Martedì 11 marzo 2024 Milena Gabanelli nel suo Dataroom sul Corriere della Sera si è occupata di un Molise che secondo lei dopo sessant’anni dal raggiungimento della sua autonomia regionale, rivelatasi a suo dire un fallimento, vorrebbe ritornare con l’Abruzzo dopo la separazione avvenuta nel 1963.
Già questi assunti non mi pare corrispondano del tutto alla verità perché la semplificano distorcendola senza coglierne tutti gli aspetti.
Intanto il Molise ha chiesto di essere una regione autonoma non solo, come sostiene la giornalista, perché mancava di servizi amministrativi e per motivi politici guadagnando qualche senatore e un Consiglio regionale, ma soprattutto in quanto era priva d’infrastrutture fondamentali e di un decente piano di sviluppo economico; infatti la regione era falcidiata dall’emigrazione che portava all’estero soprattutto le famiglie più giovani il cui reddito, basato prevalentemente su un’agricoltura di sussistenza, era tra i più bassi d’Italia.
Le classi dirigenti in questi sessant’anni non hanno certo brillato nel disegno di uno sviluppo economico e nel miglioramento dell’occupazione e dei servizi per una decente qualità di vita soprattutto della fascia più debole della popolazione.
Negare l’attuale debito pubblico della regione che supera i 500 milioni di euro, il Pil pro capite che è fermo a 24.500 euro rispetto ai quasi 33mila della media nazionale, le difficoltà nei servizi fondamentali quali quelli sanitari, un’addizionale Irpef che risulta la più alta in Italia, la chiusura di molte aziende soprattutto dopo la pandemia e l’enorme contrazione demografica da 400mila abitanti ad appena 289mila sarebbe impossibile.
È opportuno sottolineare, tuttavia, che tali aspetti negativi si sono verificati soprattutto con la chiusura di grandi aziende che pure intorno agli anni settanta avevano permesso al Molise un qualche sviluppo economico purtroppo concentrato sulla costa e in alcuni poli intorno a Venafro, Isernia e Boiano.
L’errore fondamentale nel progetto di sviluppo della regione è stato allora quello di limitarlo al settore industriale e al terziario soprattutto di tipo amministrativo dimenticando la vocazione agricola, zootecnica e turistica che avrebbe potuto dare sicuramente delle speranze soprattutto alle aree interne che oggi appaiono desertificate sul piano culturale, economico, sociale e umano.
L’abbandono dei settori economici primari nelle scelte politiche ci viene ricordato oggi in maniera dura dagli agricoltori in rivolta che rappresentano la crisi drammatica delle loro imprese.
Ho più volte sottolineato che sul nostro territorio è mancata soprattutto l’educazione alla cultura del lavoro e allo spirito imprenditoriale in una popolazione che ha sempre cercato di entrare nei feudi elettorali alla ricerca per raccomandazione del cosiddetto “posto” in una gestione quasi privatistica della distribuzione della popolazione tra i dipendenti della pubblica amministrazione.
È del tutto evidente che, se aspetti sempre imprenditori esterni che vengano a investire sul tuo territorio che certo non amano, ma dal quale si aspettano solo profitti, non puoi scandalizzarti quando poi lo abbandonano come stanno facendo per cercare altrove manodopera a basso costo.
Detto ciò, occorre sicuramente riconoscere che quanto è stato creato in Molise dalle infrastrutture ai servizi, pur con le attuali difficoltà, si è realizzato proprio negli anni successivi al raggiungimento dell’autonomia.
La regione ha avuto così le principali strutture ospedaliere, gli inizi di una rete viaria, le maggiori aziende industriali e l’università.
La Gabanelli fa riferimento alla raccolta firme nel Comune di Montenero di Bisaccia e nella Provincia di Isernia per la riannessione all’Abruzzo senza chiarire che le posizioni dei molisani sul futuro della loro regione sono alquanto articolate e comprendono anche una parte della popolazione che vorrebbe conservare l’autonomia e un’altra che vede possibili aggregazioni ad altre regioni solo all’interno di una riforma complessiva nell’amministrazione delle realtà regionali e locali.
L’autonomia sicuramente ha avuto e ha i suoi problemi, ma guardando alle aree interne dell’Abruzzo, non mi illudo che una riaggregazione sic et simpliciter a questa regione possa essere un toccasana per il Molise che storicamente ha già sperimentato le difficoltà di essere una provincia distante dai grossi centri economici e amministrativi.
Non mi entusiasmano queste iniziative referendarie in una regione incapace di portare la popolazione verso una valutazione delle questioni aperte in un confronto allargato sul territorio.
Credo che alla base di una possibile soluzione del problema debba esserci una riflessione che attualmente mi appare alquanto isolata e perciò stesso mi pare rischi di diventare settaria immaginando ipotesi di “Molisannio” o uno smembramento della regione che sarebbero solamente un disastro.
Penso anche che un’eventuale fine dell’autonomia del Molise non possa risolversi rendendo questa regione un’appendice periferica di un’altra, qual è già stata in passato, ma essa debba vedere il suo futuro solo all’interno di una ristrutturazione amministrativa complessiva con la creazione di un numero ridotto di macroregioni all’interno delle quali siano garantite democraticamente l’identità culturale delle popolazioni e la rappresentanza equa delle istanze dei cittadini a prescindere dal territorio in cui abitano.
In un tale nuovo disegno delle macroregioni occorrerà preservare l’identità culturale e storica delle popolazioni alle quali si dovrà assicurare la garanzia di tutti i diritti spalmando e redistribuendo equamente strutture, funzioni e servizi per evitare qualsiasi forma di squilibrio territoriale.
Altrove hanno già seguito questa via nel 2016.
In seguito a una tale riforma, il numero di regioni della Francia metropolitana è sceso da 22 a 13 cui vanno aggiunte le cinque regioni d’oltremare.
In Italia siamo stati solo capaci di una pseudo riforma delle province che ne ha distrutto la struttura democratica, la funzione e il ruolo ammnistrativo.
Qualche anno fa ho sottolineato come nella ridefinizione del regionalismo e nella riorganizzazione degli enti locali che pure sono necessarie occorre distinguere tra i costi della politica e quelli della democrazia.
Ai primi si può rimediare con una riduzione consistente degli emolumenti ai consiglieri regionali, con il ridimensionamento delle consulenze, dei privilegi assurdi quali i vitalizi e di figure di rappresentanza ormai senza più alcun significato; i costi della democrazia al contrario vanno garantiti per rendere sempre più efficiente la partecipazione e la rappresentanza.
Ora viene oltretutto calato dall’alto un disegno di legge sull’autonomia differenziata ignorando completamente tutti gli studi e le proposte sulle Macroregioni e sul riassetto delle Province e dei Comuni la cui ridefinizione secondo molti studiosi potrebbe adeguare in maniera più razionale la rete dell’organizzazione territoriale e amministrativa dello Stato italiano creando oltretutto un risparmio enorme nella spesa.
Francamente il servizio giornalistico della Gabanelli mi è sembrato alquanto superficiale perché intanto risulta privo di un’accurata analisi storica sulle cause reali che hanno portato il Molise alla situazione attuale addebitandola a torto unicamente all’autonomia del 1963.
Anche l’indagine sulle opinioni dei molisani relative al loro futuro è parsa davvero molto limitata e concentrata unicamente sulle richieste referendarie che al momento non sappiamo assolutamente quale consenso riscuotano tra la popolazione dei territori in cui esse sono avanzate.
Che il Molise abbia come altre regioni problemi di disavanzo, di deficit di bilancio, di chiusura di aziende e di carenza di servizi corrisponde sicuramente a verità e non dipende certo dall’autonomia ma da una politica inefficace; la via per uscirne poi non è certo quella che la Gabanelli crede di aver individuato nella sua inchiesta davvero molto parziale.
Il percorso da seguire per invertire la tendenza è quello della coscientizzazione dell’opinione pubblica sulle questioni da risolvere rompendo gli schemi di un’amministrazione fondata su una superficialità gestionale, trovando tra la popolazione soggetti onesti, competenti e capaci di definire un piano per risanare i conti e creare finalmente un piano di sviluppo per il territorio.
Di questa responsabilità ha bisogno un elettorato che i diritti deve pretenderli perché dovuti non per concessione in cambio di voti.
Al momento non abbiamo a mio avviso altra scelta se non quella di rimanere in autonomia cercando le sinergie operative in grado di elaborare le modalità per rinnovare l’azione politica portandola a un’efficienza in grado di rigenerare il territorio e di migliorare la qualità della vita.
Certo una classe dirigente che cerca di presentare alla popolazione in maniera positiva perfino un disegno di legge come quello sull’autonomia differenziata non è a mio avviso quella che può garantire un futuro accettabile ai cittadini del Molise che devono assolutamente pretendere un’inversione di tendenza alla superficialità con cui per decenni la nostra regione è stata amministrata.
Un eventuale accorpamento successivo in una macroregione poi sarà necessariamente da definire in modo democratico e partecipativo secondo criteri di razionalità legati al bene della popolazione piuttosto che a interessi di parte.
(Umberto Berardo)