Titina Maselli, arte nella suggestione dei luoghi

Titina Maselli, nota pittrice e sorella del regista Citto Maselli, è nata a Roma nel 1924, dove è morta nel 2005.
La famiglia è originaria di Pescolanciano (Isernia), luogo dove è sepolta. Dopo gli studi classici, s’indirizza subito al mondo artistico, mettendosi in luce per numerose opere incentrate su temi già ben definitivi quali la città, la notte e gli stadi, distinguendosi dalla Scuola romana, dal realismo e dall’astrattismo geometrico allora imperanti.
La prima personale, alla Galleria romana dell’Obelisco, ha un presentatore d’eccezione: lo scrittore calabrese Corrado Alvaro.
Nel 1950 partecipa con successo alla Biennale di Venezia, dove espone “Giocatore ferito” e nel 1951 presenta quattro opere alla VI Quadriennale romana.
Dal 1952 al 1955 risiede a New York, dove assorbe la forte suggestione del luogo.
Dal 1955 al 1958 è in Austria, dove elabora un nuovo approccio al colore. Nel 1958 la galleria “La Salita” le dedica una mostra; è presentata in catalogo da Cesare Vivaldi.
Nel 1965 alla galleria romana “La Nuova Pesa” si tiene la sua prima grande mostra antologica, con 34 dipinti dal 1946 al 1965. Il catalogo comprende scritti di Barilli, Crispolti e Morosini.
Nel 1966 promuove un’altra antologica, presentata a Reggio Emilia da Sager.
Dal 1970 decide di vivere a Parigi, pur ritornando spesso in Italia.
Nel 1975 Schefer pubblica a Torino la prima monografia di Titina Maselli, presentata a Milano in occasione della mostra personale alla galleria “Il Fante di spade”.
Nel 1979 viene allestita una grande antologica al Kunstamt Kreuzberg di Berlino, presentata dai critici Aillaud e Dupin, evento che consacra definitivamente l’artista anche a livello internazionale.
Nel 1983 la galleria “Giulia” di Roma espone 18 sue grandi tele con presentazione di Bailly.
Nel 1984 partecipa nuovamente alla Biennale di Venezia, invitata da Trucchi. Nel 1985 Crispolti cura un’antologica alla Pinacoteca di Macerata.
Nel 1988 a Lisbona, presso la Fondazione Gulbenkian, viene allestita una retrospettiva, poi itinerante in varie città italiane.
Nel 1990 al Castello di Mesola (Ferrara) si tiene l’ennesima antologica dell’artista, coronata da successo.
Fin dagli anni settanta la sua attività pittorica è accompagnata da lavori per il teatro:
allestisce scene e costumi per opere di Strawinsky, Beckett, Milhaud, Muller, Pirandello ecc. “Metafore della città” è la mostra postuma, tenuta a Roma, nella primavera del 2006. Si legge nella presentazione: “Un omaggio a Titina Maselli – personalità del tutto originale, forte, estrosa, anticonvenzionale, nella vita e nell’arte considerata artista anticipatrice di vari movimenti, dalla pop art all’iperrealismo – attraverso dodici grandi dipinti, tra i più significativi del periodo più fecondo della sua attività, dalla fine degli anni Sessanta agli anni Novanta”.
La monografia comprende due testi di Titina Maselli (“Frammenti autobiografici” e “Riflessioni sulla pittura”), un contributo del fratello Citto Maselli (“Titina…”), testimonianze, lettere, dediche e poesie.


Titina Maselli
(per i 150 dell’Unità d’Italia – www.150anni.it)
La vita di Titina Maselli è una continua sfida al reale che si realizza attraverso la pittura. Il coraggio di rompere tradizioni, di saper camminare anche da sola pur di mantenere piena autonomia di pensiero e di sperimentazione, la forza di un’intelligenza lucida che ha saputo cogliere l’essenza tragica ed insieme energica della società contemporanea, ne fanno una grande artista, un’artista che ha inventato qualcosa di nuovo, e che quindi è a pieno titolo nella storia dell’arte del ‘900.
Dopo aver compiuto studi classici, Titina s’incammina ragazza sulla strada della pittura, incoraggiata anche dal padre, il critico d’arte Ercole Maselli. All’età di vent’anni vende il suo primo quadro fuori dalla cerchia familiare; lo compra Riccardo Gualino, un collezionista che a Torino, negli anni del dopoguerra, aveva creato un clima culturale molto fertile.
La prima mostra personale è del 1948. Ha appena 24 anni, ma la mostra è importante e segna un esordio che viene notato negli ambienti della critica: «Ella ardisce di mettere in un quadro un telefono, una macchina da scrivere, una di quelle cartacce che la notte fanno un grumo bianco sull’asfalto della città», scrive Corrado Alvaro presentando la mostra.
In effetti i suoi quadri non hanno nulla di accattivante, anzi comunicano «profondo disagio, le passioni di una generazione ancora acerba, ma già provatissima dalla paura e dalla disperazione» (Renzo Vespignani). Nel 1950 partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia (vi sarà ancora presente nel ‘54, nel ‘56, nel ‘64, nell’‘84). La città è sin dall’inizio, e rimarrà sempre, al centro della poetica di Titina.
Nel 1952 va a New York. È una necessità, un viaggio di ricerca: «La città della vita è New York – dirà in un’intervista a Lea Vergine – nel ‘52 sapevo già cosa era, già la volevo questa città sotto i fari, fissata dal lampo del magnesio, […] non morbida […] non condita dal lirico dolente». Vi rimarrà tre anni, per poi trasferirsi nella provincia austriaca dove, in una condizione di isolamento, si concentrerà in una ricerca accanita sul colore.
Tornata a Roma,Titina vi trascorre tutti gli anni ‘60. Sono gli anni in cui in America nasce la Pop art, e la pittura di Titina Maselli, alla luce di questa nuova corrente, sembra poter trovare una «sistemazione».
«Questi giovani artisti vogliono dipingere la cosa in sé. Io invece intendevo dipingere dei conflitti»; anche la valutazione della pittura astratta differenzia la pittura di Titina dalla Pop art: seppure sicuramente figurativa, la pittura di Titina deve molto all’astrattismo, che lei stessa riconosce come fondamentale nelle sue corde.
Negli anni ‘70 si trasferisce a Parigi in una piccola casa-studio, dove gli oggetti e gli strumenti della vita quotidiana convivono con le tele arrotolate, i quadri incompiuti o accatastati che nascono misteriosamente potenti e che sono la sua vera casa.
Nel corso degli anni ‘80 le sue tele si fanno grandissime e lo spazio irrompe prepotente come dimensione fondamentale della sua poetica. La vediamo stagliarsi,
sagoma esile ed elegante, ma anche forte e provocante davanti a una vertigine di piccoli segni, dai colori violentissimi che visti a distanza sufficiente ci riportano sempre alla città, alla sua anima. In questi anni nasce anche l’interesse per il teatro e la collaborazione con registi come Gilles Aillaud, Bernard Sobel e Carlo Cecchi.
Raffaella De Pasquale

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