Una delle più grandi e civili opere pubbliche attuate in Italia è il Servizio sanitario nazionale. Dal 1978 ha contribuito allo sviluppo sociale del Paese garantendo all’Italia, negli anni, di conquistare una delle aspettative di vita alla nascita più alte al mondo.
Questa eccellenza, invidiata in tutto il mondo, ha formato professionisti di alto livello che hanno saputo coniugare la modernità con una lunga tradizione italiana nel campo medico.
Ricordiamo, ad esempio, la medievale Scuola medica salernitana, la prima e più importante istituzione medica d’Europa, considerata l’antesignana delle moderne università. O la cosiddetta “scuola sannita” dell’Ottocento che ha annoverato il beneventano Giuseppe Moscati, canonizzato da Giovanni Paolo II nel 1987, Leonardo Bianchi di San Bartolomeo in Galdo, padre della moderna psichiatria, il molisano Antonio Cardarelli, il più importante clinico di sempre, a cui sono intitolati il più grande ospedale del Mezzogiorno a Napoli e l’ospedale di Campobasso (parlamentare per sette legislature dal 1880 al 1904, fu medico di Re e di Papi, di Garibaldi, Enrico Caruso, Giuseppe Verdi, Benedetto Croce, ecc.). Loro allievi o eredi hanno primeggiato in particolare nell’oncologia, come il senatore Giovanni Pascale, fondatore dell’omonimo Istituto napoletano per la cura e la ricerca sul cancro o Carlo Tessitore, padre dello studio delle malattie tropicali, nominato medico di Stato nel Congo Belga.
L’Italia vanta anche ben sei Premi Nobel in medicina: Camillo Golgi (1906), che discusse la tesi di laurea con Cesare Lombroso, il padre della criminologia moderna; il biochimico Daniel Bovet (1957); Salvatore Luria (1969), il padre della genetica batterica; il calabrese Renato Dulbecco (1975), con il suo sequenziamento del genoma umano; Rita Levi Montalcini (1986); Mario Renato Capecchi (2007).
Nei giorni scorsi un disperato appello dei più importanti scienziati italiani ha richiamato l’attenzione sul Servizio sanitario nazionale che rischia concretamente di collassare in modo definitivo in particolare per la fuga dei medici e del personale sanitario, conseguenza quasi naturale dei ripetuti tagli effettuati negli ultimi decenni.
Eppure alcuni numeri dovrebbero far riflettere. Prima del 1978, si verificava la morte di 20 neonati su mille; oggi abbiamo livelli di mortalità neonatale e infantile tra i migliori al mondo. La speranza di vita italiana alla nascita è tra le più alte in tutto il pianeta: siamo a 83,1 anni rispetto ai 73,0 delle media mondiale. Numerosi ospedali restano eccellenze a livello internazionale. Molti professionisti italiani della sanità sono apprezzati in tutto il mondo.
Il problema è che questa situazione sta peggiorando giorno dopo giorno. E nelle regioni meridionali e nelle aree rurali, le condizioni assistenziali sono già compromesse.
Ben altri dati illustrano le prospettive della nostra sanità se non si interviene subito.
Tra i Paesi più avanzati, siamo agli ultimi posti per finanziamento sanitario pro capite: meno di 3.000 euro l’anno a fronte dei 7.300 euro della Germania e dei 6.115 della Francia (fonte Kff Health System Tracker). Tra le conseguenze, gli stipendi italiani nel settore sono inferiori a quelli della media europea: non a caso la “fuga dei cervelli” è inarrestabile, così come il travaso dal pubblico al privato e tra il 2000 e il 2022 sono andati a lavorare all’estero quasi 180mila professionisti italiani.
Anche per i medici di famiglia le prospettive non sono rosse: si prevedono circa 35.200 pensionamenti entro il 2027.
Le infinite liste d’attesa – Mario Giordano sta raccontando settimanalmente i casi più emblematici nella sua trasmissione “Fuori dal coro” su Retequattro – e la chiusura di strutture, nonché la mancanza di personale a causa principalmente del blocco generalizzato del turnover stanno alimentando una deriva sempre più pericolosa. I numeri confermano: negli ultimi venti anni siamo passati da 770 a 516 ospedali pubblici e il numero dei posti letto ogni mille residenti è passato dai 5,8 del 1998 ai 3,1 del 2022 (la Germania ne ha otto, la Francia cinque).
C’è poi il problema dell’incremento dell’età media del personale sanitario: la maggior parte dei medici è nella fascia d’età 55-64 anni, con il 53,3% dei camici bianchi over 55 a fronte di un valore Ocse del 34%.
Altri numeri riportati dal quotidiano Avvenire: mancano 40mila medici, tra ospedalieri e medici di medicina generale, e 65mila infermieri. Sono arrivate a ben dieci milioni di prestazioni urgenti in arretrato. Quattro milioni di persone rinunciano ormai a curarsi a causa delle liste di attesa e dei costi da sostenere per rivolgersi al privato e due milioni di persone si indebitano per curarsi. A causa delle condizioni di lavoro nei pronto soccorso, metà delle borse di specializzazione per l’emergenza-urgenza non vengono assegnate e quindi non abbiamo più medici di emergenza.
Ancora: nel 2025 il finanziamento del Servizio sanitario nazionale sarà pari al 6,2% del Pil, percentuale inferiore a quella di vent’anni fa.
Il crollo della sanità pubblica ha conseguenze inimmaginabili che investono ogni settore e accentuano disparità e ingiustizie. Una vera e propria bomba sociale.
(Domenico Mamone)