“Pillole” per visitare il Molise

Riportiamo una serie di suggerimenti “flash” non solo per chi non conosce proprio il Molise, ma anche per i tanti molisani, specie quelli che sono lontani dalla regione e tornano saltuariamente, che conoscono a malapena i dintorni del proprio paese…

Acquaviva Collecroce, i tessuti slavi

Acquaviva Collecroce, così come Montemitro e San Felice del Molise, tutti in provincia di Campobasso, sono paesi che fanno parte delle minoranze linguistiche del Molise e conservano tradizioni estranee ad altri paesi del territorio. Di particolare interesse i tessuti dei paesi slavi realizzati rigorosamente con tessitura a mano, su telai di legno. Si tratta di coperte, stuoie, tovagliati che ripropongono l’originaria tradizione croata, affidata alla tipicità dei disegni ed alla vivacità dei colori tramandati di generazione in generazione.

Agnone, la capitale delle campane

Intorno all’anno Mille ad Agnone, nell’attuale provincia di Isernia, venne fondata una delle fonderie di campane più antiche del mondo, la Pontificia Fonderia Marinelli. E’ tuttora attiva, gestita dalla famiglia Marinelli. E’ la più antica azienda a conduzione familiare del mondo. Qui venivano campane per tutt’Italia: da qui provengono, ad esempio, le campane della Torre di Pisa e dell’Abbazia di Montecassino. Accanto alla fonderia si trova il Museo internazionale della campana, dove è spiegato il processo produttivo ed è possibile vedere frammenti di campane antiche e le attrezzature per la loro produzione.

Agnone e le ostie ripiene

E’ uno dei dolci tipici molisani, le ostie ripiene di Agnone, dette anche “ostie prene”. Sono costituite da acqua, farina, olio di oliva e sale, mentre l’impasto contiene zucchero, cacao, cioccolato fondente tritato, miele, noci sgusciate e tritate, mandorle sgusciate, spellate, tostate e tritate, buccia di un’arancia tagliata a pezzetti, chiodi di garofano, polvere di cannella mischiate, liquore Strega e punch. Per tradizione si realizzano prima di Natale. Secondo la tradizione sono state lasciate in eredità al paese dalle Clarisse di clausura.

Agnone, il fuoco della ‘Ndocciata

La ‘Ndocciata è una suggestiva manifestazione incentrata sul fuoco, che si svolge adAgnone, centro montano dell’Alto Molise in provincia di Isernia. La manifestazione si svolge nel periodo natalizio, una o due volte. Si tratta di una spettacolare processione in cui numerosi uomini “indossano” le ‘ndocce, cioè fascine infuocate. Il risultato è suggestivo: una striscia di fiamme e scintille, interminabile, illumina la notte. Nel 1996 questa processione di fuoco si sprigionò in via della Conciliazione a Roma, di fronte alla basilica di San Pietro. Qui Papa Giovanni Paolo II accolse i tantissimi molisani in piazza San Pietro di notte, tutti orgogliosi per l’originale tradizione.

Bagnoli del Trigno, l’oasi di piante officinali

La piccola azienda che distribuiva prodotti fatti da terzisti, come integratori alimentari, fitopreparati, composti di medicina bio-integrata, è diventata la Biogroup, un’interessante realtà imprenditoriale che dà lavoro ad una trentina di persone e a decine di braccianti stagionali per la lavorazione e la raccolta delle piante sui terreni dati in affitto da una quarantina di coltivatori. A Bagnoli del Trigno, borgo incastonato nella roccia, celebre per aver “fornito” tanti tassisti a Roma, il dottor Franco Mastrodonato, esperto di medicina biointegrata, ha realizzato proprio qui il suo sogno. La “Domus” è una Spa con acque termalizzate, ristorante, stabilimento di lavorazione e trasformazione delle piante officinali. Fiore all’occhiello, è il caso di dire, è il Prunus Spinosa con proprietà antitumorali, da cui si ricava il TrignoM, integratore di successo.Oltre alla BioGroup ci sono le Officine Naturali e la Sao, una vera e propria holding che lavora nella produzione e distribuzione del farmaco presso medici, farmacisti e erboristi.

Bonefro, il museo della fotografia “Tony Vaccaro”

Tony Vaccaro, fotografo di fama mondiale di origine molisana, nato negli Stati Uniti, ha trascorso in Molise l’infanzia e l’adolescenza prima di tornare nel 1939 negli Usa per poi essere arruolato nell’esercito come soldato-fotografo e spedito in Europa durante la seconda guerra mondiale. Diventato uno dei più celebri fotografi americani, immortalerà personaggi del calibro di Sophia Loren, JF Kennedy, Pablo Picasso, Leonard Cohen, Vittorio De Sica, Grace Kelly,

La mostra permanente “Shots of life” a Bonefro raccoglie una sintesi della sua carriera. A questa esposizione si è aggiunta “Obiettivo Donna”, inaugurata il 24 febbraio 2018, che focalizza l’attenzione sui ritratti femminili scattati da Vaccaro, tra cui spiccano per intensità quelli di Anna Magnani e Maria Callas.

Museo della Fotografia “Tony Vaccaro”, giovedì dalle ore 10 alle ore 12, sabato dalle ore 10 alle ore 12, domenica dalle ore 17 alle ore 19. Palazzo Miozzi a Bonefro.

Campobasso, il centro storico, il Castello Monforte

Il centro storico medievale di Campobasso merita una visita. E’ un intreccio di ripide scalinate e strette stradine dove sembra che il tempo si sia fermato e gli scorci paesaggistici sono unici. Interessanti anche le architetture. Da non perdere l’area San Leonardo, via Ziccardi, ma anche piazza Japoce e piazza dell’Olmo. Va, purtroppo, annotata un po’ di incuria e la presenza di barriere architettoniche.

Il Castello di Monforte, visitabile all’esterno, è il simbolo di Campobasso. Porta il nome del conte Nicola II di Monforte, il quale restaurò la rocca nel Quattrocento, dopo un terremoto. Eretta in cima a colle, domina la città. Sul torrone quadrangolare principale, all’altezza di 808 metri sopra il livello del mare, c’è una stazione meteorologica, e dalla terrazza del castello è possibile spaziare con lo sguardo fino al Mare Adriatico. La fortezza ha anche un enorme sotterraneo, forse una prigione o un rifugio durante le battaglie.

Campobasso, il museo dei Misteri

Il museo è stato inaugurato il 7 ottobre 2006, ed è costituito da due sale espositive ed una dedicata alle proiezioni. L’intero edificio è incentrato sull’ingegno di Paolo Saverio di Zinno e delle sue opere realizzate a metà del Settecento. Nel giorno del Corpus Domini, da oltre duecento anni, alcuni di questi capolavori sfilano tra due ali di folla per le vie del capoluogo, richiamando l’attenzione di turisti e studiosi delle tradizioni da tutto il mondo. Nel dettaglio sfila per le vie del centro storico una processione caratterizzata da queste strutture di ispirazione sacra, appunto “I Misteri”, realizzate verso la metà del 1700 da Paolo di Zinno, in una lega metallica che non è mai stata riprodotta. Sono rappresentazioni di origine medievale, di santi e concetti religiosi, molto imponenti, che vengono portate a spalla da circa dodici persone.

Capracotta, la Svizzera molisana

E’ uno dei paesi più belli del Molise, anche perché tra i più alti, oltre i 1.400 metri l’abitato. E’ ai confini con l’Abruzzo. Benché svuotato dall’emigrazione, attrae numerosi turisti d’inverno per gli impianti sciistici, per le strutture dedicate agli sport invernali e per i tracciati di sci di fondo. Puntualmente finisce nelle cronache per le nevicate: nel 2015, ad esempio, è finito su tutti i più importanti giornali e tv del mondo, dalla Cnn, al Mirror, dal The Telegraph, fino al Time per gli oltre 256 centimetri di neve caduti in circa 16 ore. Ha battuto il primato del 1921 in Colorado. Ma Capracotta attira turisti anche d’estate per il clima decisamente fresco rispetto all’afa delle città.

Capracotta, l’orto botanico

A Capracotta, località di montagna, a 1500 metri di altitudine, si trova un grande Orto Botanico, che è tra i più alti del nostro Belpaese. Si possono ammirare numerose specie vegetali tipiche dell’Appennino centromeridionale. In un punto panoramico dell’Orto Botanico si possono vedere grandi paesaggi, dalla Maiella fino alle montagne del massiccio del Matese. In una visita all’interno dell’Orto Botanico, oltre a poter osservare una rarità come l’abete bianco, si possono gustare i vari settori dedicati alla conservazione della “biodiversità”, alla didattica ed alla ricerca.

Capracotta e il suo pecorino

Di origini antiche, probabilmente risalente ai sanniti, la produzione di pecorino di Capracotta abbraccia i comuni di Capracotta, Agnone, Carovilli, Pescopennataro, San Pietro Avellana e Vastogirardi, tutti in provincia di Isernia. La crosta è dura e rugosa, di colore paglierino o marrone chiaro secondo la stagionatura. La pasta è dura, untuosa e compatta, di colore paglierino, e il sapore diventa sempre più piccante man mano che passa il tempo. Viene consumato fresco, ma spesso anche fritto, dopo averlo passato nella farina.

Carovilli, il fascino dei cavalli altomolisani

Carovilli è un paese dell’Alto Molise celebre anche per le passeggiate a cavallo. Grazie ad una natura incontaminata e al silenzio, l’area offre suggestioni uniche.

Qui l’Unesco protegge due boschi primitivi di faggi e querce. C’è abbondanza di fiori selvatici, di cui alcuni molto rari. Ogni tanto si attraversa un torrente.

E’ possibile fare trekking e monta di cavalli, con stile western.

Tutto l’anno i cavalli vivono in una mandria.

Informazioni: Altavia Horse Riding Holidays, contrada Colle Arso s.n., 86083 Carovilli (Isernia), cell. 338 4381052 (Carmine), [email protected].

Carovilli, a degustare “stracciata”

Carovilli merita una sosta per gustare la “stracciata” molisana, latticino a pasta filata prodotto con latte vaccino nei comuni di Agnone, Capracotta, Carovilli e Vastogirardi, tutti in provincia di Isernia. Il suo nome deriverebbe da “stracciare”, operazione necessaria per creare questo formaggio dalla forma allungata. Ha un colore bianco candido, è privo di crosta e ha un sapore dolce e delicato, con intensi aromi e sentori di latte fresco. Si consuma subito, oppure dopo qualche giorno, quando diventa spalmabile.

Casacalenda, l’oasi Lipu

L’oasi naturalistica Lipu di Casacalenda, in provincia di Campobasso, occupa i due terzi del Bosco Casale dove sorgeva il Castello di Gerione che, in passato, avrebbe ospitato Annibale. Negli anni Venti la zona è rientrata nel piano dei tagli cedui e il disboscamento programmato ogni 15 anni si è fermato soltanto nei primi anni Novanta, quando il Comune di Casacalenda, proprietario della zona, ha trasformato il bosco in un’area protetta. Da allora, la Regione Molise ha introdotto un’oasi di protezione faunistica, affidata in gestione alla Lipu, in seguito ad accordi con il Comune di Casacalenda e la Provincia di Campobasso.

Casalciprano, il museo della memoria

Casalciprano, piccolo borgo in provincia di Campobasso, merita una visita non solo per la bellezza del paese, per la sua storia e la posizione geografica che regala una vista incantevole, ma anche per il museo a cielo aperto della memoria contadina. Si tratta di un museo, nato nel 2004, sparso per i vicoli del paese. Racconta la storia della civiltà contadina molisana: il lavoro, la vita nei campi, gli attrezzi utilizzati, gli svaghi, i giochi, le curiosità, i luoghi di incontro, le festività. Il tutto raccontato attraverso parole, murales realizzati da giovani artisti italiani, statue, libri di ceramica e pannelli informativi dove sono riportate le descrizioni della scena riproposta che rimanda i visitatori a un periodo non così lontano. Si possono ammirare le statue dei bambini che giocano per le vie del paese, i murales che ritraggono gli uomini nei campi, le stanze di vecchie abitazioni allestite con immagini ed elementi di vita familiare. È un viaggio nel tempo, un modo per non dimenticare le radici del luogo e un’occasione per tenere vivo uno dei tanti meravigliosi paesini del Molise a rischio di estinzione.

Castel San Vincenzo, l’oasi di spiritualità

L’area di Castel San Vincenzo è davvero suggestiva in particolare dal punto di vista naturale in quanto, oltre ad ospitare un bel laghetto artificiale, ben inserito nel contesto, circondato da aree adibite a pic-nic, ha come scenografia la catena montuosa delle Mainarde.

Nei pressi del lago sorgono le sorgenti del fiume Volturno, che dopo aver solcato il Molise caratterizza la provincia di Caserta.

C’è poi un’area archeologica con i resti di un’antica abbazia, un monastero e una chiesa romanica. Luogo, quindi, di grande spiritualità.

Per leggere l’articolo di Ida Santilli, giornalista della rivista Plein Air diretta dal molisano Raffaele Jannucci nonché addetta all’area comunicazione dell’associazione “Forche Caudine”, cliccare QUI.

Castelpetroso, il Santuario dell’Addolorata

In finto gotico, il santuario dell’Addolorata a Castelpetroso è stato eretto alla fine dell’Ottocento in un luogo dove, secondo la credenza, due pastorelle videro la Vergine Maria. Alla prima apparizione ne seguirono molte altre, che spinsero papa Paolo VI a proclamare Maria Santissima Addolorata di Castelpetroso come patrona di tutta la Regione Molise nel 1973.

Civitacampomarano, capitale della street art

E’ una delle “creazioni” più recenti, ma non per questo meno interessanti, offerti dal piccolo-grande Molise. Grazie ad Alice Pasquini, nome internazionale della stree art, originaria del suggestivo borgo di Civitacampomarano, le strade del paese da anni fanno da fondale per il Festival “CVTà – Street Fest”. Il progetto artistico coinvolge un paese intero. Gli abitanti del borgo adottano l’artista e i suoi lavori diventano motivo di orgoglio e punto di partenza per una riscoperta e una valorizzazione del centro antico. La street art a Civitacampomarano non passa inosservata e attira l’interesse della stampa e della televisione nazionale, consolidando un legame che nel tempo si è trasformato nell’idea di questo festival. Ciascuno degli artisti è invitato a eseguire il proprio intervento sulla pelle dell’antico borgo nell’arco dei quattro giorni in cui si svolge la manifestazione, lavorando a stretto contatto con gli abitanti del luogo. Il risultato è una proposta corale capace di offrire, sia a chi passa quotidianamente per quelle strade sia ai visitatori, la possibilità di guardare i vecchi muri logorati dal tempo con uno sguardo tutto nuovo, che nasce dalla cooperazione della comunità con gli artisti ospiti.

Conca Casale e la sua “Signora”

Si chiama “Signora” un salume particolare originario di Conca Casale, piccolo paese vicino Venafro. Si tratta di un salume ricco, originariamente destinato alla borghesia (da cui il nome), prodotto dalle donne più anziane di Conca Casale con il lombo, la spalla, più il lardo della pancetta e del dorso. Oggi la sua ricetta include parti di controfiletto e di coscia. La carne viene lavorata a mano e insaporita con l’aggiunta di pepe nero in grani, peperoncino, coriandolo e finocchietto selvatico. La stagionatura dura intorno ai sei mesi, secondo le dimensioni del salume, che può arrivare a pesare anche 5 chili. L’ideale è accompagnarlo con la “pizza scimia”, focaccia realizzata con l’impasto avanzato dal pane, olio d’oliva e semi di finocchio selvatico.

Duronia, camminando sul tratturo

L’abitato di Duronia, sulla cima di un colle al centro del Molise, è un punto di partenza ideale per godersi il tratturo Castel di Sangro-Lucera, che attraversa il paese proveniente da Civitanova del Sannio da una parte e Torella del Sannio dall’altra. Non a caso Giovanni Germano (padre dell’attore Elio), originario di Duronia, è l’ideatore di “Cammina, Molise!”, originale manifestazione che ogni anno, dal 1995, mobilita centinaia di persone desiderose unicamente di marciare immersi nella natura molisana ad agosto, per quattro giorni consecutivi. Una delle passeggiate più battute da Duronia è in direzione sud-est, verso Torella del Sannio, e ha come obiettivo la Fonte delle Cannavine. I panorami sono magnifici. Il tratturo si mostra in tutta la sua ampiezza: la strada asfaltata ne occupa il lato sinistro e il nostro sentiero ne percorre il lato destro, delimitato dal bosco. Un’altra passeggiata mira al Colle della Civita, richiamando anche visivamente l’eredità sannita attraverso grandi mura megalitiche e quella medievale attraverso una necropoli. Una terza passeggiata, verso Civitanova del Sannio, s’innesta nella frazione di Faito, dove un’edicola dedicata all’arcangelo Michele richiama le gesta dei pastori transumanti.

Filignano e il suo albero

A Filignano, paese non molto distante da Venafro, c’è un tiglio in piazza. Una targhetta posta alla base dell’albero racconta che nell’anno 1752 una duchessa fece piantare tale pianta in un luogo sacro. Il tiglio è quindi testimone di due secoli e mezzo. E infatti porta purtroppo i segni del tempo. Chissà quanto resisterà ancora.

Fornelli, è di scena il medioevo

Alla trasmissione sui più bei borghi d’Italia è arrivato sesto, un piazzamento di tutto rispetto per un paese di una regione piccola e poco sostenuta qual è il Molise. Fornelli è un borgo da visitare perché incarna meglio di altri il medioevo: ha saputo preservare il suo fascino antico, tra cinta muraria, architetture, le sette torri, gli edifici più eleganti come il Palazzo Baronale, con le sue torri circolari. Anche le abitazioni sono ben restaurate, spesso con il sapiente uso della pietra locale. Le strade sono lastricate in porfido.

Frosolone, arrampicarsi sulle rocce

A Frosolone, nella strada di montagna per raggiungere la località di Colle dell’Orso, c’è un’area con la più importante falesia del Molise. Qui provengono climbers da tutta Italia, in particolare per scalare la Morgia Quadra. Su YouTube tanti video per immortalare le imprese di giovani scalatori. Intorno un ambiente incontaminato, ancora con mandrie e greggi, con il sentiero Altair che si snoda attraverso la faggeta.

Frosolone, l’artigianato delle lame

Una delle molteplici tipicità per cui è famosa Frosolone, inserita nella lista dei Borghi più belli d’Italia e con la Bandiera Arancione assegnata dal Touring Club, è la secolare attività di forgiatura delle lame. Qualcuno ne fa risalire le origini addirittura ai sanniti, ma di certo in epoca medievale fabbri veneziani si stabilirono in quest’area dando probabilmente origine a questa lunga tradizione di forgiatura. Nel XIX secolo le lame di Frosolone hanno fatto concorrenza a quelle spagnole di Toledo e tante famiglie di frosolonesi emigrati in America hanno proseguito anche lì la tradizione. Ancora oggi esiste qualche bottega: per i coltelli più legati alla tradizione rivolgersi all’artigiano Rocco Petrunti.

Guardialfiera, il ponte sommerso di Annibale

Il lago di Guardialfiera, detto anche diga del Liscione, è un invaso artificiale realizzato intorno agli anni Settanta per rifornire di acqua potabile parte del Molise. Il lago è attraversato dalla strada statale 647 Fondo Valle del Biferno, conosciuta con il nome di “Bifernina”, che procede verso il Mare. Il lago di Guardialfiera offre scorci interessanti e opportunità di scampagnate. Quando l’acqua dell’invaso è a un livello particolarmente basso, è possibile scorgere l’arcata del cosiddetto Ponte di Annibale, un antico ponte sommerso a causa della costruzione della diga. Una curiosità che è un invito a visitare questo suggestivo paese che, tra l’altro, ha dato i natali allo scrittore Francesco Jovine.

Guardiaregia, l’oasi del Wwf

L’Oasi Wwf-Riserva regionale Guardiaregia-Campochiaro offre un habitat interessante, ricco di flora e di fauna. Due le aree principali: le foreste dei valloni del Tilio-Acerion delle Gole del Torrente Quirino e le faggete a Taxus baccata ed Ilex aquifolium di Monte Mutria e della Montagna di Campochiaro.

Caratteristiche del posto sono il Leccio e il Faggio, che forma fustaie spettacolari. In località “Tre Frati” sono presenti alcuni imponenti esemplari dall’età stimata in circa 500 anni. Alle quote più basse ci sono altre formazioni vegetali quali il carpino nero, il cerro, l’orniello, l’acero di Lobelius, il maggiociondolo e il corniolo.

I prati e le pareti rocciose di Monte Mutria, nella stagione primaverile e all’inizio dell’estate, sono ricchissimi di fioriture molto spettacolari: Crocus, Garofano selvatico, Semprevivo, le genziane e soprattutto, la Soldanella alpina, l’Androsace villosa e la Primula auricola. Inoltre, in diverse zone dell’Oasi è possibile osservare altre importanti fioriture come il Sigillo di Salomone, il Giglio di San Giovanni, il Giglio martagone, l’Aquilegia vulgaris, l’ Anemone dell’appennino, l’Hepatica nobilis, l’Atropa belladonna e oltre 40 specie di orchidee.

Per la fauna, da segnalare la presenza del lupo. Tanti gli uccelli.

Isernia e gli “incappucciati”

In molti comuni del nostro Mezzogiorno, la Settimana Santa è caraterizzata da numerose celebrazioni, come i sepolcri, le processioni e le veglie. Il Molise non è da meno e non mancano le rappresentazioni della Passione, con la rievocazione degli avvenimenti che portarono Gesù dall’ultima cena alla Crocefissione e, infine, alla Resurrezione.

Ad Isernia, il rito del Venerdì Santo si contraddistingue per la presenza degli “Incappucciati”, penitenti delle varie Confraternite della città. Sono chiamati così per il cappuccio che copre il volto e che in questo modo garantisce l’anonimato al rito della penitenza. Presentano lunghe tuniche bianche e sul cappuccio una corona di spine. L’unico segno di riconoscimento è la mozzetta, ovvero una mantellina che va sulla tunica, e che ha un colore diverso per ogni Confraternita.

Isernia, la preistoria è di casa

Tra 700mila e 500mila anni fa, la zona di Isernia era frequentata da numerosi animali dell’epoca e da gruppi di antenati dell’uomo moderno, un po’ come nel film “2001 Odissea nello spazio”. I resti delle attività di caccia, scoperti inizialmente alla fine degli anni Settanta, hanno costituito il sito archeologico di Isernia La Pineta. Questo è oggi il cuore pulsante del Museo nazionale del Paleolitico, meta obbligata per chi vuol scoprire, in un moderno museo, le tappe dell’evoluzione umana attraverso comportamenti e tecnologie preistoriche.

Isernia, il tombolo

Le donne di Isernia si tramandano un’arte che risale al 1400, quando le suore spagnole del convento benedettino di Santa Maria delle Monache introdussero la lavorazione del merletto a tombolo, diffondendo quest’ arte tra le loro educande. Le merlettaie al tombolo utilizzavano il “pallone” (un cuscino a forma di rullo) e i “tummarielli” (piccoli strumenti di legno di varie forme e misure). Per le donne che non andavano in campagna il tombolo era un’attività produttiva destinata alla realizzazione di corredi, tende, lenzuola e copriletti. Per quanto ridimensionata, ad Isernia è ancora presente una comunità di lavoratrici del tombolo. E l’Istituto d’Arte ha aperto una sezione dedicata allo studio del merletto e, quindi, alla conservazione di questa forma di arte autentica, radicata nella memoria e nel territorio.

Jelsi, omaggio al grano

Il “MuFeG”, Museo di comunità della Festa del grano è situato presso il “Convento Santa Maria delle Grazie” e documenta il profondo legame che la comunità di questo paese ha con la Festa del Grano, la cui celebrazione si ripete da oltre 200 anni ogni 26 luglio, in onore di Sant’Anna. Il museo è dedicato allo splendore dei carri lavorati in grano, attività che, nel tempo, ha dato luogo ad una tradizione che nasce da lontano e che oggi trasforma in arte l’antica volontà dei fedeli di rendere omaggio alla Santa mettendo in scena variegate rappresentazioni di carri ed opere in grano. Il MuFeG si presenta come un museo dalla ricca documentazione e varietà di materiali esposti. Il visitatore, infatti, può ripercorrere la storia della festa e tutte le fasi di lavorazione del grano, dal chicco alla spiga, viaggiando tra documenti, quadri, immagini fotografiche, video ed esposizioni dei carri allegorici realizzati in passato.

Larino addolcita dalle “rosacatarre”

Le rosacatarre sono dolci tipici della zona di Larino, di solito preparati per le festività natalizie insieme ai Caragnoli. Il nome deriva dalla forma: si tratta di strisce di pasta a base di farina, uova e olio che vengono avvolte su se stesse ad imitare i petali della rosa. L’impasto viene quindi fritto e intinto nel miele. Può essere lo spunto per una gita a Larino, che è stato importante municipium romano, la cui testimonianza è offerta dalle suggestive rovine dell’anfiteatro con le ville dagli splendidi pavimenti in mosaico. Merita una visita la cattedrale dedicata a San Pardo e all’Assunta.

Matrice, patria del romanico

Una visita a Matrice è doverosa soprattutto per ammirare la chiesa di Santa Maria della Strada, il più bel romanico del Molise. Le origini sono del XII secolo. La chiesa divenne un monastero benedettino, andato in rovina dopo il terremoto del 1465. Il cardinale Orsini di Benevento restaurò la chiesa secolo dopo. Fu riaperta nel 1703. Ha pianta rettangolare con la facciata a salienti, e una torre campanaria staccata a base quadrata. A circa 200 metri a nord della chiesa, negli anni Settanta è stata scoperta una villa rustica del III secolo a.C. A Matrice si può ammirare anche Palazzo Ciaccia, edificio costruito nel Settecento, caratterizzato da un imponente portale, sul quale si nota lo stemma della famiglia. Nel Palazzo Ciaccia c’è anche una cappella con una cupola caratterizzata da raggi dorati, e con le pareti realizzate in marmo artificiale.

Montagano, un pomodoro unico

Il pomodoro di Montagano, paese vicino a Campobasso, è speciale, perché ricchissimo di vitamina A e C, oltre che di potassio. Questa qualità di pomodoro, chiamata Lycopersicum esculentum, possiede inoltre una rilevante concetrazione di licopene, efficace antiossidante.

Montefalcone nel Sannio e il suo “caprino”

I formaggi di capra sono molto diffusi in tutto il Molise, grazie alla presenza di capi allevati allo stato brado. Particolarmente rinomato è il caprino di Montefalcone del Sannio, in provincia di Campobasso, prodotto con latte crudo della razza autoctona locale. È un formaggio a pasta semi dura, con crosta compatta e rugosa, l’interno è bianco e morbido. E’ invecchiato utilizzando un particolare strumento di legno chiamato “cascerache”, appeso al soffitto: qui i caprini stagionano per almeno due mesi. E’ un formaggio che si mangia prevalentemente fresco, spalmato sul pane o accompagnato da verdure e marmellate locali.

Petacciato, due chilometri di pineta

Il comune di Petacciato, sulla costa molisana, offre oltre due chilometri di pineta realizzata negli anni Cinquanta per una superficie totale di circa 65 ettari. E’ l’area Sic Foce del Trigno-Marina di Petacciato. Le foreste sono di pino, non mancano le querce, ma è molto presente l’acacia saligna. Numerose altre piante caratterizzano l’habitat, tra cui il rosmarino.

Pietrabbondante, conversare con i Sanniti

Si chiamava probabilmente Bovianum ed era una delle città principali dei sanniti. A Pietrabbondante, in provincia di Isernia, c’è un intero complesso monumentale di epoca sannita, composto di due templi e un teatro. Quest’ultimo, oltre agli spettacoli, era stato utilizzato anche per le assemblee politiche; ai nostri giorni vi si tiene un festival teatrale. I sedili di pietra scolpita sono gli unici ergonomici dell’antichità.

Pietracatella e il suo formaggio

Pregevole il formaggio di Pietracatella (Campobasso), realizzato con latte di vario tipo (vaccino, caprino, ovino). Ha una crosta leggermente rugosa dal colore giallo paglierino, all’interno la pasta risulta tenera, umida e di colore bianco tendente al giallo man mano che aumenta la stagionatura. La maturazione è fatta nelle mogie, grotte di tufo tipiche di Pietracatella. Si mangia prevalentemente fresco, come antipasto, o accompagnato da verdure locali.

Pietracupa e il Parco delle Morge

Per leggere l’articolo della giornalista Ida Santilli, redattrice della rivista Plein Air diretta dal molisano Raffaele Jannucci, nonché addetta all’area comunicazione dell’associazione “Forche Caudine”, cliccare QUI. E’ un omaggio al suo paese d’origine.

Pizzone, weekend low cost sulle Mainarde

Pizzone è un paesino di montagna nel cuore della catena montuosa delle Mainarde. Per chi ama la montagna, quella autentica e genuina, quest’area fa al caso suo. Il paesaggio aspro e naturale fa da scenografia all’assoluta cordialità delle persone, alle stradine strette e accoglienti del borgo, alla possibilità di fare escursioni sui sentieri del Parco Nazionale. Imperdibile la fauna selvatica del posto, con cervi e orsi in prima fila. Ottima la cucina tipica.

Riccia, la festa dell’uva

La festa dell’uva di Riccia (Campobasso), tra le principali del Molise, ha avuto inizio nel 1932 con i classici carri addobbati e giovani molisane vestite da pacchiane. E’ stata interrotta nel 1939 a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale. Negli anni Cinquanta la festa ha ripreso vigore e negli anni Sessanta s’è registrato il vero e proprio salto di qualità, con il battesimo ufficiale di “Sagra dell’uva”, tenuta nella prima metà di settembre. Immancabili i carri addobbati, per lo più con i momenti della vita contadina, condotti in sfilata con i trattori. A tutto ciò si aggiungono i canti tradizionali, l’immancabile vino e i prodotti gastronomici della tradizione locale. Negli anni più recenti si sono aggiunti altri eventi, come l’esibizione dei gruppi folk.

La festa ha avuto un salto di qualità anche grazie al parlamentare riccese on. Sedati, che è stato ministro dell’Agricoltura negli anni Sessanta.

Riccia e i suoi fagioli

I fagioli di Riccia, molto particolari, animano la festa locale delle Tavole di San Giuseppe. I pasti preparati nel corso di questa festa, per tradizione, vengono offerti alle persone meno abbienti. I fagioli locali hanno un posto centrale in questa tradizione. Coltivati in particolare in una contrada del paese, Paolina, si seminano a fine marzo e si raccolgono a fine agosto o inizio settembre, quando il seme è completamente formato e i legumi ben secchi. Fanno parte di diverse ricette locali: la tradizione vuole che vengano cotti nella tradizionale pignata, una pentola messa vicino al fuoco del camino. Vengono mangiati in insalata, accompagnandoli con la centofoglie, il sedano e le patate, o cotti con la carne di maiale. Una ricetta tipica sono i fasciuole ‘nzuccarate, fatti con cotiche di maiale, olio, aglio, alloro, sedano, sale e prezzemolo.

Rionero Sannitico e la salsiccia di fegato

Uno dei salumi più celebri in Molise è la salsiccia di fegato di Rionero Sannitico, comune montano in provincia di Isernia, ai confini con l’Abruzzo. Per prepararla si utilizzano il fegato, il cuore e i polmoni del maiale, a cui si aggiungono sale, pepe, aglio, buccia d’arancio, alloro e a volte anche il peperoncino. Una volta inserite le salsicce nel budello di maiale, accuratamente lavato con acqua, aceto e sale, si appendono a una canna e si lasciano ad asciugare vicino ad un camino per quattro o cinque giorni. La stagionatura dura circa un mese.

Roccamandolfi, il ponte tibetano

Si tratta di un ponte sospeso con sotto una cascata con acqua cristallina. Nei pressi il ruscello e le forre. E’ un’ottima occasione per un’escursione in questo bel borgo montano di Roccamandolfi, in provincia di Isernia che ci assicura uno stretto contatto con la migliore natura. Ci sono anche i ruderi di un castello da cui è possibile ammirare, nel fondo valle, due piccole cascate incastonate nella vegetazione. Il panorama sulle montagne, d’inverno sempre innevate, è suggestivo.

Roccavivara: Santa Maria di Canneto

Nel comune di Roccavivara (Campobasso) si trova il Santuario di Maria di Canneto, noto semplicemente come Madonna di Canneto. Immerso nel verde della natura che lo circonda, questo luogo suscita rispetto e doveroso silenzio. Gli unici rumori che si avvertono sono quelli degli uccelli e quello delle acque del fiume che scorre nell’area circostante. La chiesa risale ai secoli XI–XII, ma il luogo era già abitato in epoca romana. Dagli scavi effettuati, infatti, sono emersi i resti di una villa romana del I secolo d.C.. Per ulteriori informazioni: www.santamariadicanneto.it.

Rocchetta al Volturno, alle origini dei fiumi

Il Volturno è il fiume più importante dell’Italia meridionale, per lunghezza e per portata d’acqua. In tutto sono 175 i chilometri che separano la sorgente di Rocchetta al Volturno (Isernia) dalla foce di Castel Volturno (Caserta), il punto in cui il fiume si riversa nel Mar Tirreno. E’ il sesto bacino idrografico per estensione e l’undicesimo per lunghezza. Nel territorio molisano, il bacino si estende ad ovest fino alle pendici del monte Greco ed ai monti della Meta del Parco Nazionale d’Abruzzo. Il fiume trae origine da più sorgenti disposte a ventaglio alle pendici di Monte Azzone sulla piana, appunto, di Rocchetta al Volturno. Finisce quindi a Colli al Volturno, dove riceve il Rio Chiaro, quindi verso Venafro, dove crea l’affascinante zona umida denominata “Le Mortine”.

Rocchetta al Volturno, il Museo delle guerre mondiali

Sorto nel 2010 in un antico frantoio, il Museo internazionale delle guerre mondiali è uno spazio espositivo di 900 metri quadrati dove si ripercorre la storia, non solo militare, di un periodo che ha sconvolto e cambiato il mondo. Una ricca collezione di cimeli, alcuni appartenuti agli eserciti di Italia, Germania, Regno Unito, Francia, Stati Uniti sono inseriti in una ricostruzione storica che permette di conoscere la vita da campo, il clima propagandistico, la tecnologia e la scienza medica a disposizione all’epoca. Tra gli oggetti: elmetti, attrezzature radio, medicine, libri, medaglie, manifesti di propaganda, fotografie, bandiere, documenti, prime pagine di quotidiani. Particolare attenzione è data alle divise. Il Museo non è soltanto un luogo espositivo, ma è anche uno spazio dove vengono organizzate presentazioni di libri, studi, dibattiti e ricerche storiche. La sede è in via Neri a Rocchetta a Volturno. Sito: www.worldwarmuseum.com, cellulare 338-8313677.

San Biase, il regno della patata lunga

Prodotta nel piccolo borgo montano di San Biase (Campobasso), questa patata molisana possiede qualità particolari grazie al terreno su cui cresce, il versante nord-orientale dell’Appennino sannita. Dalla forma allungata e appiattita, ha la buccia giallastra o violacea, mentre la pasta è bianco-crema. Sono diverse le tipologie prodotte da sempre in questo territorio, sia per l’alimentazione degli abitanti del paese sia per quella dei maiali, ma la varietà che più si è adattata dagli anni Cinquanta fino ad oggi è la Quarantina del Molise. Si mangiano lesse, al cartoccio o al forno, affettate in padella o fritte.

San Pietro Avellana e il suo tartufo

Pochi lo sanno, ma la maggior parte dei tartufi presenti in Italia, anche in altre regioni, proviene dal Molise. Sono diversi i siti dove si trovano i tartufi bianchi pregiati, tra questi l’area del comune di San Pietro Avellana, dove annualmente si svolge anche un evento settoriale. In Molise si trova anche il tartufo uncinato (nero con verruche a forma di piramide) e lo scorzone estivo, con scorza nera e una forma globosa.

Santa Croce di Magliano e la treccia

La “treccia” è un formaggio grasso, fresco, a pasta semidura filata. A Santa Croce di Magliano (Campobasso) è il formaggio tradizionale delle feste della Madonna dell’Incoronata e del patrono San Giacomo. I pastori la portano a tracolla durante i festeggiamenti. Prodotto con latte vaccino, è privo di crosta, elastico, di colore bianco se fresco, paglierino se leggermente stagionato. Durante la preparazione, dopo la maturazione, la pasta viene tagliata a strisce e fatta filare con acqua bollente. Una volta raggiunta la giusta consistenza si creano dei fili lunghi circa due centimetri, facendoli rassodare in acqua fredda prima e in acqua salata poi. Creati i fili vengono messi su un panno di cotone per formare la treccia. Si consuma prevalentemente come formaggio da tavola.

Scapoli, gli ultimi costruttori di zampogne

Le ultime zampogne molisane, eredi di una lunga tradizione artigianale, vengono fabbricate a Fontecostanza, frazione a pochi chilometri da Scapoli, in provincia di Isernia. Sullo sfondo delle Mainarde, si rinnova questa tradizione legata al mondo pastorale. Realizzate con legno di ciliegio o di ulivo, d’albicocco, di prugno o di mandorlo stagionato al sole, vengono assemblate a pelli di capra o di pecora opportunamente trattate. A Scapoli, alla fine del mese di luglio, da anni si ripete la Mostra-Mercato e Festival della zampogna e si può visitare il Museo che espone strumenti di produzione locale ed estera. Alla zampogna è legata la figura dello zampognaro: fino agli anni Sessanta dal Molise ne partivano a centinaia con direzione tutta l’Italia. Molti filmati d’epoca testimoniano tale usanza.

Sepino, la Pompei del Molise

La zona archeologica di Saepinum, ad Altilia, un paio di chilometri a nord del comune di Sepino, è spesso chiamata “la Pompei sannitica”. I siti sono due: l’insediamento sannita di Terravecchia e la città romana di Saepinum. In origine i Sanniti si insediarono sul monte, da cui controllavano due strade commerciali molto importanti; dopo le guerre sannitiche, durante le quali i Romani devastarono il villaggio, i sopravvissuti lo rifondarono a valle. Di Terravecchia è rimasta solo una parte delle imponenti mura, con tre porte, mentre la romana Saepinum è in uno stato di conservazione migliore: qui si può passeggiare per le vie principali, ammirare le rovine del foro con la basilica, la curia e il mercato, visitare il teatro antico.

Termoli, gli ultimi “trabucchi”

I “trabucchi” sono uno dei simboli della costa marchigiana-abruzzese-molisana e caratterizzano anche Termoli. Per osservarli si può percorrere la passeggiata dei trabucchi che dai piedi del Castello Svevo si snoda lungo la cinta muraria del borgo antico fino a giungere al porto. Queste “macchine da pesca” risalgono all’Ottocento. Tra i più antichi c’è quello di Felice Marinucci, ottocentesco, visitabile a Marina di San Pietro.

Termoli, la strada più piccola d’Italia

Tanti comuni in Italia rivendicano il possesso delle strade più piccole o più strette. Tra questi c’è anche Termoli (Campobasso) con la sua “rejiecelle”, stradina così stretta che da tempo Termoli si contende con altre località il primato per il vicolo più stretto d’Italia.

Trivento. La Cripta

La splendida Cattedrale di Trivento (Campobasso) è celebre anche per una delle cripte più belle del Molise. E’ dedicata al martire San Casto, e, molto probabilmente, databile al secolo XII. La tradizione vuole che sia stata edificata su un antico tempio dedicato a Diana, dopo la morte di San Casto, ritenuto da alcuni primo vescovo di Trivento. La cripta è suddivisa in sette navate, con archi a tutto sesto, e con volte a crociera sorrette da sedici colonne, di cui otto monolitiche, e da due grossi pilastri quadrangolari disposti in tre file e a distanza irregolare tra loro. Gli archi si appoggiano su semicolonne adagiate sui muri che la delimitano e due di queste si trovano al centro delle absidi. Nella cripta si trovano, inoltre, tre statue lignee, datate tra i secoli XII e XIII. Raffigurano due Madonne in trono e Santa Caterina d’Alessandria. Sulle pareti sono presenti degli affreschi, purtroppo conservati in cattivo stato.

Trivento: Parco delle Morge

In Molise c’è una grande ricchezza rappresentata da imponenti rocce sedimentarie che si sono formate in ambienti marini, arrivando in superficie grazie ai movimenti tettonici della crosta terrestre. Si tratta delle Morge. Queste rocce costituiscono il Parco delle Morge Cenozoiche del Molise, un luogo che è possibile esplorare grazie a visite guidate. All’interno del parco si possono svolgere numerose attività: trekking per ammirare le Morge da vicino, visita alle diverse chiese tra cui la chiesa rupestre di Pietracupa, visita al museo della rupe, arrampicate sportive presso la Morgia Pietra Martino, parapendio a Montefalcone nel Sannio, laboratori didattici per ragazzi, immancabili degustazioni enogastronomiche e tanto altro ancora. I comuni che fanno parte del Parco delle Morge sono: Bagnoli del Trigno, Pietracupa, Salcito, Trivento, Limosano, Sant’Angelo Limosano, San Biase, Montefalcone nel Sannio, Roccavivara, Oratino, Castropignano.

Informazioni: www.parcodellemorge.it.

Vastogirardi. la riserva di Collemeluccio-Montedimezzo

Situata nel cuore dell’Appennino molisano, è stata istituita nel 1977 ed inserita nel programma internazionale dell’Unesco Mab-Man and Biosphere (Uomo e Biosfera).

Tutta la riserva è immersa nei boschi e raggiunge quote tra 900 e 1300 metri di altezza, sono presenti cerri, faggi e numerose altre specie autoctone quali l’acero di Lobelius, gli aceri montano, campestre e riccio, il carpino bianco, il frassino maggiore, il nocciolo, il sorbo degli uccellatori, il ciliegio, il pero ed il melo selvatici, il prugnolo e numerose altre specie significative per l’alimentazione della fauna selvatica. Tra gli animali non mancano cinghiali, lepri, tassi, caprioli, martore, donnole, faine, volpi e scoiattoli ma anche uccelli come il falco pecchiaiolo, la balia dal collare, la colombella, la tordela, il picchio maggiore e il picchio minore, la poiana, il gufo, il barbagianni, la ghiandaia e molti passeracei.

Vastogirardi, “Re Fajone”, il faggio del Molise

A Vastogirardi (Isernia) aveva sede l’albero molisano più conosciuto e tra i più antichi d’Italia, con almeno trecento anni di vita: il grande faggio (Fagus sylvatica) denominato Re Fajone, molto fotografato. Aveva una circonferenza di 6,4 metri e altezza di 18 metri. Si trovava in località Valle Santa Maria, all’interno di un bosco, in vicinanza della riserva di Montedimezzo. Nella notte tra il 29 e 30 novembre 2017 è crollato. Tuttavia una parte di tronco è rimasta al suolo con un ramo laterale che ancora è in grado di tirar fuori germogli e foglie. C’è però un secondo grande faggio, che si trova in località Santa Maria, ci si arriva scendendo da masseria Marinelli lungo la strada Vastogirardi-Staffoli. Ha 200-250 anni ed è a quota 1.100 metri sul livello del mare. A Vastogirardi, all’interno dell’area camping Cerritelli, c’è anche un cerro con una circonferenza di 4,92 metri. Alberi, o ciò che rimane, che rappresentano un’occasione per visitare la Riserva demaniale di Montedimezzo, che si estende per 291 ettari da 922 a 1284 metri sul livello del mare. Da Isernia dista circa 35 chilometri (percorrere la “Trignina”, bivio Carovilli San Pietro Avellana.

Venafro e la sua Centofoglie (scarola)

La centofoglie, o indivia scarola venafrana, è una varietà dell’indivia comune (Cichorium endivia) coltivata a Venafro (Isernia). Un ortaggio dal sapore fresco e delicato, di cui si mangiano le foglie, che matura sia in autunno sia in primavera. Ricca di potassio, ha proprietà depurative e diuretiche e si mangia sia cotta sia cruda, come insalata. In Molise si cucina spesso con i fagioli nelle pentole di coccio.

Venafro e gli scacchi

La rivista L’Italia Scacchistica ha annunciato una pubblicazione dedicata alla memoria di Adriano Chicco. In essa la datazione scientifica degli scacchi di Venafro viene definitivamente chiarita al mondo degli studiosi della storia degli scacchi. La prova scientifica è stata ottenuta con il metodo della Spettrometria di Massa con Acceleratore (AMS) presso il Dipartimento di Scienze Fisiche dell’Università di Napoli “Federico II ” e in parallelo a Sidney in Australia presso l’Australian Nuclear Science and Technology Organization Luca Heights Research Laboratories. Si è accertato che le ossa degli animali adulti da cui un antico intagliatore ha ricavato i celebri scacchi ritrovati a Venafro hanno un’età compresa per il 95% in uno dei seguenti periodi: 781 dC – 1040 dC, 1104 dC – 1112 dC, 1147 dC – 1152 dC e che l’intervallo 885 -1017 dC ha una probabilità del 68% per cui la data centrale del 980 dC, non equidistante, è quella che può assumersi con tutta legittimità. Gli scacchi di Venafro sono pertanto provati essere del X secolo. Tale prova scientifica finalmente fa cessare una polemica che era nata nel 1939, quando per la prima volta l’archeologa italiana Olga Elia li aveva presentati all’attenzione degli studiosi pubblicando un interessante articolo sul Bollettino del Museo dell’Impero Romano, 10 (1939) 57-63. La Elia li aveva presentati come “Un gioco di scacchi di età romana”. Convinta sinceramente che lo strato da cui questi pezzi provenivano era quello della necropoli romana (I- IV secolo dC circa), essa li presentò come scacchi (giustissima attribuzione) di età romana, probabilmente importati dall’Estremo Oriente da qualche commerciante o da qualche reduce delle guerre romane in terre asiatiche in quel di Venafro. L’attribuzione dell’età romana oggi è provata esser assolutamente sbagliata. Ma nel 1941 questo non sembrò affatto impossibile ad un altro archeologo, il tedesco H. Fuhrmann, che sul Archaologischer Anzeiger (56-616/629) scrisse che altri pezzi, trovati nelle catacombe di San Sebastiano (utilizzate al massimo fino al V secolo dC) sulla Via Appia antica e conservati nel Museo Cristiano della Biblioteca vaticana e altri pezzi ancora conservati nel Museo del Cairo testimoniavano, per la loro simile foggia, di appartenere tutti ad una stessa famiglia di scacchi e che quindi si poteva tranquillamente concludere che i Romani giocavano a scacchi (cosa errata) e che gli scacchi dovevano essere stati un tutt’uno con il famoso gioco latino Ludus Lutrunculorum (cosa errata).

Nel 1953 il grande studioso di storia degli scacchi, A. Chicco riprese l’argomento sulla “La Scacchiera”rivolgendosi al mondo degli studiosi di scacchi. Da allora nacque una polemica mai spentasi invero sui “Venafro”. Non solo il ritrovamento di Venafro veniva giustamente contestato per non essere stato scientificamente comprovato da un punto di vista archeologico (scoperta casuale), ma la stessa esistenza degli scacchi era a volte stata messa in dubbio (P-Bidev) tanto che A. Sanvito nel 1897 andò al Museo di Napoli e dopo averli visti e toccati, li fotografò . L’anno seguente, in occasione del terzo Congresso del CCI, fece una documentata relazione e i dubbi sulla loro esistenza cessarono. All’estero però si continuava a mettere in dubbio la lor romanità. Questo infatti contrastava con tutte le cognizioni fino ad oggi raccolte sull’origine degli scacchi. In effetti A. Chicco, serissimo studioso di cose scacchistiche, li aveva presentati come fossero davvero stati d’epoca romana (tesi Elia e Furhmann) e benché personalmente assalito da dubbi non aveva potuto né forse voluto intimamente rifiutare, come tanti altri studiosi magari più frettolosi, la possibilità che si trattassero invero di scacchi con datazione antecedente alla usuale data della metà del VI secolo dC.

In effetti anch’io, in collaborazione con A. Sanvito, ho scritto che il limite temporale per un ritrovamento archeologico è tra il 400aC e il 400dC. Se domani si trovassero sotto terra o sott’acqua dei pezzi da gioco con le caratteristiche degli scacchi (come quelli che avevano i “Venafro”) e gli scienziati ce li presentassero con la loro autorità scientifica come antecedenti al VI secolo, dovremmo rifiutarli perché in contrasto con le cognizioni attuali? Certo che no. Se la scienza sarà sicura della datazione dei reperti (scacchi antecedenti al VI secolo dC) dovremo in un domani accettare nuove cognizione. E’ quello che fece Chicco con i “Venafro”, solo che la datazione era onestamente inaffidabile e non basata su prove scientifiche.

La nuova datazione dei Venafro è stata commentata alla Conferenza Internazionale sul radiocarboni di Glasgow (Scozia) come riportato in un articolo della rivista americana Science in Agosto di quest’anno con uno spiritoso titolo ”Scacco matto agli storici degli scacchi”. In effetti più che uno scacco matto agli storici (che in maggioranza ormai più non credevano alla romanità dei Venafro) è stato uno scacco matto alla superficialità di certe affermazioni pseudo scientifiche. Questa datazione con AMS è una riprova che notevoli progressi sono stati fatti nei metodi scientifici per poter definire l’epoca di preziosi reperti senza distruggerli.

Un particolare grazie credo debba attribuirsi da tutti gli storici del Gruppo d’Iniziativa Königstein a Franco Pratesi che è stato l’iniziatore di questo processo di chiarificazione intervenendo personalmente presso la Direzione del Museo Archeologico Nazionale di Napoli con convincenti argomenti per far datare scientificamente i Venafro. E un grazie sia al Museo si al Museo che ha saputo recepire questa istanza sia agli scienziati che hanno saputo datare i Venafro.

(Gianfelice Ferlito da “Informazione Scacchi”, n. 5, 1994]

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