Gli impietosi numeri che stanno crescendo sensibilmente giorno dopo giorno – stavolta in tutta Italia – ci obbligano a qualche riflessione. Anche perché è sufficiente leggersi i nostri editoriali precedenti per rendersi conto che non ci voleva certo un indovino per prevedere quanto sta avvenendo. Tanti esperti avevano lanciato l’allarme già nelle scorse settimane, ma sono stati ignorati soprattutto dalla presunzione, va detto, di certi politici.
Nel nostro piccolo, avevamo avvertito che l’apertura delle scuole in presenza, per quanto la cosa più naturale (ma non in tempi straordinari come questi), sarebbe stata una prova troppo rischiosa. In particolare si sarebbe potuta evitare quella delle scuole superiori, che coinvolge tre milioni di ragazzi e 150mila professori, utilizzando la didattica a distanza durante questa fase. Ora gli stessi esperti, tra cui il professor Andrea Crisanti, indicano la riapertura delle scuole tra le cause della repentina crescita, insieme ad altri fattori.
La “minimizzazione”, solo qualche giorno fa, espressa dalla ministra Azzolina dimostra due cose: o l’incapacità del ministero di avere consapevolezza della realtà e ciò sarebbe grave; o la volontà di “normalizzare” una situazione, anche per non mostrare il fianco alle opposizioni, e ciò sarebbe da incoscienti.
La situazione è indubbiamente seria perché, rispetto alla scorsa primavera, presenta principalmente due differenze.
La prima è ciò che si temeva a marzo-aprile, cioè l’estensione della pandemia in quel Mezzogiorno che presenta una sanità “fragile”, per usare un eufemismo. Le notizie che arrivano dalla Campania non lasciano presagire nulla di buono. Ma anche Puglia e Sicilia sono in sofferenza.
La seconda è che mentre i ragazzi durante il lockdown di primavera sono stati a casa, oggi, che le statistiche dimostrano come siano tra i principali vettori in questa fase (non a caso l’età media dei contagiati è scesa moltissimo), potrebbero portare il virus nelle case, contagiando genitori o nonni.
Se il ministro Speranza solo nei giorni scorsi ha detto che dovremmo resistere almeno “altri otto mesi con il coltello tra i denti”, proprio per evitare un secondo lockdown che sarebbe drammatico per il nostro Paese, sarebbe stato utile adottare la massima prudenza in questa fase. Anche rinunciando ad un po’ di naturali assembramenti, come quelli all’entrata o all’uscita delle scuole, o negli autobus e nei treni locali di nuovo pieni di studenti, ma anche di lavoratori del pubblico impiego fatti rientrare negli uffici per assicurare ossigeno al bar o al ristorante limitrofo. Del resto quanto sta succedendo in Francia, dove il loro ministero della Sanità attesta che un terzo dei focolai è nelle scuole (e non nei posti di lavoro), da loro iniziate meno di due settimane prima di noi, ormai con oltre 20mila nuovi contagi ogni giorno, lo stiamo vedendo da tempo.
Certo, rispetto a marzo-aprile gli ospedali sono un po’ più attrezzati, le cure sono meno improvvisate, si fanno più tamponi e tracciamenti e per fortuna il numero dei morti è sensibilmente calato (ma, ovviamente, non sono mai pochi). Allora sarebbe stato sufficiente, appunto, far passare il tempo senza “forzare la mano”: ci domandiamo se sarebbe stata, ad esempio, davvero un’eresia far cominciare la scuola a novembre, come ha suggerito qualche preside, assicurando anche una stagione estiva più lunga e benefica per i tanti operatori del settore?
Al di là dei numeri e delle emergenze sanitarie, che investono una categoria già provata dall’esperienza precedente, nonché inficiano pesantemente prevenzione e cure per le tante altre patologie, i maggiori problemi sono conseguenti alla cronica disorganizzazione, inconcepibile di fronte ai tanti allarmi sulla seconda ondata che gli esperti – purtroppo non tutti – lanciano da mesi. Perché, sin da subito, non sono stati intensificati i tracciamenti, incrementando test e tamponi, anziché investire in quegli inutili banchetti scolastici? Perché la stretta sulle mascherine non è stata anticipata? E perché non s’è provveduto in tempo alle scorte dei vaccini anti-influenzali, dal momento che l’arrivo dei mali di stagioni non potrà che peggiorare ulteriormente la situazione, specie nell’individuazione delle diagnosi?
P.S. Ministro Azzolina, se abbandonerà un po’ di orgoglio e ammetterà che la situazione non è così “normale” nelle scuole, auspicando anche lei un po’ più di didattica a distanza, casomai riservando in presenza le sole interrogazioni, le saremo grati. “Quando si è in dubbio, trovo che tornare sui propri passi sia un modo saggio di cominciare!”. E’ una citazione di Harry Potter, libro adatto dentro e fuori le scuole.
(Domenico Mamone – Unsic)