Un nuovo modello di società e sviluppo

L’attuale assetto mondiale dell’economia, figlio ormai del pensiero unico neoliberista prevalente nella nostra società, non solo sta indirizzando l’interesse verso il profitto come unità di misura dell’esistenza, ma addirittura sposta capitali enormi dal settore produttivo a quello speculativo nella convinzione che il denaro non sia più un mezzo ma il fine di ogni attività.

Un tale sistema fa registrare sistematicamente crisi periodiche determinate da scelte profondamente legate alla corruzione di un mondo finanziario disposto a tutto per il proprio tornaconto.

Tra le più disastrose abbiamo vissuto la grande depressione del 1929, lo shock petrolifero del 1973 con un aumento del 70% del prezzo del greggio, la recessione del 2008 con la speculazione dei mutui subprime, la crisi del debito sovrano del 2011 che ha messo in ginocchio l’economia di molti Paesi europei ed in particolar modo poi quella della Grecia e l’altra che stiamo vivendo in questi due anni di pandemia ma soprattutto con questa guerra in Ucraina che ha spinto l’inflazione a livelli assurdi.

Tutto questo genera evidentemente ricchezza enorme per i detentori di capitali e gli speculatori e povertà crescente nel mondo del lavoro dove si comprimono sicurezza, diritti e salari generando una precarietà scandalosa nei rapporti di lavoro e un tasso di disoccupazione crescente.

Inutile dire che nei paradigmi del mondo finanziario è difficile trovare correlazioni con i principi etici relativi alla giustizia sociale perché nelle logiche del sistema bancario e borsistico, dei paradisi fiscali o delle criptovalute esistono solo criteri di speculazione, inganno, sfruttamento ed arricchimento indiscriminato come abbiamo tutti potuto constatare in tanti episodi nei quali spesso è dovuta intervenire la Magistratura.

Da anni se ne discute, ma non riusciamo a definire la separazione delle attività bancarie commerciali da quelle speculative e tantomeno a rivedere le condizioni squilibrate del rapporto tra le stesse ed i clienti né a far decollare in maniera allargata su tutto il territorio l’idea della cosiddetta banca etica.

Per mantenere un tale stato di cose le lobbies economiche hanno bisogno d’involuzioni nel processo democratico che da anni ormai si sta rimodellando su una riduzione della sovranità popolare e la concentrazione plutocratica e verticistica delle decisioni fondamentali con il ridimensionamento del ruolo della politica al servizio ormai del mondo finanziario il quale cala dall’alto propri uomini nei principali incarichi istituzionali di livello nazionale ed internazionale.

Anche il ruolo degli intellettuali con le dovute eccezioni appare chiaramente appiattito su una tale mentalità diffusa e sui modelli socioeconomici imperanti anche grazie ad un sistema informativo che devia l’interesse collettivo dai problemi fondamentali attraverso sistemi subdoli di distrazione di massa.

Alla radice di tutto vi è dunque non solo una crisi etica, ma soprattutto culturale che ha generato un ottundimento delle coscienze e l’incapacità di lottare per un modello di sviluppo alternativo.

La crescita delle ineguaglianze nella società soprattutto in questi anni di pandemia è dunque il frutto di accentuati egoismi individualistici e di gruppo, ma anche di strutture sociali, economiche e politiche che generano marcate disparità nei diritti non solo a livello di classi sociali e di genere ma anche tra le diverse generazioni e gli Stati.

Sulle idee per la costruzione di un modello di sviluppo alternativo la politica, palesemente in crisi di figure di spicco e di idee, appare ormai assente limitando la riflessione, tra l’altro anche circoscritta, a problemi del tutto contingenti che spesso si trascinano nel tempo senza soluzioni.

C’è qualcuno che, dopo aver preso atto dell’insostenibilità della situazione mondiale, e pur non essendo propriamente un politico, ha cercato di uscire dal disinteresse per i problemi reali degli esseri umani e in generale del nostro Pianeta e sta cercando vie diverse per costruire un mondo nuovo.

Parliamo di papa Francesco che, partendo ovviamente dal Vangelo, ha aperto la riflessione per allontanarsi da una società fondata su esclusioni, diseguaglianze, indifferenza e scarto avviando una critica radicale al sistema neoliberista dominante e disegnando un progetto in grado di realizzare una democrazia partecipata, la condivisione dei beni, l’uguaglianza tra tutti gli esseri umani, la promozione della pace ed il rispetto dell’ambiente e del territorio.

Certo la Chiesa cattolica e lo stesso papa hanno la necessità di risolvere alcune difficoltà e contraddizioni di natura strutturale e comportamentale che rischiano di generare facilmente giudizi d’incoerenza su taluni documenti.

Sono certo che in tale direzione è nata l’idea dell’attuale cammino sinodale voluto da Bergoglio nella speranza di rendere sempre più partecipate le strutture organizzative e dare linearità alla vita delle comunità dei cattolici perché siano coerenti con il messaggio evangelico e credibili sul piano etico.

Questo lavoro è complesso e non privo di ostacoli dentro e fuori del Vaticano, ma nessuno può disconoscere che l’impegno del papa per dare un volto nuovo alla Chiesa ed alla società è autentico e si è realizzato non solo con le sue due encicliche “Laudato si’” del 2015 e “Fratelli tutti” del 2020, ma anche con due importanti eventi da lui fortemente sollecitati quali il meeting The Economy of Francesco tenuto ad Assisi dal 19 al 21 ottobre 2020 e l’udienza con i rappresentanti dei movimenti popolari avutasi nell’ottobre del 2021.

Al primo summit hanno partecipato duemila giovani imprenditori ed economisti arrivati da 120 Paesi che hanno provato a definire le modalità in grado di farci uscire da un capitalismo che per sostenere il primato della finanza si serve di tutti i corpi economici, politici e perfino associativi essendo ormai interamente indirizzato ad un efficientismo utilitarista che ha come fine unicamente il totem del denaro e della ricchezza mortificando così ogni funzione sociale delle istituzioni.

Le linee di quella che viene definita “economia civile” hanno in quel convegno definito alcuni principi che sono stati poi ribaditi da una più recente udienza.

Anzitutto è stata riaffermata la necessità che l’etica abbia un ruolo costitutivo e regolativo nei processi economici al fine di evitarne le ricadute negative come le diseguaglianze e i criteri di mero assistenzialismo ponendo con forza l’esigenza per tutti della realizzazione del «diritto di partecipare al godimento dei beni materiali e di mettere a frutto la loro capacità di lavoro» già delineata nella “Centesimus annus” attraverso una redistribuzione equa del lavoro e della ricchezza prodotta.

Tra le condizioni per raggiungere un nuovo modello di strutturazione dei processi economici è stata posta poi quella di una riforma dei mercati finanziari per renderli trasparenti, liberi da logiche oligarchiche, stabili, democratici e funzionali al bene comune ovvero alle necessità delle persone, delle famiglie, delle imprese e degli Stati.

Con grande coraggio si è posta la necessità perfino di uscire dal concetto di solidarietà, pure meritorio, delle Caritas diocesane per creare un’economia inclusiva che riesca a realizzare la condivisione del lavoro e della ricchezza per dare dignità a tutti.

Per questo ovviamente occorre superare gli schemi concettuali e finanziari della speculazione e della rendita, ma anche quelli delle strutture monopolistiche liberalizzando i brevetti e condonando i debiti degli Stati poveri contratti proprio grazie a speculazioni e leggi di mercato inique.

Una nuova economia poi non può depredare ed inquinare il Pianeta per fini speculativi, così come va orientata alla vita e dunque non può uccidere fabbricando ordigni di morte; dev’essere altresì depurata dalla corruzione e rispettare con la sicurezza delle condizioni di lavoro la salute fisica e mentale delle persone.

Anche l’uso della tecnologia ha bisogno di razionalità impedendo che essa condizioni la libertà, manipoli la verità e riduca o banalizzi gli spazi di ricerca culturale.

Uscire allora da un’economia che crea lo “scarto” di beni e perfino di esseri umani e dalla ipocrisia di un capitalismo che genera povertà pretendendo di risolverne i problemi con la filantropia e l’assistenzialismo significa crearne una di comunione che punti sulla qualità piuttosto che sulla quantità e il consumismo e sia capace di fondare la responsabilità di tutti nei processi produttivi ma anche nella giustizia redistributiva.

È del tutto ovvio che un sistema economico inclusivo debba permettere ad ognuno di lavorare, ma anche di vivere serenamente tutte le dimensioni della propria persona.

Io penso che queste iniziative di papa Francesco pongano basi profonde per un atto di fondazione di un’economia alternativa che mi auguro si sviluppi attraverso un processo di elaborazione partecipata ed in particolare con la nascita di imprese che ne assumano i suggerimenti dettati da chi, come questo pontefice così attento alla necessità della realizzazione del bene comune, ha provato con tanti suoi documenti a portare con forza i principi etici del Vangelo in una società contemporanea nella quale al centro non c’è di certo la persona ma purtroppo ancora e solo l’idolo del denaro.

(Umberto Berardo)

Articoli correlati