Trasformazioni e futuro della lingua italiana

Nonostante l’instabilità e l’evoluzione che tutte le lingue hanno, possiamo dire che fino agli anni della seconda guerra mondiale quella italiana ha avuto a lungo una certa standardizzazione legata al mondo letterario e dovuta al fatto che la percentuale della popolazione che la utilizzava si manteneva molto bassa mentre soprattutto nel parlato l’uso prevalente era quello del dialetto.

Nel periodo immediatamente successivo all’unità del nostro Paese gli italiani che se ne servivano erano in una forbice tra il 2,5 ed il 10 per cento dell’intera cittadinanza.

Il suo uso allargato si ha intorno agli anni sessanta del Novecento soprattutto grazie alla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa e in particolare della televisione.

I linguaggi della tivù, dei giornali, della musica leggera e quelli dei sistemi comunicativi on line stanno producendo delle trasformazioni in una lingua che alla base rimane quella italiana, ma che manifesta infiltrazioni lessicali, variazioni normative e processi erosivi determinanti; dunque abbiamo non solo adattamenti strutturali e funzionali, ma anche veri e propri mutamenti che rischiano davvero di banalizzarne e deteriorarne l’efficienza, la ricchezza e la bellezza formale.

Lo scostamento dai canoni delle norme linguistiche standardizzate sta producendo secondo molti studiosi un idioma definito neostandard che risulta non solo distante dal sistema di comunicazione scritta ma talora molto approssimativo.

Le tendenze evolutive sono di carattere esogeno soprattutto a livello fonetico e lessicale ed endogeno sul piano normativo.

Il linguaggio giovanile, quello del web, le varietà regionali come i contatti con le lingue straniere e in particolare con una sorta di inglese americanizzato stanno modificando profondamente l’area del linguaggio con l’introduzione di neologismi, l’italianizzazione di lemmi inglesi (scioccare, filmare), la formazione di nuovi sostantivi ( sessantottini, internauti ) o aggettivi (vitivinicolo, museale), l’uso di nuove interiezioni (ops! o wow!) e di recenti termini tecnici nelle espressioni settoriali (chattare, ipertesto, server ) ma anche di numerose abbreviazioni.

Sul piano prescrittivo stiamo avendo profondi cambiamenti nella fonologia, nella morfologia e perfino nella sintassi.

Nel sistema verbale si osserva una progressiva semplificazione che sta riducendo sempre più l’uso del congiuntivo e del condizionale a vantaggio dell’indicativo, mentre il passato remoto è sostituito di frequente dal passato prossimo o imperfetto e il futuro dal presente.

Un percorso analogo, come fa notare il linguista Raffaele Simone, si sta verificando con i pronomi e in particolare con quelli personali in funzione di soggetto o complemento di termine e con quelli relativi attraverso un uso improprio soprattutto del “che” fuori dalle norme standard.

Sul piano sintattico anche nello scritto è evidente un uso di frasi che non rispettano l’ordine degli elementi costituenti mentre nei periodi c’è una forte riduzione delle proposizioni subordinate che sta non solo semplificando, ma anche rendendo più povera l’espressione del pensiero e dei concetti.

Lo stesso uso della punteggiatura segue criteri molto distanti dalle regole della morfologia e in alcune forme espressive come quelle sui social ma anche in taluni testi di narrativa può perfino mancare del tutto.

Specialmente nel cosiddetto linguaggio digitato abbiamo poi sempre più diffusa la presenza di acronimi, tachigrafie, abbreviazioni, emoticon e tecnicismi che poi vengono progressivamente spostati perfino in opere di narrativa.

Se un tale registro linguistico dovesse proporsi come il futuro della lingua italiana, credo che qualche riflessione meriti di essere fatta in un orizzonte che certamente qualche problema potrebbe porre.

Senza negare i processi evolutivi legati a necessità funzionali di chiarezza comunicativa e di allargamento di uso nelle forme di comunicazione settoriali, è del tutto evidente che ogni lingua debba avere un suo modello standard legato in particolare a norme che necessariamente vanno elaborate da chi ne studia con competenza elementi, regole, forme e funzioni.

Il rischio che non si può e non si deve correre è quello di affidare l’uso linguistico alle classi egemoni del mondo socio-economico e finanziario e tantomeno a chi pretende di farne un uso slegato da ogni forma di dettame.

Una tale fragilità in una scrittura, spesso infarcita di errori, narra di una scarsa propensione per la lettura rilevata dall’ISTAT e di una ormai acclarata difficoltà delle nuove generazioni ad una comprensione adeguata dei testi che generano entrambi povertà lessicali e conseguenti problematicità e inadeguatezze espressive.

L’evoluzione di una lingua in registri neostandard non può e non deve impedire che di essa esista un modello standard definito dagli studi linguistici e che naturalmente abbia un suo razionale ed approfondito insegnamento nelle scuole.

Il sistema espressivo e l’uso della lingua sono sicuramente alcuni degli aspetti che trasmettono agli altri il livello di ricchezza umana e culturale della nostra personalità, perché il possesso e l’uso corretto della parola, come sosteneva don Lorenzo Milani, è garanzia di libertà, di capacità di definizione del pensiero, di espressione e di adeguata cittadinanza attiva.

Per tale ragione sembra importante evitare un’espressione veloce, superficiale, se non addirittura vuota, frammentata, polemica, sguaiata o scurrile delle proprie idee, ma diventa sempre più opportuno cercarne invece una serena, riflessiva, costruita con padronanza linguistica, capacità di ricerca, ricchezza lessicale, spirito critico e volontà di percorrere gli orizzonti del bene.

In estrema sintesi abbiamo bisogno di tornare a riacquisire l’importanza che hanno le parole nella costruzione del pensiero e nella sua espressione ma anche nella formazione di un io consapevole, libero e criticamente inserito nel confronto degli ideali e dei modelli comportamentali.

Pur non negando le relazioni con le altre lingue ed una sufficiente attenzione per la varietà di uso, ci sono Paesi nei quali il proprio idioma viene seriamente difeso dal tentativo di renderlo subalterno e scarsamente utilizzato al livello internazionale.

L’attenzione per le lingue straniere e il loro uso non solo sono legittimi ma molto apprezzabili a patto che esse non abbiano alcun effetto sostitutivo della propria o la sua relegazione a strumento di marginalità.

Molto utili ci sembrano al riguardo le proposte dell’Accademia della Crusca nel ridare importanza all’insegnamento ed all’uso della lingua italiana e d’inserire nella nostra Costituzione la frase «La lingua ufficiale della Repubblica è l’italiano».

La proposta dell’istituzione di un Consiglio superiore della lingua italiana non ha trovato fin qui consensi sul piano politico, ma io credo sia davvero necessario immaginare un organismo in grado di ridare attenzione per l’insegnamento dell’italiano tra i giovani e di cercarne canali di uso più largo almeno a livello europeo considerato che al momento viene utilizzato per lo più solo dalle comunità di emigrati italiani nelle Americhe ed in alcuni Paesi del nostro continente per un totale che supera di poco i cento milioni di abitanti sui circa otto miliardi che formano oggi l’intera umanità.

Tutta questo comporta ovviamente che alla base ci sia la consapevolezza di una forte rinascita culturale di massa che sola può alimentare processi educativi anche sul piano linguistico e conseguentemente pubblicazioni in lingua italiana capaci di avere larga diffusione a livello mondiale.

(Umberto Berardo)

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