Autonomia differenziata, l’Italia che vorrebbe la destra

ph Marco Oriolesi (Unsplash)

Una borghesia egocentrica, che già nella nascita ma anche nel suo processo evolutivo non è mai riuscita a sentire lo Stato italiano ancorato ai principi della democrazia, della libertà, dell’eguaglianza e della solidarietà, ha sempre considerato il Mezzogiorno prima terra di conquista e poi serbatoio di voti e manodopera a basso costo, senza disegnare mai un progetto di sviluppo economico uniforme nel Paese e degno di questo nome.

Da anni essa porta avanti l’idea secessionista di una fantomatica Padania elaborata da Bossi e Miglio.

Dopo le tante messinscene di Pontida, l’assist del Governo Amato del 2001 con la riforma del Titolo V della Costituzione, i referendum consultivi tenuti in Lombardia e Veneto il 22 ottobre 2017 ora la Lega torna alla carica con questo DDL 615 il cui primo firmatario è Roberto Calderoli e fissa le disposizioni per l’autonomia differenziata.

È opportuno in ogni caso rammentare e precisare che in passato tale idea era stata avanzata non solo da Attilio Fontana e da Luca Zaia, ma anche da Stefano Bonaccini e Vincenzo De Luca.

Quest’ultimo in una recente conferenza stampa sembra aver rivisto completamente le sue posizioni.

Tra l’altro ricordo anche che l’autonomia differenziata era inserita nel programma del Governo Conte 1.

Dico subito con molta chiarezza che a mio avviso i termini “autonomia differenziata” rappresentano, almeno dal punto di vista politico, una sorta di ossimoro perché l’autonomia secondo il principio di uguaglianza previsto in Costituzione deve necessariamente essere uguale per tutte le regioni e dunque non può avere alcuna differenziazione.

Questa contraddizione è stata fatta rilevare con grande chiarezza dall’arcivescovo di Napoli, Mons. Domenico Battaglia che scrive “La stessa parola ‘differenziata’ significa che l’autonomia non è uguale per tutte le regioni, che essa, appunto, si differenzia tra quelle forti, che con l’autonomia diventeranno più forti, dalle regioni deboli, che paradossalmente diventeranno più deboli.”

La prima cosa che mi chiedo allora è se già su tale questione non ci siano i termini per un’impugnazione del Disegno di Legge presso la Corte Costituzionale.

Sostenendo capziosamente di voler dare maggiore responsabilità ed efficienza alle Regioni a statuto ordinario, Calderoli propone in sostanza che esse possano richiedere potestà legislativa attraverso una contrattazione con lo Stato fino a ventitré materie in attuazione degli articoli 116 e 117 della Costituzione Italiana; infatti alle attuali venti di legislazione concorrente se ne aggiungerebbero tre attualmente di sola competenza statale e cioè l’organizzazione della giustizia di pace, le norme generali sull’istruzione, la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

A tale ragionamento tendenzioso si può solo far rilevare che il miglioramento del governo delle Regioni può avvenire solo combattendo la corruzione e controllando sistematicamente tutti gli atti amministrativi come accadeva un tempo celermente attraverso i Comitati Regionali di Controllo, che sono stati irresponsabilmente aboliti per effetto della legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, o come avviene oggi attraverso i Tribunali Regionali Amministrativi e la Corte dei Conti.

Condizione preliminare per l’attuazione eventuale del DDL Calderoli è la definizione dei cosiddetti LEP, un acronimo che sintetizza la determinazione dei Livelli Essenziali delle Prestazione dei servizi a un livello adeguato, si dice, su tutto il territorio nazionale.

Il trasferimento di funzioni dallo Stato alle Regioni potrà avvenire inoltre per un periodo di dieci anni rinnovabili, nei limiti delle risorse disponibili nella legge di bilancio e con una clausola di salvaguardia che consente al Governo di sostituirsi agli enti locali inadempienti.

Per le Regioni che non chiederanno l’autonomia differenziata è previsto un fondo perequativo di cui si deve ancora determinare la consistenza economica.

Questo Disegno di Legge, così ambiguo e indeterminato nella stesura, è stato approvato in Senato il 23 gennaio con 110 voti favorevoli, 64 contrari e 3 astenuti.

Voglio ricordare che lo sta approvando un governo che non rappresenta certo la maggioranza del Paese perché alle elezioni del 25 settembre 2022 ha ottenuto poco più di 12 milioni di voti ovvero il 44% del consenso dei votanti i quali sono stati il 63,91% degli aventi diritto.

Mi auguro che il mondo degli astensionisti faccia qualche riflessione al riguardo.

Cerco allora di entrare analiticamente dentro le determinazioni di questa legge sull’autonomia differenziata per sottolineare come la furbizia di chi pretende di gestire il potere in modo verticistico non abbia limiti.

Hanno scritto che bisogna definire i Livelli Essenziali delle Prestazioni, ma noi abbiamo tutti credo un po’ di memoria e di saggezza per attenzionare l’opinione pubblica sul possibile inganno che i servizi vengano definiti a un livello talmente minino da non garantire più diritti essenziali in maniera uniforme e qualitativamente efficiente a tutti i cittadini.

C’è chi si illude di poterli determinare anche nei costi dimenticando che questi sono ovviamente variabili nel tempo e con le disponibilità di bilancio.

Abbiamo già l’esperienza dei Livelli Essenziali di Assistenza nella sanità per avanzare tali timori perché rammentiamo bene cosa sono stati durante la pandemia e sono tuttora i servizi per la tutela della salute nella maggior parte delle Regioni.

Avevamo in Italia uno dei servizi sanitari invidiabili che, affidato alle Regioni, ha fatto la fine vergognosa che purtroppo conosciamo.

Visto quanto è accaduto con il Covid, ho sempre pensato che non solo la sanità, ma anche la cultura, l’istruzione, le grandi infrastrutture, l’energia, le comunicazioni, i trasporti e altri servizi essenziali debbano essere di competenza dello Stato e organizzati in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale a livelli di eccellenza e non in termini minimi.

Se i LEP fossero legati ad esempio alle prestazioni pregresse delle singole Regioni, dando la possibilità di migliorarli solo in quelle più ricche, la situazione in Italia sarebbe disastrosa.

Oltretutto anche una garanzia solo indispensabile delle prestazioni nei servizi richiederebbe secondo uno studio dello Svimez tra 80 e 100 miliardi di euro che uno Stato indebitato come l’Italia non si capisce dove dovrebbe trovare.

Già nel giugno 2023 la Banca d’Italia aveva trasmesso una memoria al Senato in cui si avanzava “Il rischio che da tale processo possano derivare maggiori oneri per il bilancio pubblico”.

Dunque, come per il Piano Mattei, bypassando le reali e urgenti necessità dei cittadini, siamo davanti a un teatrino grottesco in vista delle elezioni europee con accordi trasversali tra Fratelli d’Italia e Lega su Premierato e autonomia differenziata come specchietti per le allodole all’elettorato di riferimento.

Solo che tali escamotage elettoralistici di basso profilo rischiano poi di rovinare il Paese.

La frammentazione delle competenze a livello locale creerebbe sicuramente problemi economici e regolativi per aziende con sedi in più regioni, ma anche pericolose disuguaglianze determinate dalla possibilità di salari aggiuntivi da parte di ogni Regione anche in settori oggi affidati alla pubblica amministrazione.

In tal caso, in una specie di dumping per le Regioni meridionali, dove volete che vadano i lavoratori più qualificati nei diversi settori di attività economica?

La stessa possibilità di trattenere parte del gettito fiscale sul territorio, senza ancora sapere in quale misura, creerebbe difficoltà e discriminazioni.

Sarebbe ad esempio corretto trattenere in una Regione le tasse di un lavoratore che vi svolge la sua professione pur risiedendo in un’altra?

Non possiamo poi assolutamente lasciare l’istruzione e la sua programmazione a livello locale perché ciò sarebbe una iattura per il sistema scolastico e una discriminazione inaccettabile dei cittadini dovuta a risorse, programmi, modalità di reclutamento territoriale e funzionamenti differenziati.

Tutto ciò semplicemente non tutelerebbe più l’unità giuridica ed economica del nostro Paese aumentando oltretutto l’apparato burocratico e la diseguaglianza tra i territori.

Un Disegno di Legge come il 615 di Calderoli che si limita a indicazioni generali, senza definire almeno alcuni dettagli sulle determinazioni da assumere, lascia veramente assai perplessi per usare proprio un eufemismo.

Ci risulta che la maggioranza di governo stia già lavorando sui territori per dare la sua lettura degli aspetti trattati nella legge, ma limitando tale confronto con i sindaci piuttosto che con l’intera cittadinanza o affrontando il tema nei comizi elettorali dove ovviamente non c’è riflessione allargata ma solo propaganda.

Il problema centrale in ogni caso è rappresentato dalle azioni politiche da porre in essere perché con l’eventuale approvazione del provvedimento anche alla Camera non si creino danni irreversibili per l’Unità dell’Italia e i diritti dei suoi cittadini.

Intanto, escluso l’interesse a raccogliere voti che oltretutto con un partito fortemente schiacciato dall’evaporazione è sempre più difficile ottenere, non si riesce a comprendere come dei meridionali riescano a seguire tali progetti politici così penalizzanti per il Sud e possano addirittura candidarsi con un partito come la Lega.

Il continuo trasformismo per fini elettorali e di potere in Italia è un fenomeno dilagante, ma in tale caso manifesta assoluta assenza di coerenza rispetto alle istanze da rappresentare.

Ovviamente ancora meno si può accettare che una popolazione deprivata di diritti dia consenso elettorale a tali candidati.

La mia netta sensazione poi è che le forze di opposizione al Governo Meloni non solo navighino nel buio, ma stiano diventando così rissose da non riuscire più a dare alcuna direzione al loro percorso politico.

Occorre con urgenza elaborare strategie di opposizione decisa a un provvedimento iniquo che produrrà danni pesanti per le Regioni più povere.

Il problema è che in questo momento mi pare che non ci sia un’opposizione in grado di porre in essere valide azioni di contrasto alle decisioni del Governo e tantomeno capace di elaborare un progetto politico alternativo.

Sul DDL Calderoli c’erano già le possibilità di animare la coscientizzazione dell’opinione pubblica e nulla si è visto in merito neppure durante la discussione dello stesso al Senato né da parte dei media e tantomeno dai partiti politici.

Nessuna manifestazione pubblica di confronto tra amministratori, sindaci e cittadini mi risulta sia prevista ancora in merito.

Vincenzo De Luca in una conferenza stampa ha lanciato un’iniziativa che credo dovrebbe coinvolgere tutti i sindaci e i Presidenti delle Regioni del Sud.

Anche al riguardo purtroppo nessun segnale!

Se tutto tace e, come si dice da noi, “chiuderemo le stalle quando i buoi saranno già scappati”, non possiamo attaccarci alle speranze di qualche modifica banale del provvedimento.

Occorre al contrario eliminare il pensiero discriminatorio che sottende tali disegni di legge che sono anticostituzionali per la negazione del diritto all’eguaglianza dei cittadini e la totale cancellazione del concetto di solidarietà.

Spero che il presidente Sergio Mattarella non lo firmi dichiarandone l’incostituzionalità o che in alternativa lo si sottoponga a referendum.

Davanti a un disegno dell’Italia egocentrico e discriminatorio come quello proposto dalla Lega serve intanto una mobilitazione di massa senza la quale il DDL 615 passerà anche alla Camera dei Deputati.

Termino queste riflessioni proponendovi sul tema trattato ancora l’accorato e bellissimo appello dell’arcivescovo di Napoli.

Che il Vangelo e la Costituzione, in questo tempo complesso e difficile, che chiede la generosità e l’impegno politico di tutti, ci tolgano il sonno, divengano un peso sulla nostra coscienza, fino a quando ogni riforma e ogni legge, anche la più piccola, non sia orientata al bene di tutti, iniziando dai più fragili”, così da far crescere “una comunità rinnovata, fondata sulla solidarietà, sulla giustizia, sulla pace“.

(Umberto Berardo)

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