BALDASSARRE LABANCA



Altri protagonisti

Oltre ai “nomi più celebri” (raccolti nella sezione precedente), esistono tantissime persone d’origine molisana che si sono fatte onore nel proprio ambito. A loro abbiamo pensato (e intendiamo onorare), dando vita a questa sezione.
Essendo, però, davvero numerose le persone d’origine molisana sparse per il mondo, risulta difficile comporre una galleria sintetica di “protagonisti”.
L’elenco, pertanto, diviso nelle sottovoci “Italia” ed “Estero”, vuole essere puramente esemplificativo, ovviamente aperto ad ulteriori segnalazioni.


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Baldassarre Labanca intellettuale molisano, è nato ad Agnone nel 1829 da una dignitosa famiglia di commercianti.
Dopo aver frequentato le scuole elementari, inizialmente studia con Luigi Mario, un sacerdote liberale iscritto alla carboneria, zio della madre. Ma è un certo ambiente culturale del paese altomolisano – caratterizzato da un manipolo di professionisti e di sacerdoti liberali, i quali, nella prima metà del secolo, aprono scuole private lontane dalle teorie controrivoluzionarie e dopo l’Unità si fanno interpreti delle esigenze del territorio molisano – a condizionare sin dall’inizio la formazione del Labanca, tesa, nella maturità, a conciliare su un unico percorso esigenze di libertà e di fede cristiana.
Vocato al sacerdozio, dal 1845 al 1847 è, con il fratello Antonino, seminarista a Trivento. Rientrato ad Agnone per l’improvvisa morte del padre è costretto da Francesco Paolo, il fratello maggiore, a spostarsi a Napoli non solo per continuare a studiare, ma anche per curare gli affari del negozio paterno.
Nella capitale ha modo di seguire le lezioni del Palmieri, del Cucca, del Margaris, del Toscano, del Melillo e, per qualche tempo, quelle del De Sanctis.
Partecipa ai moti del 15 maggio e, benché non faccia parte di alcuna società segreta, è arrestato dalla polizia borbonica e rinchiuso in carcere, ove subisce pene così severe tanto che i suoi polmoni e la sua vista vengono irrimediabilmente compromessi.
Dopo un mese e mezzo di detenzione è rilasciato con l’obbligo di allontanarsi da Napoli e di rientrare ad Agnone. Egli, però, continua a vivere nella capitale sotto il falso nome di Francesco Paolo dell’Acqua-Fontana. Tale scelta è dovuta anche al fatto che il fratello maggiore, condannato anch’egli al domicilio coatto per le idee liberali che professa, induce Baldassarre a non partire al fine di curare le attività commerciali della famiglia. Riconosciuto dalla polizia, il giovane studente agnonese è nuovamente rinchiuso nelle carceri partenopee; ma il grecista Emidio De Ruggero di Castel di Sangro e il sacerdote liberale Vincenzo Camberale di Agnone riescono a farlo liberare, sborsando cinque lire a una persona influente della polizia.
Nel 1853 il Labanca è unto sacerdote e fino al 1855 vive ad Agnone dando lezioni private. Dal 1855 al 1856 si trasferisce nel seminario di Altamura per insegnare filosofia, grazie all’invito rivoltogli da monsignor Falconi di Capracotta, dopo le sollecitazioni di Francescantonio Marinelli, altro sacerdote liberale di Agnone, caro amico di Baldassarre.
Ma lo spirito libero del nostro non piace al presule capracottese e, pertanto, nel 1856 il Labanca lascia Altamura e ritorna per pochi mesi nel paese natio. Da qui si reca a Diano, dove rimane per brevissimo tempo a causa dei tristi eventi del 1857 segnati da un violentissimo terremoto. Si reca, quindi, a Conversano dove rimane fino al 1859.
Sono questi gli anni più importanti del Labanca che, in questo tempo, matura il graduale e decisivo distacco dal mondo cattolico, nonostante la profonda amicizia che lo lega al noto vescovo giobertiano Giuseppe Maria Mucedola di Conversano.
Nel 1859 partecipa, sollecitato proprio dal Mucedola, ai moti insurrezionali pugliesi; parte, poi, con i garibaldini e con il sacerdote liberale Domenico Morea che, dopo la morte del Mucedola, avvenuta nel 1863, diviene rettore del seminario di Conversano. A Baldassarre questi affida non solo il compito di perorare la causa unitaria, ma anche delle consistenti somme di denaro per guadagnare aderenti alla insurrezione patriottica. A Santeramo, però, l’agnonese rischia il linciaggio del popolo che, sobillato dalla reazione sanfedista, è ancora una volta estraneo agli intenti politici degli intellettuali.
Dal 1861 inizia per il Labanca la carriera laica di professore di filosofia e da questo anno fino al 1868 insegna nel liceo di Chieti; dal 1868 al 1871 è in quello di Bari, città ove studia la lingua tedesca per poter leggere direttamente i testi dei filosofi d’oltralpe. Nel 1871 vince il concorso per il liceo «Parini» di Milano; si trasferisce, così, nel capoluogo lombardo ove cinque anni dopo, grazie all’amicizia che ha stretto con Ruggero Bonghi, ottiene l’incarico per la cattedra di filosofia morale presso l’Accademia Scientifica di Brera. A Milano lo raggiunge da Napoli il nipote Vincenzo, figlio di Francesco Paolo, laureato in giurisprudenza e in lettere, che s’inserisce nel gruppo di Torelli-Vollier per la fondazione del «Corriere della Sera».
Un contrasto fra il Bonghi, ministro della Pubblica Istruzione, e l’Ascoli, preside dell’Accademia milanese, determina, però, l’inaspettato ed improvviso trasferimento del molisano a Napoli il quale, così, ritorna all’insegnamento nelle scuole superiori. Per tre anni è docente del «Genovesi», liceo così chiamato per la proposta da lui fatta in una riunione plenaria. Nel 1878 passa al «Vittorio Emanuele» e l’anno dopo vince il concorso per la cattedra di filosofia morale dell’Università di Padova, ove si trasferisce. Nel 1881 passa all’Ateneo di Pisa, poiché il clima umido della città veneta gli nuoce fortemente alla salute, resa precaria dalle persecuzioni borboniche.
Nel frattempo sposa la governante, Elvira Badii, vedova di un impiegato del Parlamento, molto più giovane di lui. Il matrimonio non è per i due un vincolo d’amore, ma solo un reciproco patto di mutuo soccorso. Elvira, però, muore prematuramente, lasciandolo solo con una anziana domestica, tale Artemisia Tardani.
A Pisa scrive e pubblica il Cristianesimo primitivo (1886) che gli consente di trasferirsi all’Università di Roma per insegnare Storia delle Religioni, non da titolare, ma da comandato e senza alcun compenso speciale. Dopo sette anni, in virtù della legge Correnti, il Labanca è riconosciuto nei ruoli dell’Ateneo romano, dove, dal 1887, la cattedra di Storia delle Religioni, per suo volere, era stata trasformata in Storia del Cristianesimo.
Muore a Roma nel 1913, assistito dai nipoti Ciro e Federico. A quest’ultimo lascia l’incarico di amministrare la Biblioteca pubblica che aveva fondato come Ente Morale ad Agnone nel 1911 e che era stata riconosciuta con il Rgio Decreto del 9 febbraio 1911, numero 113.

(Ada Labanca*)

*Vita ed esperienza religiosa di Baldassarre Labanca

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