Federico II di Svevia: imperatore tra storia e mito



È difficile descrivere una figura storica, delinearne i tratti, la giusta fisionomia. I grandi personaggi, infatti, spesso hanno la caratteristica di superare la loro stessa storia e sconfinare nei territori del mito. Prova ne è l’espressione “nel bene e nel male”, con cui si cerca, a volte, di ricondurli a un’ordinaria umanità ma che puntualmente marca le contraddizioni attraverso le quali ascendono ai loro olimpi. Non si può essere leggendari se non s’incarna un’antinomia, se non si è catalizzatori di giudizi discordanti e addirittura opposti, se una sola cronaca basta a mettere tutti d’accordo. I miti sono controversi, inafferrabili, non riassumibili in formule predefinite.
Federico II di Svevia (Jesi, 26 dicembre 1194 – Fiorentino di Puglia, 13 dicembre 1250) fu probabilmente molto più di quello che gli storiografi hanno descritto e che i numerosi appellativi attribuitigli hanno cercato di condensare ma, come ha affermato Pasquale Corsi, professore ordinario di storia medievale presso l’Università di Bari e vincitore, quest’anno, della V edizione del “Premio Tiberio Solis” di San Severo, lo stupor mundi, il puer Apuliae è stato un personaggio tale da non poter essere sintetizzato. Il prof. Corsi, ospite lo scorso venerdì 12 aprile dell’Archeoclub di Termoli, ha tenuto, presso la Galleria Civica, una conferenza dal titolo “Federico II tra storia e mito” durante la quale ha espresso la sua equilibrata opinione sul “caso federiciano”. All’incontro, patrocinato dal Comune di Termoli, erano presenti anche Enzo Antonarelli, presidente della sede locale Archeoclub e il prof. Antonio Mucciaccio, che hanno introdotto la relazione.
Federico II Hohenstaufen re di Sicilia, duca di Svevia, re di Germania, imperatore dei Romani e, infine, re di Gerusalemme, generò, con la sua stessa nascita, quello sconcerto di cui la storiografia che gli riguarda continua ancora a soffrire. Partorito in una pubblica piazza da Costanza d’Altavilla, già in età avanzata e aspirante, in gioventù, alla vita monastica, venne salutato come colui che avrebbe inaugurato un’età prospera ma anche come il paventato Anticristo che, secondo una profezia, sarebbe venuto al mondo proprio in una piazza da una vecchia monaca. Filone aureo e leggenda nera saranno i due percorsi paralleli sui quali si snoderà tutta la sua vicenda e che ispireranno un’abbondanza di aneddoti con altrettante interpretazioni. Lo storico, chiamato a prendere posizione, non può ergersi a giudice ma deve esercitare il massimo acume per comprendere ciò che le fonti tramandano. La sua analisi deve essere scevra di preconcetti laddove la ricchezza di testimonianze può dare un valido appoggio a personali pregiudizi. Nel Kaiser Friedrich der Zweite (L’imperatore Federico II, 1927) di Ernst Kantorowicz, medievalista interprete dell’indirizzo celebrativo, Federico II è il costruttore dell’impero opposto al potere ecclesiastico. Di parere diverso il suo collega David Abulafia che con un libro dal titolo piuttosto eloquente, “Federico II: un imperatore medievale”, demolisce quell’idea di Federico precursore della modernità. Tuttavia, come ha saggiamente ricordato il prof. Corsi, ogni epoca interroga il passato sulla base dei propri problemi e inoltre non si può interpretare un personaggio se non lo si considera alla luce del tempo in cui è vissuto.
Federico, svevo da parte di padre e normanno da parte di madre, riuniva in sé i diritti dell’Impero e quelli del Regno di Sicilia, le due potenze che, messe insieme, avrebbero rappresentato la minaccia più temibile per lo Stato della Chiesa. La sua infanzia a Palermo sotto diverse tutele ma condotta in definitiva da orfano in condizioni, sembra, non adeguate alla sua posizione, i matrimoni, i giochi politici, la magnificenza della sua corte, l’apertura e la tolleranza nei confronti di ebrei e musulmani, senz’altro avrebbero fatto di lui un grande monarca ma nulla più. Invece, da una promessa non mantenuta a papa Innocenzo III, quella di rinunciare al Regno di Sicilia in caso di vittoria contro Ottone IV re di Germania e imperatore del Sacro Romano Impero dal 1209, prende vita la sua fama di oppositore del Papa e di immutator mirabilis, il miracoloso trasformatore e, in definitiva, la sua leggenda. La sfida all’autorità ecclesiastica, pratica non certamente nuova per quei tempi, appare nell’azione federiciana come qualcosa di straordinario. Federico di Svevia non era un semplice dissidente, era l’artista che stava creando il suo capolavoro: lo stato moderno e laico. Se, alla luce di questa affermazione, sia davvero da considerarsi l’ultimo imperatore del Medioevo o il primo principe del Rinascimento non è forse così importante. È utile invece riflettere su quattro punti fondamentali: la concezione dello Stato, l’economia, l’etica e la cultura.
Per Federico II l’impero doveva conservare la sua indipendenza dalla Chiesa ma non esserne contro. Riteneva che Dio stesso, intelligenza suprema, avesse voluto l’impero per garantire agli uomini leggi che non fossero solo divine. Colui che doveva regolare la società era naturalmente l’imperatore il quale doveva stabilire e difendere la pace e la giustizia. Da qui la sacralità del regno e del regnante che egli mai definì divini per non cadere in eresia. Per la stessa ragione non creò degli antipapi né tantomeno appoggiò i nemici della fede. Si può dire che Federico assorbisse ed esaltasse il meglio della tradizione medievale lottando, tra l’altro, contro un feudalesimo usurpatore.
La guerra… La guerra era per Federico una costrizione, qualcosa che non voleva ma nella quale veniva coinvolto. Purtroppo le guerre impegnavano risorse finanziarie non indifferenti che l’Imperatore prese dal Sud. Alcuni lo accusarono di aver creato la questione meridionale impoverendo le terre con il suo eccessivo fiscalismo. Di contro però, diversamente da tanti altri, incentivò l’agricoltura costruendo masserie, introducendo nuove colture e sistemi d’irrigazione. Fondò nuovi borghi, costruì porti per favorire i commerci e i famosi castelli su tre linee difensive per preservare lo Stato.
I suoi impegni istituzionali non lo distoglievano neppure dalle occupazioni culturali. Amava i libri e oltre a possedere una ricchissima biblioteca ne aveva anche una portatile che conduceva con sé in battaglia. Si interessava di filosofia, di letteratura, di matematica e lo stesso Dante lo definì uno degli uomini più dotti della sua età. A lui si devono l’edificazione dell’università di Napoli, la rinascita della Scuola di Medicina di Salerno e la Scuola Siciliana di poesia. Il suo “De arte venandi cum avibus”, un trattato di caccia col falco, è un testo completo di ornitologia, scienza e osservazione della natura.
Purtroppo il suo operato gli procurò numerosi attacchi dal punto di vista etico. Si diceva maltrattasse le mogli, che avesse delle amanti, che fosse un sodomita e che avesse, con la sua ferocia, spinto il figlio al suicidio. Accuse infondate e smentite, tra l’altro, dalla splendida corrispondenza con Enrico.
C’è un monumento che potrebbe illuminarci sulla figura del grande Federico ed è Castel del Monte, il castello ottagonale, la cattedrale dell’Impero. L’ottagono è simbolo dell’eterno e Castel del Monte non rappresenta la semplice ostentazione di un potere ma un emblema guardando al quale i popoli comprendessero che solo nell’unità e nella presenza di uno Stato vi è l’origine dell’ordine e della concordia.

Teresa Silvestris (Il Mattino di Foggia e Forche Caudine)

Per vedere la conferenza: http://www.youtube.com/watch?v =X7AVmLFfwv4

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