Capitale della cultura, l’Abruzzo spegne i sogni del Molise

C’hanno creduto ad Agnone. Il sogno di diventare Capitale italiana della cultura 2026 è stato collettivo. E sarebbe stato un bel traguardo per tutto il Molise, specie in una fase in cui la regione rischia di implodere.

Non c’è stato nulla da fare, purtroppo. L’impresa, del resto, era davvero onirica, persino un po’ utopistica, certamente disperata soprattutto per i numeri in campo: il paese altomolisano non arriva a cinquemila residenti a causa del dissanguamento migratorio, mentre i competitor, oltre ad incarnare anche capoluoghi di provincia, vantavano ben altri numeri. “Ritenta, sarai più fortunato” recita un antico adagio benaugurante per il futuro, quando casomai potranno essere Isernia, Campobasso o Termoli a tentare la sorte, anche sulla base dell’esperienza di Agnone.

Vane anche le discese in campo di due testimonial “locali”, benché entrambe non nate in Molise ma con padri di origine molisana: la scrittrice Chiara Gamberale e l’attrice Alessandra Mastronardi, con padre, Luigi, di Villacanale.

Resta comunque importante il tentativo di Agnone, incluse tra le dieci finaliste del concorso nazionale.

A vincere il titolo nella sala Spadolini del ministero della Cultura è stata L’Aquila, che avrà anche un milione di euro, oltre ai flussi turistici assicurati dall’investitura. Qualche maligno ha accostato il risultato dell’investitura a quello elettorale di qualche giorno fa, quando il capoluogo abruzzese ha riversato il 75% dei voti al candidato del centrodestra. Illazioni. Però, per il Molise, comunque la si rigiri, è un’ulteriore sconfitta che rende ancora più nero il periodo che sta vivendo la più piccola regione del Mezzogiorno, stretta tra crisi economico e addirittura il rischio di scomparire come istituzione regionale, con grande enfasi sulla stampa nazionale.

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