Parentopoli Atac: lo sdegno è sul “nulla è cambiato”
Questione soprattutto di “perché”. Un tempo, quando la frattura tra rossi e bianchi (e neri) era netta, il voto esprimeva una scelta drastica, passionale, talora di tradizione familiare. Certo, a volte anche “interessata”, il posto di lavoro è spesso passato per le stanze della politica. Specie a Roma. Tuttavia, come si suol dire, “ci si credeva”. C’è persino chi negli anni Settanta, giovanissimo, c’ha lasciato le penne per un ideale.
Oggi, di fronte a come è maturata la vittoria di Alemanno e della destra a Roma, “storica” perché senza precedenti, uno schiaffo a sinistra condito con una fetta di speranza di cambiamento (flebile, in verità), questa vicenda delle presunte assunzioni in quelle un tempo definite “municipalizzate” (Atac, Ama, ecc.) lascia sgomenti non tanto per il fatto in sé, cui purtroppo siamo quasi assuefatti, quanto per la continuità del “modus operandi”. Della serie: sinistra e destra stessa minestra.<
Ora, provatele tutte, il risultato è incontestabile: c’è un problema endemico, di sistema. Un’illimitata fabbrica del consenso che ha tutti i colori politici. Nelle municipalizzate, come del resto in Rai, nei ministeri, in tanti enti utili e meno utili, un’amicizia politica aiuta eccome per conquistarsi una busta paga. E’ la scoperta dell’acqua calda. Il vero sdegno, allora, è di fronte alle belle parole che arricchiscono le campagne elettorali. Dove il termine “cambiamento” è la peggiore offesa all’intelligenza dell’elettore.
(G.C.)
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