Forse la colpa più grave dei molisani è quella di aver sempre accettato di vivere in una sorta di perenne marginalità rispetto alle diverse unità socio-politiche nelle quali la regione è stata inserita.
Terra sempre conquistata e sottomessa, il Molise ha continuato a vivere la sua perifericità anche nello Stato sabaudo e in quello repubblicano in cui è stato associato per anni al vicino Abruzzo in un’unica regione fino al 1963 quando ha avuto il riconoscimento della sua autonomia.
Quest’ultimo passaggio ha visto la creazione di poli di sviluppo industriale che hanno emarginato le aree interne e di cui ormai rimane poco, ma non ha costituito il volano per la definizione di un’identità palesemente riconoscibile per la regione sul piano culturale, sociale ed economico.
Talune idee avanzate negli anni settanta non sono state in grado di definire una programmazione economica fondata su vocazioni autoctone di natura imprenditoriale, territoriale, produttiva e relazionale in una società che richiedeva già prodotti innovativi di eccellenza.
Per decenni i passi involutivi nello sviluppo sono stati tantissimi e ne sono testimonianza le molte aziende chiuse e l’enorme numero di disoccupati che attendono invano di essere ricollocati, mentre sono rimasti bloccati tanti cantieri pubblici come il secondo lotto della Fresilia o la tangenziale nord di Campobasso per dare prevalenza a progetti incomprensibili come quello della cosiddetta metropolitana leggera.
Come da costume politico a livello nazionale che fa di continuo scuola, non riuscendo più a dare soluzione ai problemi ormai degenerati, le classi dirigenti locali ricorrono a ipotesi di progetti sempre più aleatori e vicini a mezzi di distrazione di massa.
La forte carenza infrastrutturale sul piano viario e nella comunicazione telematica costituisce oggi uno dei freni più gravi per il progresso economico rispetto al quale non solo non si riesce a far ripartire la produzione nelle aziende chiuse da anni, ma neppure si sta lavorando in maniera efficiente a nuove idee di sviluppo quali sicuramente potrebbero intravvedersi nei settori dell’agricoltura e dell’allevamento deindustrializzati, organici, rigenerativi e rispettosi della terra e dei beni comuni come in un turismo affidato alle peculiarità del viaggiare in una realtà da rendere fruibile sul piano della conoscenza dei luoghi, delle bellezze ambientali, paesaggistiche, storiche, culturali, religiose, ma anche legate alle tradizioni, al costume, alla gastronomia e al fascino dello stare insieme per condividere esperienze e stili di vita.
Su turismo tra l’altro era stato annunciato un piano strategico per questa primavera e non se ne vede neppure l’ombra.
Le stesse strutture legate all’istruzione di ogni ordine e grado non crediamo abbiano contribuito molto a far uscire i molisani da una mentalità pessimistica e attendista riuscendo a indirizzarli verso una maturazione sul piano dello spirito di un’imprenditorialità autoctona ma anche su quello della creatività e dell’inventiva.
Se i giovani continuano a lasciare il Molise, vuol dire che la stessa università locale fatica a formarli dando loro gli strumenti per rendersi artefici di futuro sul territorio in cui sono nati.
Accettando per anni le logiche di natura clientelare, i molisani hanno aspirato perennemente al cosiddetto “posto” piuttosto che orientarsi a una formazione della propria personalità in grado di creare il lavoro in modo libero e autonomo con le competenze personali acquisite.
In una sorta di mentalità indirizzata verso la sottomissione alle logiche della raccomandazione si è persa la grandezza e la bellezza della volontà rivendicativa dei diritti che vengono quasi attesi ancora come una concessione da parte di chi acquisisce il potere decisionale con sistemi che ormai sono lontani da un vero processo di reale democrazia partecipata.
Cercare le responsabilità e le omissioni delle classi dirigenti è necessario ma non sufficiente.
Noi siamo convinti che proprio l’assenza di cittadinanza attiva rispetto alle questioni di natura culturale, sociale ed economica abbia generato i gravi problemi che oggi vive la nostra regione.
Se i molisani accettano istituzioni ed eventi culturali sempre più elitari e scarsamente fruibili dai più, se sopportano le gravi carenze nei servizi sanitari causati dalle logiche politiche scellerate della continua privatizzazione degli stessi, se acconsentono che rispetto ai morti per incidenti stradali taluni rappresentanti istituzionali continuino a blaterare unicamente di dissuasori di velocità piuttosto che progettare e chiedere fondi per arterie più sicure per gli automobilisti, se non sono disponibili a lottare per rivendicare il diritto fondamentale al lavoro per se stessi, per i propri figli e nipoti tollerando che le classi dirigenti siano capaci solo e ancora di questuare dal governo nazionale le varie casse integrazioni in deroga, non usciremo mai dalle difficoltà che viviamo e dal pesante rischio di estinzione della regione stessa che si farà sempre più concreto.
Non è più davvero tollerabile che, mentre abbiamo sempre più bisogno di atti politici e amministrativi che vadano verso la concretezza operativa, si continui a parlare solo di vaghe ipotesi di accordo tra amministratori locali e governo nei tavoli tecnici e si convochi il Consiglio regionale in sedute monotematiche puramente accademiche sui problemi della regione che invece hanno bisogno solo di concretezza e provvedimenti risolutivi.
Persino un’iniziativa come il progetto di “Area di crisi complessa” appare ormai un’opportunità mancata come dimostrano tutti i dati negativi dell’interesse al riguardo; le ultime notizie poi sulla vicenda GAM comprovano l’evidenza del fallimento gestionale dei problemi sociali da parte della politica a livello nazionale e locale.
Aspettiamo ora su tutte le questioni aperte che i sindacati smettano di fare solo comunicati, sia pure critici e duri, e aprano il fronte di azioni rivendicative forti per la difesa dei lavoratori.
Per svegliarsi dall’assuefazione occorre attrezzarsi di spirito critico e consapevolezza civile guardandosi intorno per cercare le responsabilità di classi dirigenti che per anni non sono state davvero in grado di programmare il futuro del Molise, ma neppure di utilizzare in maniera razionale ed efficiente i fondi a disposizione provenienti dal governo nazionale e dall’Unione europea.
Rispetto ai tentativi di soluzione dei problemi esistenti avanzati da associazioni e comitati di base alcune forze politiche e sindacali hanno preso le distanze, mentre altre hanno illuso l’opinione pubblica con dichiarazioni cui non hanno fatto seguire determinazioni utili per una decente qualità della vita dei cittadini.
Rispetto alle posizioni delle classi dirigenti e delle forze di opposizione finalizzate ancora una volta alla propaganda elettorale, alle convenienze politiche e al raggiungimento del potere, è evidente che per pensare al futuro del Molise occorre immaginare nuove ed efficaci strategie politiche.
La sensazione manifestata ormai sempre più chiaramente da più parti è che le forze politiche presenti in Consiglio Regionale siano tutte parte di un sistema ormai lontano dal poter rappresentare i diritti fondamentali della popolazione.
Gli ultimi decenni ma anche il tempo attuale sono un game over di chi ha immaginato la politica come potere piuttosto che come servizio capace di misurarsi con intelligenza sulle esigenze dei cittadini.
È quanto abbiamo letto di recente in un acuto ma amaro editoriale di Giampiero Castellotti su Forche Caudine, titolato “Perché questo Molise ci sta stancando”, che condividiamo pienamente.
Poiché i problemi incancreniscono e la situazione esistenziale è diventata ormai desolante soprattutto nelle aree interne, abbiamo tutti il dovere di trovare il tempo per dare il nostro contributo a costruire un futuro accettabile per la realtà territoriale in cui viviamo.
La via che abbiamo è a nostro avviso quella coraggiosa e ineludibile della creazione di un soggetto politico innovativo da costruire intorno a forti principi etici, alle potenzialità e alle competenze culturali e tecniche di persone che da sempre hanno avuto a cuore le esigenze dei cittadini e in particolar modo di quelli più deboli.
Non vagheggiamo nulla che assomigli a un partito o movimento verticistico lontano dall’opinione pubblica, ma pensiamo a qualcosa che si possa definire un laboratorio politico fortemente operativo nell’elaborazione di idee e proposte e che sia capace di confrontare le proprie riflessioni e programmazioni con le rappresentanze intermedie della popolazione costituite in comitati o associazioni.
Dev’essere una struttura che fuori dagli schemi oligarchici attuali sia capace di aprirsi a metodologie di reale democrazia partecipata e in grado di affrontare concretamente i tanti problemi che assillano la popolazione.
Pensiamo sia un modello di proposta politica da attuare al più presto per il bene della nostra regione.
(Umberto Berardo – 3 aprile 2019)
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