Silenzio, parla Mario Draghi

Ogni tanto, specie nei (tanti) momenti bui della politica italiana, il suo nome viene evocato come un mantra. Da più parti. Perché, tra le tante figure sbiadite che allignano nei palcoscenici dell’attualità, abili più negli slogan ad effetto che nelle proposte, più nelle strategie da scacchiere del potere che nella promozione del bene comune, con il suo irreprensibile excursus professionale e le parole centellinate in mezzo ad una babele di dichiarazioni e presenze, incarna una rara certezza. Almeno per chi crede nel liberalismo quale ricetta per la crescita e il benessere collettivo. E nei governi tecnici.

Mario Draghi, 73 anni, romano con padre bancario veneto e madre farmacista irpina, vanta un curriculum pressoché unico per chi personifica da anni il “salvatore della patria” utile per tutte le stagioni, sorta di asso nella manica per togliere le tante castagne dal fuoco in un Paese – ma anche in un’Europa – dal lungo declino. Diploma dai gesuiti del liceo “Massimo” di Roma (Luca Cordero di Montezemolo come compagno di classe), laurea alla “Sapienza” di Roma (relatore Federico Caffè), specializzazione al Mit di Boston (con Franco Modigliani, Stanley Fischer e Rudi Dornbusch), direttore generale del Tesoro nel decennio 1991-2001, tre anni a Goldman Sachs, poi governatore della Banca d’Italia dal 2005, quindi presidente della Bce dal 2011 al 2019. Una collezione di lauree e Phd honoris causa in Italia e nel mondo. E, su tutto, una gestione oculata della persona, con rare ma rilevanti analisi sull’economia mondiale.

Una di queste, resa nota nelle ultime ore, è contenuta in un documento, redatto con Douglas Elliott di Oliver Wyman e Victoria Ivashina della Harvard Business School, realizzato nella veste di co-presidente del gruppo di lavoro del G30. 

Il rapporto si concentra sulle imprese e sul loro futuro nel mezzo di una crisi che, secondo l’economista romano, deve ancora manifestarsi appieno. Sono parole pesanti: «Le autorità devono agire urgentemente, perché in molti settori e Paesi siamo sull’orlo del precipizio in termini di solvibilità, specialmente per le piccole e medie imprese, con i programmi di sostegno in scadenza e il patrimonio esistente che viene eroso dalle perdite. Il problema è peggiore di quel che appare perché il massiccio aiuto in termini di liquidità, e la vera e propria confusione causata dalla natura senza precedenti di questa crisi che stiamo vivendo, ne stanno mascherando le vere dimensioni».

Insomma, il flusso dei sussidi pubblici sta coprendo una realtà molto più preoccupante di quanto possiamo stimare. Forse anche per questo la dicotomia tra salute ed economia appare sempre più drammatica, anche perché l’effetto dei vaccini non è prossimo.

Draghi conferma le ricette autenticamente liberali che, nel nostro Paese, si scontrano con vecchie spinte stataliste e assistenzialiste, produttrici anche di tanta burocrazia.

Ad esempio, valuta uno spreco gli investimenti pubblici in aziende non redditizie (e in Italia, purtroppo, gli esempi non mancano).

Parallelamente sottolinea l’importanza del benessere per gli istituti di credito, in quanto le piccole e medie imprese continueranno a dipendere da loro. Avverte, in proposito, che ci sarà un aumento dei crediti deteriorati in gran parte del mondo, consigliando di attivare al più presto strategie per permettere agli istituti di evitare una stretta al credito.

Fubini sul Corriere della sera di oggi riporta un passaggio emblematico del Draghi-pensiero a proposito del Recovery Fund. «Quel che bisogna valutare è se un progetto è utile o no. Se supera certi test che riguardano il suo tasso di rendimento sociale, come anche nell’istruzione o nel cambiamento climatico, oppure è semplicemente il frutto di una convenienza politica e di clientelismo». Insomma, con pragmatismo, mette l’accento sulla “dimostrabilità sociale”.

Ovviamente dalle risorse di Next Generation Eu e dall’efficacia dei progetti approvati dipenderanno non solo la crescita, ma anche la sostenibilità del debito pubblico. I Paesi messi peggio, come l’Italia, hanno una posta in gioco notevolmente più elevata. Se l’opportunità si trasformerà in una mangiatoia, più che l’occasione persa resterà la prospettiva del baratro. O di Draghi quale “salvatore della patria”.

(Domenico Mamone)

Articoli correlati