Autovelox e autodafè, dalla Ferragni alla ferraglia

La denominazione, sulle prime abbastanza ermetica, in realtà rimanda ad un flessibile. È quello con cui l’Anonymous della profonda provincia veneta trancia di netto gli autovelox. Un raptus – sociale o antisociale, a seconda dei punti di vista – da giustiziere della notte. O da uno di quegli eroi cinematografici che debbono le fortune al fisico austroungarico di Arnold Schwarzenegger, montagna umana prestata alla celluloide e alla carica di governatore della California.

“Fleximan”, questa sorta di fumetto materializzatosi nel Nord Italia, è il nuovo protagonista dei nostri tempi pazzi. Non solo meteorologicamente. Perché la reiterata strage luddista dei rilevatori di velocità, compiuta dal Robin Hood dei giorni nostri, si candida a diventare l’argomento di apertura dei telegiornali, in queste stagioni di facile distrazione di massa. Eclissatasi la Ferragni, la nuova valanga è fatta di ferraglia.

Gli autovelox, del resto, rappresentano l’antitesi alla cultura popolare anarcoide di un Paese mediterraneo. L’insofferenza alle gabelle, per quanto giuste che siano, è atavica e richiama tasse straniere nel bel suol patrio. Un fiorino, se vuoi passare, il doppio se vuoi decidere tu anche la velocità. Non fa niente che alcune strade siano degne del terzo mondo. Dura lex sed lex.

Tutto ciò, forse, spiega perché, come per tutti i lupi solitari inafferrabili, le gesta temerarie, per quanto un po’ vigliacche, del Masaniello di turno diventino sublimi per il popolo. I leoni della tastiera non aspettavano altro. Ma anche l’editorialista di costume. E qualche street artist. Come Evyrein, che sui muri di Padova ha lasciato un disegno che richiama Beatrix, la sposa protagonista di Kill Bill interpretata da Uma Thurman, che sfodera la sua spada mentre, nell’altra mano, tiene un autovelox tranciato di netto.

Se in Piemonte l’immancabile emulo è stato smascherato dai carabinieri – un cinquantenne accusato di avere sradicato due colonnine per il rilevamento della velocità nel comune di Druogno – e in Lombardia la conta dei danni è ferma ad una beffarda “macchinetta” cremonese – in realtà è il “Fleximan” veneto, probabilmente in quella provincia – Rovigo – che accompagna da anni il Molise nella “non esistenza”, a polarizzare attenzioni, e persino più di qualche benevolenza, per aver annientato ben tredici autovelox in un’azione alla Francesco Baracca.

La caccia è serrata e questo aumenta il pathos del pubblico non pagante: sarebbero almeno un centinaio le “gazzelle” della pubblica sicurezza impegnate nella caccia all’uomo nelle province venete interessate, in un finale probabilmente più alla Blues Brothers che non all’autodafé per l’autovelox profanato, con cerimonia pubblica dell’abiura. E tutto ciò mentre si discute e ci si accapiglia sul limite di 30 chilometri all’ora in città.

Di certo, al di là dell’ironia, la vicenda è serissima. I danni sono molto ingenti e molti sindaci non intendono reinstallare gli autovelox abbattuti, rischiando di appesantire ulteriormente i già esigui bilanci pubblici. Ma soprattutto l’alta velocità è tra le prime cause degli incidenti stradali: proprio in queste ore i due giornalisti Paola Di Caro e Francesco Valdiserri hanno ricordato il figlio 18enne morto poco più di un anno fa sulla Cristoforo Colombo a Roma, un giovane pedone a cui l’impietoso destino ha fatto incontrare un’automobilista ubriaca con un mezzo ad 80 chilometri orari, trenta oltre il limite consentito. Lo scorso 19 gennaio al Teatro Palladium dell’Università Roma Tre, in Garbatella, è andato in scena “Il posto giusto. Francesco e il suo mondo: come trasformare una morte in vita”, una serata dedicata alla sicurezza stradale. Sarebbe utile farlo sapere ai due incappucciati, ripresi dalle telecamere ma non ancora individuati dalle forze dell’ordine, che in provincia di Rovigo hanno “segato” l’autovelox per poi fuggire a bordo di un auto con la targa oscurata. Rischierebbero da sei mesi a tre anni per la distruzione di cose mobili o immobili altrui (art. 635) e, probabilmente, anche l’interruzione di pubblico servizio (art. 340), che vedrebbe la reclusione fino a un anno. Per quanto, non dimentichiamocelo, siamo in Italia.

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