Sembrava ormai immortale, visto anche il superamento, da indomabile combattente, di tante problematiche di salute che hanno accompagnato il suo ricco percorso esistenziale. E invece anche per Silvio Berlusconi è arrivato il mesto appuntamento con la fine, che segna la chiusura di un’èra. Imprenditoriale, politica, storica.
Oggi – sia da sostenitori sia da avversari – si fa fatica a prendere coscienza della sua uscita di scena. Ci si sente un po’ tutti orfani. Non si riesce ad immaginare un agone politico privo dei suoi sempre imprevedibili interventi.
Se volessimo utilizzare, con ardire assoluto, un solo aggettivo per incasellarlo, potremmo ricorrere a “seduttore”. Una sorta di eterno Vittorio Gassman, simpatico, istintivo, anticonvenzionale e sempre volutamente un po’ guascone. Un italianissimo trascinatore, tra pregi costruiti sulla creatività e su intuizioni spesso geniali, ma anche subendo le tante accuse per un personalismo senza misure, quasi sempre ricco di retorica e a volte spietato, che ha annullato ogni “vecchio” modo di far politica.
Ripercorrerne la biografia in poche righe è impossibile. Ripensando alla sua vita vengono in mente i frame di una pellicola sempre da “polvere di stelle”. L’affabile chansonnier sulle navi da crociera e l’abile venditore, l’ingegnoso impresario edile creatore di “Milano due” con la tv via cavo, l’uomo che si è fatto da solo sfruttando però le giuste amicizie.
Poi Sua Emittenza con Fininvest che ha americanizzato il costume italiano con flebo di Dallas, Beautiful, Drive in, Non è la Rai. E l’artefice dei trionfi calcistici internazionali del suo Milan (e persino con il Monza non ha sfigurato). Fino all’ideatore della clamorosa “discesa in campo” con Forza Italia per non consegnare il Paese ai “comunisti” (un’operazione di marketing da manuale).
Quattro volte premier con un protagonismo ormai internazionale e una ricchezza sempre esibita (la Reggia rappresentata dalla Villa di Arcore), ha letteralmente diviso in due il Paese, sdoganando le destre leghiste e missine pur di isolare la sinistra, conquistando nel contempo imprenditori e operai, ricchi del Nord e disoccupati del Sud, cattolici integerrimi e peccatori, contrapponendoli a chi “non ci voleva stare”.
Le barzellette, le canzoni francesi o napoletane, il “Meno male che Silvio c’è”, il linguaggio chiaro e diretto degli slogan, “meno tasse per tutti”, il contratto con gli italiani, le provocazioni nei consessi istituzionali. Le donne e i processi, materie che hanno sempre confermato i suoi eccessi. Quando sono apparse le stelle di Bolsonaro e Trump, tutti hanno pensato come Berlusconi sia stato un avanguardista anche lì.
C’è stata poi la parentesi del Berlusconi fisicamente decadente degli ultimi anni, infiacchito ma mai arreso: in fondo molti avversari, compresi i tanti giornalisti che ieri l’hanno perseguitato ed oggi sfornano “coccodrilli” morbidi, gli hanno riconosciuto l’onore delle armi per un centrodestra democratico, liberale, europeista, lontano da ben altre chimere.
Paradossalmente, nel bilancio politico finale, si smussano proprio gli eccessi d’amore e di odio. A destra lo si critica per la mancata “rivoluzione liberale”, per un Paese rimasto sostanzialmente fermo per un ventennio. A sinistra gli si riconosce l’aver incarnato la migliore destra, lontana dai crescenti sovranismi che agitano l’Europa.
Chissà, tra le differenti visioni, quale prevarrà tra molti anni sui libri di storia.
(Domenico Mamone)