
Donald Trump in poche settimane, con la strategia della voce grossa per agevolare le sue richieste ai tavoli delle trattative, sta sconvolgendo equilibri che sembravano da tempo stabili. Dopo le tensioni sui dazi e su pretese territoriali, l’intervento a gamba tesa nella guerra in Ucraina sta di fatto scompigliando soprattutto il fronte atlantico, finora compatto a sostegno dell’Ucraina contro l’invasione russa.
Va detto, rifuggendo da posizioni ideologiche da “pensiero unico”, che il movimentismo di Trump sta servendo perlomeno ad assicurare una svolta in una situazione quanto mai incancrenita da tre anni, che ha prodotto unicamente un milione e mezzo di vittime, innumerevoli feriti tra la popolazione civile, un’estesa distruzione e uno spreco enorme di denaro, di cui oltre 200 miliardi forniti da Europa e Usa più o meno in egual misura. Oltre a ciò, anche una nuova corsa agli armamenti, con la proposta di aumentare sensibilmente la quota di Pil destinata alla sicurezza. E se finora entrambi i contendenti – Putin e Zelens’kyj – hanno rifiutato, di fatto, l’apertura di serie trattative, l’intervento del neopresidente statunitense li ha obbligati a prendere atto della realtà, valutando tra alcune soluzioni.
È stato smentito chi ha creduto nell’implosione dell’impero sovietico, indubbiamente oggi indebolito, ma che appare più solido che mai nei negoziati e che probabilmente riuscirà ad ottenere quei territori ucraini presi di mira da tempo. Tutto ciò conferma ancora di più l’inutilità di un conflitto che probabilmente sfocerà in conclusioni ampiamente previste, con un’appendice di negoziati a senso unico e di crepe nei rapporti tra Europa ed Europa e tra Europa e Stati Uniti. Dalle conseguenze imprevedibili.
(P.D.V.)