Via Cesena e la politica di ‘pupari’ e ‘antipupari’



Le “stravaganti” vicende che stanno puntellando in questi giorni il previsto Pup, piano urbano parcheggi, di via Cesena – su tutte brilla il tentativo della ditta concessionaria di “conquistarsi” l’area durante la partita Italia-Paraguay, mai nome di Stato più idoneo alla situazione – dimostrano amaramente come la politica e l’urbanistica a Roma siano ormai discipline per dilettanti allo sbaraglio.
Quando cittadini esasperati – significative le immagini di donne anziane piegate dalle sporte della spesa – sono costretti a scendere in strada anche a notte inoltrata per manifestare una rabbia che va oltre l’ipotesi dell’ennesimo cantiere vicino casa, ma anche a far sorgere comitati, a leggersi carte ufficiali ottenute con le leggendarie difficoltà tipiche della trasparenza amministrativa del Belpaese o a improvvisarsi addetti stampa, si celebra amaramente un solenne funerale: quello della politica. Di quella “scienza di governo”, delegata dagli elettori, che dovrebbe trovare definitive soluzioni orientate al bene comune e che invece si garantisce un ruolo soltanto con la perpetuazione dei problemi.
E’ l’incapacità, annosa, della pratica di governo di rispondere in modo equo e coerente ai bisogni dei cittadini. E’ il crollo di quella ragion di Stato che dovrebbe regolare le pratiche urbanistiche. E’ la diffusa assuefazione pubblica, mista ad impotenza, a non poter (o a non voler) sciogliere le grette trame della burocrazia: sull’area di via Cesena si sovrappongono da anni proprietà pubbliche e progetti privati, opache competenze e ancora meno individuabili responsabilità. Nell’indifferenza generale.
Il Pup rappresenta, in tal senso, la punta di un iceberg. E’ il vuoto che genera i paradossi e i mostri del modernismo. Diffonde profondo smarrimento tra la gente, la divide seminando da una parte l’indifferenza, dall’altra l’inquietudine. Alimenta, su tutto, i personalismi di amministratori incapaci di risolvere annosi problemi, ma abili – a furia di programmare e assicurare incontri e “tavoli” – nel saperli più o meno gestire a furia di compromessi (che talvolta debordano nell’area dei puri ricatti).
E’ la presa d’atto, davvero amara, dell’inutilità di una delega democratica. Nel Paese degli eterni guelfi e ghibellini, la politica spacca e si spacca. Si divide, anche all’interno delle stesse formazioni, non sulla riconquista di un ideale urbanistico ma sui macrointeressi (e sui loro resti). E divide, con diabolica attitudine, i cittadini del partito dei “pupari” e degli “anti-pupari”, anziché favorire pratiche di informazione e di confronto.

(G.C.)

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