Da Soumahoro al Mose, differenti visioni del mondo

Immagine d’epoca di Venezia sott’acqua

Due vicende di primo piano dei nostri giorni, in apparenza sembrerebbero lontane tra loro. Invece, a ben vedere, incarnano due opposte concezioni del mondo che, benché lodevoli entrambe, quasi sempre non riescono ad armonizzarsi. Incarnano, infatti, i perfetti ritratti ideologici di una certa destra e di una certa sinistra. Ci spieghiamo meglio.

Il primo episodio, che sta generando notevole scalpore, è quello che riguarda, seppur indirettamente, Aboubakar Soumahoro, il sociologo e sindacalista 42enne, nato in Costa d’Avorio, che ha acquisito notorietà come paladino dei diritti di migranti, braccianti, sfruttati. “Invisibili”, come li chiama lui.

Soumahoro è diventato celebre attraverso manifestazioni e azioni clamorose, come quando nel 2020 si è incatenato nei pressi di Villa Doria Pamphilj, dove si svolgevano degli Stati generali dell’economia presieduti da Giuseppe Conte, attuando uno sciopero della fame e della sete. Nello stesso anno ha organizzato in piazza San Giovanni in Laterano, a Roma, gli Stati popolari degli invisibili: dopo aver lasciato il sindacato di base Usb ha fondato la “Lega dei braccianti” con chiari riferimenti a Giuseppe Di Vittorio, tanto da essere aspramente criticato dalla Cgil per “appropriazione indebita” del sindacalista pugliese e dall’Usb per la destinazione di alcuni fondi.

Con le sue lotte, Soumahoro è andato sostanzialmente a colmare un vuoto di rappresentanza. Tanto che la lista Alleanza Verdi e Sinistra lo ha subito traghettato in parlamento insieme ad un altro punto di riferimento della sinistra antagonista, Ilaria Cucchi.

Ora si parla di lui per vicende giudiziarie che stanno interessando a Latina suoi familiari, accusati con la loro attività imprenditoriale di aver negato i diritti a quegli “invisibili” per cui si batteva l’illustre “parente” oggi deputato (sospeso). Ribadendo, da parte nostra, il garantismo che ci caratterizza da sempre, oggi dovuto ai parenti e allo stesso Soumahoro (che non è indagato), tuttavia questa vicenda pone sotto accusa soprattutto quell’ideologismo intellettuale e mediatico che a sinistra crea facilmente miti assoluti.

La “leggenda” Soumahoro è stata alimentata inizialmente da Diego Bianchi e dal suo programma Propaganda live su La7: il giornalista romano s’è imbattuto nel sindacalista africano nel corso di una trasferta in Calabria, garantendogli notorietà a più riprese. Tanto che nell’ultima puntata ha detto chiaramente di essere “arrabbiato” con lui – usiamo un eufemismo – per questa vicenda. Il settimanale L’Espresso gli ha poi offerto la rubrica “Prima gli esseri umani” (e ben tre copertine), mentre il sito HuffPost di Lucia Annunziata e Alessandro De Angelis gli ha garantito un blog personale.

Paolo Mieli, ospite del programma L’aria che tira, ha ricordato che tutta quella sinistra “televisiva e letteraria” che lo ha idolatrato, oggi lo ha prontamente scaricato e ha rievocato un altro analogo “mito” con simile dedizione, Mimmo Lucano, condannato ad oltre tredici anni, domandandosi come mai per lui non sia stato riservato lo stesso trattamento.

Soumahoro un po’ di male se l’è fatto da solo soprattutto nella gestione mediatica di questa vicenda. Prima ha diffuso un video sui social, diventato virale, in cui, piangente, ha provato a difendersi con scarse argomentazioni. Poi nell’intervista concessa a Corrado FormigliPiazza Pulita ha offerto risposte vaghe, tanto da provocare una levata di scudi sui social. Formigli, ad esempio, gli ha rammentato che mentre non si trovavano i soldi per pagare i dipendenti, si sono trovati 240mila euro che i dirigenti della cooperativa Karibu si sono spartiti nel 2021: il deputato ha detto di non saperne nulla e difendendo la moglie che pubblicava foto su Instagram con vestiti e borse griffate (mentre la cooperativa di cui faceva parte non pagava gli stipendi) ha aggiunto: “Mia moglie con i bauli di Louis Vitton non mi ha creato alcuna forma di imbarazzo. E ritengo che il diritto all’eleganza, il diritto alla moda, è una libertà. La moda non è né bianca né nera. La moda è semplicemente umana”.

Nelle stesse ore in cui andava in onda tutto ciò, le barriere del Mose di Venezia, in funzione tutti i giorni dal 21 al 25 novembre 2022, hanno fronteggiato una marea eccezionale di oltre 170 centimetri, salvaguardando di fatto la città lagunare. Cioè l’economia degli alberghi, dei ristoranti, dei bar, dei tanti negozietti, ma anche delle agenzie immobiliari che tornano a vendere i piani bassi delle case. Pur con tutte le vicissitudini che hanno accompagnato questo “modulo sperimentale elettromeccanico” (da qui l’acronimo Mose), la realizzazione si sta dimostrando utilissima: eppure è stata a lungo criticata e contrastata proprio da quegli ambienti ideologici “televisivi e letterari” vicini a Soumahoro da sempre fermamente contrari alle “grandi opere”.

Certo, la sua ideazione è stata lunghissima, i primi progetti risalgono al 1980 e la “prima pietra” al 2003. Il suo costo è lievitato nel tempo: dai due miliardi iniziali ai sei e mezzo finali. Ogni innalzamento costa circa 240mila euro. Ma queste settantotto paratoie mobili in metallo, collocate in cassoni di calcestruzzo alle tre bocche di porto della laguna (che già hanno bisogno di ammodernamenti), separando temporaneamente la laguna dal mare quando è previsto un evento di acqua alta, stanno salvaguardando l’economia (e le strutture) di un’intera città, tra le più belle del mondo, con un fatturato commerciale di oltre tre miliardi di euro. L’intervento dei giorni scorsi ha salvato Venezia da una mareggiata inferiore solo a quelle del 1966 e del 2019.

In questi giorni i politici del governo Meloni, rilanciano il ruolo delle grandi opere e indicano un parallelo tra il Mose di Venezia e il Ponte sullo Stretto. Un altro modello è il Ponte di Genova di Renzo Piano costruito in tempi record.

L’atteggiamento nei confronti dell’immigrazione, tra apertura incondizionata e numeri contingentati, e quello sulle grandi opere, tra fautori e oppositori, conferma due visioni diametralmente opposte del mondo tra destra e sinistra.

(Domenico Mamone)

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