L’identità cristiana

Di recente molti analisti hanno cercato di riflettere con un’attenzione assai articolata sulla perdita di credenti e di praticanti nella Chiesa Cattolica soprattutto tra i giovani.

Si leggono i dati, si analizzano le ragioni del fenomeno e si pone in essere uno studio sulle posizioni culturali della secolarizzazione e del relativismo cercando di mantenere aperta la ricerca della verità, ma, come sostiene opportunamente Karl Popper, aspirando in ogni caso sul piano conoscitivo ed etico all’oggettività che sola può essere fondamento dell’affermazione nel mondo dei diritti della persona mettendo in dialogo le pluralità identitarie e superando ogni forma di egocentrismo individuale e nazionalistico generato, come sottolinea su Avvenire Marco Tarquini, da un vuoto d’amore.

Contestualmente si avverte da anni il grande interesse intorno alla figura di Papa Francesco e al suo magistero che invita a recuperare la profondità del messaggio evangelico che sola può guidare a comportamenti giusti in ogni situazione esistenziale.

Mi auguro che tutto ciò diventi elemento forte di riflessione nei lavori del Sinodo nel quale è impegnato il mondo cattolico nel tentativo di fare del cammino sinodale non solo un sistema metodologico di confronto ma un modo di essere Chiesa.

Nella fluidità culturale che attraversa la nostra epoca profondamente globalizzata e ovviamente al di là di un uso strumentale del definirsi cristiani fuori da ogni conseguente coerenza comportamentale si sente il bisogno di chiarire l’identità cristiana cercando di capire come la figura di Gesù di Nazareth e il suo messaggio riescano ad essere basi originali e forti per la creazione di un progetto di vita in grado di dare senso all’esistenza.

Enzo Bianchi in un suo articolo su Repubblica del 24 maggio 2022 sostiene che l’indifferenza per il messaggio cristiano e l’abbandono inquietante di frequenza delle assemblee liturgiche non è attribuibile solo al deserto culturale che pervade il nostro tempo, alle sirene del benessere e del consumismo, al relativismo etico e al prevalere dell’individualismo, ma va indagata ancora più in profondità nel declino della ricerca di significato della vita e nel venir meno delle domande ultime sul nostro percorso esistenziale.

Bianchi sostiene che il calo della partecipazione e della pratica di una fede all’interno della comunità non è neppure riconducibile solo alle tante sovrastrutture dogmatiche, ma va ricercata con coraggio proprio in una profonda crisi della fede che molti pretendono di ridurre a un messaggio etico dimenticando che nel Kerigma cristiano è fondamentale ridare senso al tema della salvezza che oggi viene da molti resa irrilevante e che vive invece quando “si crede che Gesù Cristo è vivente, è risorto da morte e ha vinto la morte”.

Secondo il fondatore della Comunità monastica di Bose questo è il fondamento di una vera identità cristiana che ovviamente si riconosce in una testimonianza di vita fedele al messaggio evangelico.

Riccardo Larini sull’ultimo numero della rivista Rocca prova a fondare su altri presupposti il diritto di definirsi cristiani.

Lo studioso crede che in una visione aperta e inclusiva non è meno degno di chiamarsi cristiano chi, pur non accogliendo definizioni e dogmi di fede di portata più ampia, costruisce il proprio stile di vita ispirandosi a Gesù di Nazareth.

Sicuramente, come scrive Larini, “se siamo o meno cristiani emergerà da quello che facciamo” citando in proposito il vangelo di Matteo “Dai loro frutti li riconoscerete”; tuttavia penso che l’identità di un cristiano sia fatta di due paradigmi difficilmente separabili che riguardano sicuramente i principi ispiratori del proprio agire, ma in maniera essenziale il senso del sacro che ci orienta nella ricerca della verità e ci proviene proprio dal Kerigma dando ragione e significato a quanto operiamo nel nostro percorso esistenziale con l’impegno di condivisione solidale nell’attuazione della giustizia sociale.

In altre parole credo che l’ispirazione ai principi evangelici nella costruzione della spiritualità e dell’etica che fondano l’esistenza non sia sufficiente a riconoscere l’essenza di un cristiano che ha a proprio fondamento un orizzonte di sacro che proietta ogni credente verso quell’oltre che è appunto la salvezza.

Occorre pure sottolineare a mio avviso che la fede non può, come molti vorrebbero, essere vissuta a livello individuale quasi avesse una dimensione unicamente privatistica, ma va testimoniata necessariamente sul piano comunitario all’interno del Popolo di Dio ove si deve stare allo stesso tempo con fedeltà alla Parola e con piena libertà di coscienza nelle scelte contingenti sulla struttura e le forme di espressione della Chiesa.

Gli spazi di relazione e di cammino con quanti operano per il bene comune devono essere perseguiti sempre da un cristianesimo che certo ha a proprio fondamento l’idea trascendente di salvezza, le radici del messaggio evangelico e la scuola di vita di Gesù di Nazareth e proprio per questo auspico ci si debba anche liberare da tanti filtri interpretativi dei testi biblici come da canoni e sovrastrutture che rischiano di essere catene per una fede il cui fondamento è nella testimonianza della Parola di Dio trasmessa dalle fonti disponibili.

Papa Francesco ha definito a mio avviso con estrema chiarezza che l’autenticità dell’esperienza cristiana deriva dal senso che Dio con la rivelazione dà alla storia e dall’appartenenza di chi esprime il proprio essere cristiano nel Popolo di Dio, nella Chiesa e in generale nella società perché possa continuare nel mondo il dono di amore trasmesso da Cristo che ha dato all’umanità la grande speranza della salvezza dal male nel cammino di fede che ha una sua continuità tra le generazioni in una prospettiva di eternità generata dal frammento esistenziale di quanti, pur con le omissioni e gli errori, provano a vivere e trasmettere il messaggio evangelico.

(Umberto Berardo)

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