Perché la gente approva le proteste degli agricoltori

C’è chi si stupisce per la reazione decisamente positiva della maggior parte dell’opinione pubblica per le proteste degli agricoltori. Nonostante i disagi al traffico o motivazioni legate principalmente alla difesa dei propri interessi economici, gli italiani stanno manifestando non soltanto comprensione, ma tanta approvazione. La sfilata dei trattori è accompagnata dagli applausi dei cittadini comuni.

Perché, ci si domanda, c’è tanta apertura, condiscendenza, persino indulgenza nei confronti delle proteste di una categoria, mentre ben diverso è l’atteggiamento verso altre categorie di lavoratori, per non parlare dei ragazzi che bloccano le strade o compiono azioni eclatanti per denunciare i disastri legati al cambiamento climatico?

La risposta è forse più semplice di ciò che ci si aspetterebbe: abbiamo tutti un dna contadino, siamo quasi tutti nipoti o pronipoti di persone che hanno lavorato i campi con enormi sacrifici, o che hanno avuto un orto, una vigna, persino quei sempre più rari vasi pieni di ortaggi o di legumi in città. E siamo coscienti di come sia importante salvaguardare l’agricoltura e chi lavora da generazioni la terra perché, in un mondo sempre più complesso e sfuggente, è l’unica certezza rimasta: dal cibo dipende il nostro sostentamento. Da quello sano la nostra salute.

Benché 300 miliardi di fondi europei finiscano al settore primario, appunto all’agricoltura, spesso però rappresentata dalle multinazionali dell’agribusiness, coltivare la terra o gestire una stalla restano attività estremamente impegnative e sempre meno redditizie. C’è quindi adesione a questa parte attiva e sana di una società italiana sempre più malata, che ha avuto nel reddito di cittadinanza la punta di un assistenzialismo senza limiti, che spesso accomuna chi ha veramente bisogno con i tanti che se ne approfittano.

Per sconfiggere le piaghe di un’alimentazione sempre meno genuina servono soprattutto coraggiose e consapevoli scelte individuali: favorire i mercati di prossimità rinunciando al supermercato o a quei prodotti di dubbia provenienza che appaiono sugli scaffali dei punti vendita a prezzi decisamente inferiori. Tra l’altro ciò avviene sempre meno perché le capacità speculative dell’agribusiness, unite alla logica di massimizzazione del profitto da parte della grande distribuzione e a filiere sempre più lunghe, sta facendo lievitare in modo davvero insostenibile i prezzi dei generi alimentari.

Per reggere la concorrenza al ribasso degli altri continenti c’è appunto bisogno di rendere conveniente il lavoro agricolo. Tanti giovani potrebbero trovare il proprio futuro tra i campi se soltanto esistesse un sistema efficiente e proficuo di sussidi diretti, di sconti sui carburanti, di fiscalità agevolata. Meno redditi di cittadinanza e più sostegno a chi lavora sul serio, quindi.

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