Il Paese Italia e il suo futuro

I fondi europei del PNRR credo avessero dato a tutti noi la speranza che, dopo la pandemia e i processi di stagflazione verificatisi non solo in Italia ma un po’ in tutta Europa, ci fosse la possibilità per il nostro Paese di superare la grave crisi economica e sociale che si sta trascinando da anni.

Il PIL italiano è previsto in crescita nel 2024 di appena 1,1% grazie soprattutto a una domanda interna crescente dello 0,9% e di quella estera di appena lo 0,2%.

L’occupazione misurata in termini di unità di lavoro dovrebbe salire quest’anno dell’1%, ma i contratti di lavoro sembrano destinati a rimanere nella precarietà.

Ovviamente tali dati non hanno uniformità in tutto il Paese, ma variano molto a livello regionale e soprattutto tra i poli di sviluppo prevalentemente dislocati al Nord e le aree interne.

Il Mezzogiorno, dopo il miracolo economico degli anni ’70 del secolo scorso, sta vivendo un momento difficilissimo per la disoccupazione dilagante e la carenza di potere di acquisto delle famiglie.

“Un mondo a parte”, il film di Riccardo Milani con una narrazione ironica fa un’analisi impietosa dei problemi delle aree interne che si stanno desertificando soprattutto per un ritorno al fenomeno dell’emigrazione giovanile mentre vi è un’assoluta incapacità di risolvere le tante questioni che attanagliano le popolazioni da parte delle classi dirigenti e l’assunzione di responsabilità al riguardo è affidata a pochissimi cirenei.

Lo sviluppo economico dell’Italia sembra in forte difficoltà per le crescenti delocalizzazioni di molte aziende, ma anche perché non riusciamo a crescere in alcuni settori come ad esempio nell’alta tecnologia.

Nel Def del governo Meloni il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti cerca disperatamente almeno venti miliardi solo per mantenere nella legge di Bilancio per il 2025 gli obiettivi della decontribuzione per i redditi medio-bassi, dell’accorpamento delle prime due aliquote Irpef, del sostegno alle pensioni, della diminuzione del canone RAI.

Secondo le tabelle del Def il debito pubblico italiano romperà nel prossimo anno la soglia dei tremila miliardi di euro.

Sembra ormai che la rinuncia a eliminare gli sprechi nella spesa e nei larghissimi privilegi seminati senza ritegno come al solito nel campo di chi è già benestante sia una decisione irreversibile.

Questa situazione riflette evidentemente quanto avviene sul piano politico dove, oltre a vivere una forte involuzione nel sistema democratico determinato dalle pessime leggi elettorali degli ultimi anni e a una crisi del sistema di rappresentanza, facciamo fatica a governare un Paese sempre più affidato a politici che davvero è difficile definire classe dirigente per l’assoluta approssimazione con cui si affrontano problemi e si cercano soluzioni adeguate agli stessi.

Molti eletti con le liste bloccate nelle istituzioni, grazie alle leggi elettorali che hanno tolto ai cittadini una vera libertà di voto, non rappresentano più le necessità e le istanze della popolazione ma gli interessi collegati alla gestione del potere.

È quanto avviene non solo a livello nazionale, ma ovviamente anche su quello locale dove il sistema maggioritario o peggio ancora le elezioni di secondo livello nelle province stanno favorendo il trasformismo che dilaga e che non genera compromessi per il bene dei cittadini, ma inciuci per il potere come dimostrano gli episodi sempre più diffusi che, posti all’attenzione dell’opinione pubblica dall’informazione, stanno generando giudizi severi che qualcuno vorrebbe ridimensionare immaginando che si possano accettare in politica transazioni anche con chi proclama principi non dissimili ma del tutto contrari al proprio modo di sentire e soprattutto alla realizzazione del bene comune.

Governare o amministrare comunque, anche se ciò comporta la rinuncia a idealità di fondo, non ha alcun senso né sul piano etico e tantomeno su quello politico.

Se le difficoltà a portare avanti un mandato politico o amministrativo derivano dalle leggi elettorali, ci si muova per cambiarle piuttosto che tenere in mano il cerino del potere a tutti i costi anche quando sappiamo che si può spegnere in ogni momento.

Quelle che ci hanno propinato negli ultimi anni a livello nazionale e locale sono l’una peggiore dell’altra e allora un popolo dotato di cittadinanza attiva si deve solo muovere e lottare per cambiarle.

Proviamo al riguardo anche a fare piazza pulita del voto di scambio che ora si nutre pure di residenze fittizie non soggette ai controlli dovuti.

Il problema principale che vive il Paese è quello della disuguaglianza crescente tra i cittadini, ma, poiché nessuno lo affronta realmente, soprattutto nei ceti meno abbienti molti scelgono di non votare perché vedono nella rappresentanza una vera finzione come dimostra chiaramente il trasformismo dilagante nel Parlamento ma anche nelle istituzioni locali.

Oggi di democrazia si parla con enfasi e demagogia, ma poi si propongono leggi come quella sul premierato che, dando al governo una maggioranza gonfiata, eliminando il controllo incrociato dei poteri e depotenziando il Parlamento, concentra le decisioni nell’esecutivo orientando il nostro sistema verso forme di autoritarismo sempre più in espansione in Europa.

Gli stessi principi di eguaglianza e di solidarietà dovrebbero essere sacrificati secondo un Disegno di Legge come il 615 sull’autonomia differenziata immaginando una società fondata sulla competizione, il profitto, l’arricchimento sconsiderato e l’assoluta diseguaglianza a livello territoriale e sociale.

La grande afasia esistente nella definizione di sistemi di contrasto rispetto a questo disegno di una borghesia miope ed egocentrica, sostenuta e rappresentata dalla Lega, preoccupa seriamente chi come me vorrebbe vedere un Paese unito, solidale e vicino a quanti arrancano non per colpe personali, ma per le decisioni perverse di chi crea i presupposti economici, finanziari e sociali per incrementare le diseguaglianze.

Gli episodi di corruzione di fronte ai quali non si è capaci neppure del più piccolo passo indietro quale potrebbe essere la dimissione da un incarico e l’incapacità delle classi dirigenti di risolvere per via diplomatica i tanti conflitti nel mondo ha portato un’analista come Donatella Di Cesare a parlare di necropolitica mentre le relazioni umane rischiano di essere soggette a fratture pericolose determinate dalle guerre, dai paradigmi tecnologici o da un ecosistema al collasso.

Il 25 aprile spero non sia un insieme di parate retoriche, ma un’occasione per riaffermare i principi che il Movimento di Liberazione è riuscito a far scrivere nella Costituzione Italiana.

Gli stessi sindacati mancano di sinergia operativa perché le loro strategie sono sempre più divergenti.

La CISL appare acquiescente alle politiche del governo limitando il suo impegno alla contrattazione salariale, rifiutando la partecipazione agli scioperi generali proclamati da CGIL e UIL e rinunciando perfino a quello deciso per la morte degli operai della centrale idroelettrica di Bargi.

Io non credo che il sindacato possa limitarsi alle rivendicazioni salariali e alle tutele dei lavoratori, ma abbia il dovere d’immaginare un’idea di sistema produttivo e di società capace di affrontare i temi della difesa della nostra Carta Costituzionale, della piena occupazione, della sicurezza di ogni attività, di un sostegno reale a chi è fuori dal mondo del lavoro, della pace, della garanzia di servizi indispensabili quali la sanità, l’istruzione, i trasporti, la difesa del territorio e dell’ambiente.

Le organizzazioni sindacali a mio avviso non possono occuparsi solo di salario, ma devono avere un impegno crescente nella difesa della dignità della persona che è costituita da molte condizioni e ovviamente soprattutto dalla tutela dell’incolumità fisica nell’esercizio della sua attività lavorativa.

Stando alle denunce dell’Inail nei primi mesi del 2024 i morti sul lavoro sono in aumento del 19% soprattutto nel settore dell’edilizia.

Il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, sulla strage di Suviana è stato categorico.

Ha dichiarato che ogni vittima sui luoghi di lavoro è uno scandalo e una vergogna e dunque non possiamo abituarci alle migliaia di morti determinate da mancanza di sistemi di sicurezza adeguati.

Occorre pertanto secondo Zuppi uscire dalla demagogia, dalla retorica del dolore e dal semplice sostegno alle famiglie colpite da tali tragedie che portano a quelle che chiamiamo morti bianche, ma che secondo il prelato non si possono definire con tale aggettivo perché derivano dalle tante omissioni che sporcano le nostre coscienze.

Nella direzione della giustizia sociale credo che il primo diritto umano sia la dignità che è qualcosa di ontologico legato alla persona di cui bisogna preservare tutte le forme esistenziali che ne possano custodire la vita nella salute e nella felicità.

Questo spessore riguardante la natura dell’essere umano va anzitutto riconosciuto, poi certamente costituito come un valore e difeso in tutti i suoi aspetti.

Il 1° maggio i lavoratori torneranno nelle piazze italiane.

Quello che francamente mi auguro è che si pensi a rendere il lavoro sicuro, stabile ed equamente retribuito eliminando tutte le sacche di disoccupazione, precariato e attività in nero.

Se la politica non è capace di raggiungere tali obiettivi, non possiamo che considerarla fallimentare.

I giovani hanno bisogno di un futuro che possibilmente non generi preoccupazioni e disagi e noi abbiamo il dovere di operare in tale direzione.

(Umberto Berardo)

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