Un autunno freddo e vuoto

L’autunno del 1969 venne definito caldo perché segnò lotte operaie molto decise che portarono allo Statuto dei lavoratori e alla conquista di diversi diritti civili e sociali.

Al contrario quello che stiamo per vivere sarà freddo soprattutto per i ceti meno abbienti a causa di una situazione energetica dovuta all’aspetto economico di una guerra ibrida, come quella scatenata dall’invasione Russa dell’Ucraina e oggi sostenuta dai tanti imperialismi che hanno cancellato dalla storia il principio della convivenza pacifica tra i popoli; la stessa crisi tuttavia è alimentata anche dalle speculazioni di società di servizi che non conoscono il senso della rinuncia ai profitti amorali e disumani e stanno togliendo il sonno in particolare ai più bisognosi il cui disagio non è sempre nei radar dell’informazione.

I dati che l’Istat ci pone avanti disegnano una società italiana profondamente diseguale con i poveri assoluti che raggiungono cinque milioni e mezzo e potrebbero spingersi presto a cifre molto più elevate, con l’inflazione all’8,4% in agosto, con un tasso di disoccupazione giovanile ancora altissimo se consideriamo anche gli inattivi, con una precarietà dei contratti di lavoro che interessa l’80% dei giovani e una distribuzione della ricchezza sempre più disomogenea in mano a pochi miliardari che l’acquisiscono soprattutto grazie a un sistema fiscale iniquo e poco controllato e a giochi speculativi di stampo neoliberista che sono la vergogna del mondo finanziario tollerata dalla gran parte delle forze politiche.

Rispetto a tale contesto i falchi della Banca Centrale Europea hanno deciso di operare per politiche monetarie restrittive aumentando i tassi d’interesse e sospendendo l’acquisto dei titoli di Stato dei Paesi membri.

Non so se in tal modo diminuirà l’inflazione; di certo non aiuteremo la ripresa economica.

I decreti del Governo italiano che suggeriscono contrazioni dei consumi energetici e prevedono bonus nel pagamento delle bollette, tra l’altro bloccati per giorni al senato da forze politiche che pongono i propri interessi elettorali al di sopra delle serie necessità delle imprese, pur chiedendo pesanti sacrifici, possono anche avere un valore per tamponare momentaneamente la crisi che viviamo, ma sono pannicelli caldi rispetto alla necessità della transizione ecologica che deve necessariamente guardare a serie alternative anche autonome nell’approvvigionamento energetico.

Nel paese dove vivo, posto nel Molise centrale a 918 metri di altitudine, credo sia difficilmente sostenibile un’accensione degli impianti di riscaldamento per sole undici ore al giorno dall’otto novembre al sette aprile.

Ciò di cui avremmo bisogno e che non si vede all’orizzonte è l’impegno della politica non solo a lavorare per il presente, guardando magari unicamente ai dati dei sondaggi elettorali, ma a disegnare una società italiana che miri a rafforzare la democrazia e a realizzare l’uguaglianza sociale.

Incentivare in modo equo le fonti rinnovabili di energia ad esempio dovrebbe essere il primo obiettivo del prossimo governo.

Per questo occorre il coraggio di decisioni molto serie che spero possano giungere dalle residue forze di quella sinistra che purtroppo poco riesce a incidere nelle determinazioni sulla situazione sociale.

Anzitutto, come si è fatto già in tante occasioni, i “decreti aiuti” non possono “fare parti uguali tra disuguali” parafrasando quanto affermava don Lorenzo Milani.

È avvenuto con i sostegni durante la pandemia, con il super bonus 110% e rischiamo di continuare in tale direzione con gli aiuti per il caro bollette che devono essere erogati invece guardando al bisogno economico delle famiglie e delle imprese, ma anche alla dislocazione territoriale e alle temperature relative registrate.

In proposito il tetto Isee a 12.000 euro annui per i normali nuclei familiari e quello a 20.000 euro per famiglie con almeno quattro figli a carico come requisiti per accedere al Bonus sociale Luce e Gas o Bolletta sociale, che sembra stia per essere varato, non appaiono certo congrui mentre rimangono tutte le perplessità sui controlli relativi alla veridicità delle situazioni reddituali.

Vanno riprese strategie che oggi sembrano davvero allentate per contrastare seriamente la pandemia con cui ci invitano in troppi solo a convivere mentre purtroppo continuiamo ad avere molti decessi dei quali l’informazione sembra occuparsi sempre meno.

Occorre sicuramente tornare a riflettere sul tema della guerra orientando l’opinione pubblica al principio della coesistenza pacifica dei popoli e chiedendo perciò con forza il ritiro immediato delle forze armate dei Paesi che occupano nazioni libere e la condanna chiara di quanti hanno assoggettato popoli togliendo loro ogni diritto.

Se l’ONU poi non riesce a interporsi nei conflitti armati, quando finalmente vogliamo cambiarne la struttura e la funzionalità operativa?

Il movimento non violento, non certo assimilabile ad un pacifismo di maniera, ha bisogno di svegliarsi non solo per cancellare la guerra dalla storia, ma in maniera contingente per rinunciare a ogni egoismo anche di natura economica che impedisca di sostenere qualunque popolo oppresso.

Non dimentichiamo che per la libertà e i diritti c’è chi ha rinunciato anche alla propria vita.

In Italia abbiamo bisogno di aiutare nell’immediato con sostegni adeguati le aziende in crisi, ma anche di disegnare con chiarezza quale dev’essere il futuro energetico del Paese.

La politica deve assolutamente rinunciare a forme clientelari di assistenzialismo e pensare a un piano per un lavoro sicuro a tempo indeterminato che veda una sua redistribuzione equa per tutti finalizzata alla piena occupazione anche con la riduzione dell’orario e la definizione di un salario minimo decente.

L’altro obiettivo di un disegno strategico finalizzato alla giustizia sociale deve assolutamente essere quello di una riforma equa del fisco della quale da anni molti si riempiono la bocca senza poi mettere in campo uno straccio di proposta che vada oltre quelle che ascoltiamo in questi giorni durante la campagna elettorale e che sono davvero specchietti per le allodole lontani da ogni principio che miri alla realizzazione dell’uguaglianza.

Sul piano culturale abbiamo l’esigenza di qualificare l’offerta formativa potenziando il lavoro di ricerca, di realizzare l’educazione permanente diffusa sul territorio e di eliminare la dispersione nella scuola dell’obbligo ma anche il numero chiuso nelle facoltà universitarie pensando altresì a una diminuzione delle tasse scolastiche per le famiglie con redditi bassi.

Per legiferare in merito avremo bisogno in politica di persone competenti, oneste e disponibili a lavorare dentro e fuori dalle istituzioni per ridare all’Italia la sicurezza economica e la dignità politica che oggi sembrano veramente mancare.

Con rarissimi distinguo la campagna elettorale fin qui appare davvero come una sorta di fiera delle banalità in una gara a chi enuncia le promesse più eclatanti ma assolutamente irrealizzabili.

Occorre allora impedire che l’autunno oltre che freddo sia anche vuoto di proposte concrete e credibili.

Visto quanto accade ormai a livello parlamentare e nei diversi consigli regionali e comunali dove sembra non si riesca a garantire più nemmeno il diritto fondamentale che è quello alla salute, credo che finalmente con una partecipazione più consapevole dei cittadini alle decisioni sui problemi collettivi occorra fare in modo che anche il prossimo autunno diventi caldo sul piano della richiesta di attuazione piena dei diritti.

Quando la politica è assente perché guarda solo al potere senza essere più in alcun modo un servizio per il Paese è necessario che la collettività riacquisti forme reali di sovranità popolare con sistemi innovativi di partecipazione nelle scelte per una qualità accettabile di vita della collettività.

Lo si può fare in due modi a mio avviso.

Il primo è l’impegno di lotta nella rivendicazione dei diritti mentre l’altro è quello di un’assunzione di responsabilità culturale nell’elaborazione di progetti di legge d’iniziativa popolare che concorrano a disegnare il futuro della società italiana che oggi attraversa un momento davvero difficile.

(Umberto Berardo)

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