Il Molise che non riesce a farsi amare (nemmeno dai nipoti)



Esserci nati, averci trascorso l’infanzia e possedere una casa hanno costituito per anni tre buoni motivi perché tante persone d’origine molisana rientrassero ogni tanto nel “caro paesello”, specie d’estate. Sinonimo di serenità e di benessere spirituale. Questione di affetto verso quegli scorci intagliati nell’animo. E di affetti verso quei compaesani semplici e di cuore.
Oggi, che i figli o i nipoti nati altrove sono subentrati all’avo molisano, che i legami affettivi si sono affievoliti e soprattutto che la casa rappresenta soltanto una zavorra, un costo “obbligato” e inutile tra manutenzione e tasse (e non si riesce a vendere), il Molise è diventato una sorta di iattura. La maggior parte dei molisani che hanno lasciato i propri paesi tra gli anni Cinquanta e Sessanta oggi rientrano sempre meno anche per ragioni di salute: il disastro dell’offerta regionale, frutto anche di anni di malaffare garantito dall’isolamento, consiglia tanti anziani – e i loro figli – di indirizzare le vacanze estive verso altri luoghi, con servizi pubblici e privati certamente migliori.
Il disastro provocato da una classe politica ancorata a vecchissime logiche e, di fatto, incapace di rinnovarsi da decenni, è testimoniato dai principali indicatori economici e sociali. Emblematico, su tutti, un dato: ogni giorno dal Molise spariscono circa dieci persone. Nell’ultimo anno il saldo negativo demografico segna quasi meno tremila individui. I molisani residenti – e molti vivono già altrove – stanno scendendo sotto le 300mila unità complessive. Praticamente meno di un quartiere di Roma. 
Una situazione del genere, che equivale alla desertificazione fisica e culturale per la maggior parte dei borghi, determina il classico cane che si morde la coda: perpetuando le solite infruttifere politiche assistenziali – che favoriscono qualcuno per danneggiare molti – perché obbligare un ragazzo di città a trascorrere in un vicolo o in una piazza deserta ore solitarie? Perché costringerlo a sorbirsi un’offerta turistica desueta (quando c’è)? Perché catapultarlo in un territorio ormai oggetto di dileggio grazie ad una classe politica – di fatto la stessa da sempre – incapace di assicurare un minimo di evoluzione ad una terra che continua a perdere abitanti e soprattutto a non conquistare attenzioni positive? Cosa offre ormai il Molise se non le tante occasioni per interrogarsi amaramente su se stesso e sui suoi errori?
In effetti, con la conquista dell’autonomia (nel 1963), qualcuno aveva profetizzato per questa Regione un futuro da “piccola Svizzera”. Il boom economico – giunto in Molise con almeno un decennio di ritardo – e soprattutto le rimesse dei tanti emigrati hanno garantito un po’ di benessere ad un territorio montano per decenni caratterizzato dalla sussistenza. Qualche beneficio è stato assicurato dalla Cassa per il Mezzogiorno. Nel contempo, però, si sono succedute, salvo poche eccezioni, politiche assolutamente miopi, per lo più clientelari, infruttifere, geograficamente limitate e soprattutto per nulla lungimiranti riguardo al futuro di questo territorio. S’è preferito, con dolo, presidiare i minuscoli feudi favorendo i soliti “amici degli amici”, ignorando la parola “merito”, “competenza”, persino “passione”. S’è sperperato un mare di risorse economiche per puntellare il presente in minuscoli paesi e misconoscere il futuro di un intero territorio. S’è perpetuato il rituale clientelismo – quanti danni ha creato nel Mezzogiorno – utile solo per difendere poltrone, assicurare salamelecchi e il regalo di Natale al politico di riferimento, che al di fuori di quei confini potrebbe al massimo aspirare a fare l’impiegato in una municipalizzata. 
Il Molise, al di là dei dati economici, è malinconicamente rimasto sinonimo di arretratezza, nonostante abbia prodotto tante eccellenze umane affermatesi, però, quasi sempre al di fuori dei confini regionali. All’interno, invece, una diffusa arretratezza soprattutto comportamentale, salvo ovviamente alcune eccezioni. Molti amministratori hanno acquisito parziale notorietà o nel malaffare o nell’attitudine a fare figuracce. Alcuni di loro ritengono che sia sufficiente un’auto di grossa cilindrata per colmare immani limiti culturali e comportamentali.
Ecco perché – e ci addentriamo nell’attualità di questi giorni – a poco servirà indirizzare altri soldi (pubblici, naturalmente), ben 133mila euro, per garantire a questo povero territorio – massacrato in tanti comparti, dalla sanità alla scuola – il titolo di “Regione d’onore” a novembre presso la Niaf, associazione di italiani d’America. Delibera di giunta numero 90 del 2019. Lo chiamano elegantemente “marketing territoriale”, in realtà significa assicurarsi la poltrona in cene di gala e cocktail vip dove – siamo certi – alcuni della delegazione nostrana saranno riconosciuti subito dalle scarpe, dai vestiti, dal modo di parlare, dal biascicare un idioma anglosassone alla Biscardi, tra una crassa risata e bicchieri di vino.
In questo impeto di internazionalizzazione (della crapula), spicca anche la decisione di provare a rilanciare l’ormai famosa – perché costata un mucchio di soldi – sede della Regione Molise a Bruxelles in Rue de Toulouse 47. Lo stesso governatore Toma, con tanto di dichiarazione pubblica che denota un minimo di presa di coscienza, s’è posto giustamente la questione: “capire se fosse il caso di dismetterla o creare le condizioni per mantenerla in vita”. E, naturalmente, ecco i progetti dai nomi altisonanti, Molise House e Molise Hub, “coronamento di un percorso veloce e virtuoso di valorizzazione della nostra presenza nella città sede delle istituzioni europee”. Appunto, si spera che qualcuno si accorga della presenza del Molise. Emblematica la dichiarazione finale del governatore: “Continuiamo così”. Sì, a farci del male, aggiungiamo noi.

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