Noi e la polveriera del Medio Oriente

L’assalto di Hamas a Israele, con migliaia di morti e l’inizio di un conflitto di cui ovviamente non si conoscono durata e conseguenze, vede coinvolto direttamente tutto l’Occidente.

Innanzitutto perché, rispetto al passato (ad esempio la guerra del Kippur del 1973, di cui ricorre guarda caso il cinquantenario, con analogo attacco a sorpresa ad Israele da parte di egiziani e siriani), le forze in campo sono differenti e l’immagine d’invincibilità dell’esercito e dei servizi segreti israeliani è stata inaspettatamente e seriamente minata.

Gli anti-israeliani, presenti in tutto il mondo arabo ma anche in Europa, sono quindi galvanizzati da un’azione che non ha precedenti per efficacia. Ennesimo odio è stato seminato negli schieramenti contrapposti. E non va sottovalutato “l’umore della strada” non soltanto nel mondo arabo (emblematiche le manifestazioni pro-Hamas ad Istanbul), ma anche nei Paesi comunitari.

Se i governi del Medio Oriente sono prudenti e la distanza con vasti strati di popolazione anti-israeliana è spesso abissale, c’è una nazione che è ormai il punto di riferimento di Hamas ed Hezbolla: è l’Iran. Il Wall Street Journal ha ricostruito i due incontri in terra libanese tra una delegazione palestinese ed Esmail Qaani, generale di brigata iraniano nel Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche e comandante della sua Forza Quds, l’organizzazione dei pasdaran per le operazioni clandestine. Ai palestinesi gli iraniani hanno inviato armi, droni, tecnologia, soldi. C’è stato, dunque, un salto di qualità negli arsenali, ma anche nella preparazione bellica. Colpisce come l’intelligence israeliana non sia riuscita ad intercettare tali “movimenti”.

È noto come gli iraniani mirino alla cancellazione dello Stato di Israele, all’estirpazione di quello che definiscono “il cancro sionista”. Il loro Paese è sempre più al centro dell’attenzione internazionale, ad esempio per la corsa agli armamenti, il “dinamismo” internazionale, la soppressone dei diritti umani con le quotidiane denunce da parte soprattutto delle giovani donne (

Va quindi sventata un’escalation – i rischi ci sono tutti – e servirebbe innanzitutto una soluzione diplomatica della crisi, preferibilmente con la mediazione araba: in primis Arabia Saudita, Giordania ed Egitto, quest’ultimo – come ha ricordato il ministro Tajani – ha canali di comunicazione efficaci con Hamas. Tuttavia resta il problema dello scollamento tra i governi e le piazze arabe. E c’è la polveriera, anche umanitaria, del Libano.

Non dimentichiamo che questa nuova crisi va a sommarsi al conflitto in Ucraina, che già sta mettendo a dura prova le economie mondiali: le preoccupazioni crescono per la volatilità dei mercati, per il rialzo globale dei tassi, per possibili fiammate dell’inflazione. L’Italia con un debito oltre il 130 per cento del Pil e con uno spazio di manovra ridottissimo per le politiche di bilancio pagherebbe il prezzo maggiore.

(Domenico Mamone)

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