalena dei numeri, il dato è attenuato dall’aumento dei tamponi, 118.236 quelli effettuati. Ma il rischio che la crescita sia sono all’inizio è reale. Le previsioni per novembre-dicembre, secondo diversi report, non sono affatto incoraggianti.
A contribuire al rialzo dei numeri sono soprattutto le scuole. Del resto in Francia, dove hanno aperto i battenti due settimane prima di noi, il loro apporto ha oltrepassato ormai un terzo del totale dei casi. In appena un mese.
In Italia, secondo l’ultima rilevazioni effettuata autonomamente dai ricercatori Vittorio Nicoletta e Lorenzo Ruffino, sarebbero già 825 quelle in cui si è verificato almeno un caso di Covid-19. Un numero per difetto, potrebbe aver già oltrepassato oggi le mille unità. Ben 117 sono le scuole chiuse.
L’incremento dei casi è generalizzato in quasi tutta Italia e arriva a circa due settimane di distanza dalla riapertura delle scuole. Nel Lazio si è a 265 nuovi casi (233 a Roma). In Campania si è arrivati a 390 nuovi casi. I morti sono 24, ma come sappiamo questo dato si riferisce in genere ad infezioni avvenute diverso tempo fa. I malati in terapia intensiva sono arrivati a quota 291. I ricoverati sono 3.097. Purtroppo si cominciano a vedere i primi segni di sovraccarico nelle strutture ospedaliere soprattutto nelle regioni del Centro-Sud.
Più volte su queste colonne abbiamo letto e condiviso coloro che hanno lanciato l’allarme per la totale riapertura delle scuole in presenza. Parlare di “ritorno alla normalità”, in un periodo del genere, è ridicolo. Tra l’altro la scuola in presenza, quest’anno, sta dimostrando tutti i suoi problemi. Mancano tanti professori, anche quelli che ci dovrebbero essere. Gli investimenti per i banchi hanno posto in secondo piano il rafforzamento della didattica a distanza, che dalle aule scolastiche è quanto mai problematica per reti e supporti che spesso non funzionano. Il distanziamento, specie all’entrata e all’uscita, è una chimera. E con l’arrivo dell’influenza siamo certi che si determinerà una situazione insostenibile. Possibile che nessuno abbia previsto ciò?
Proprio per evitare ulteriori lockdown, che sarebbero fatali per tante attività commerciali, non sarebbe stato utile sacrificare per qualche mese parte della scuola superiore in presenza (lasciando unicamente le interrogazioni e affidando alla didattica a distanza l’apprendimento), in attesa di buone e concrete notizie dal fronte delle cure e dei vaccini per un reale ritorno – seppur parziale – alla normalità? Con questa scelta ridurremmo di almeno un 15-20 per cento, secondo diverse stime, il numero dei contagi.
Perché esasperare una situazione che non è facile per nessuno? Dobbiamo arrivare a pensare – e non lo vogliamo fare – che l’emergenza faccia comodo a qualcuno?
(A.C.)