Roma, Rapporto Inapp, tra i relatori l’economista Luisa Corazza del Molise

La questione salariale è uno dei maggiori nodi del mondo del lavoro italiano, specie nel raffronto con quello europeo. E’ quanto denuncia l’Inapp con il suo annuale Rapporto, presentato dal presidente dell’istituto, Sebastiano Fadda. Con lui, unica donna nel tavolo dei relatori, la professoressa Luisa Corazza, dal 2015 professore ordinario di diritto del lavoro presso l’Università del Molise.

“Tra il 1991 e il 2022 – si legge nel Rapporto Inapp – i salari reali sono rimasti pressoché invariati, con una crescita dell’1 per cento, a differenza dei Paesi dell’area Ocse dove sono cresciuti in media del 32,5 per cento. In particolare, nel solo 2020 (terzo nell’anno della pandemia da Covid-19) si è registrato un calo dei salari in termini reali del 4,8 per cento. In quest’anno si è registrata anche la differenza più ampia con la crescita dell’area Ocse con un meno 33,6 per cento. Accanto a questo problema si è sviluppato anche quello della scarsa produttività: a partire dalla seconda metà degli anni Novanta la crescita della produttività è stata di gran lunga inferiore rispetto ai Paesi del G7, segnando un divario massimo nel 2021 pari al 25,5 per cento.

Dopo la crisi generata dalla pandemia il mercato del lavoro italiano ha ricominciato a crescere ma questo percorso appare “accidentato” dalle criticità strutturali che lo caratterizzano: bassi salari, scarsa produttività, poca formazione e un welfare che fatica a proteggere tutti i lavoratori, non avendo alcun paracadute per oltre quattro milioni di lavoratori ‘non standard’ dagli autonomi, a chi è stato licenziato o è alla ricerca di un’occupazione, passando per i lavoratori della gig economy fino ai cosiddetti working poors. In più sta emergendo sul fronte dell’utilizzo della forza lavoro il fenomeno del labour shortage: la difficoltà delle imprese a coprire i posti vacanti, allargandosi sempre più così la forbice del matching tra domanda e offerta di lavoro.

“Dopo la crisi pandemica le dinamiche del mercato del lavoro hanno ripreso a crescere ma con rallentamenti dovuti sia a fattori esterni, dal conflitto bellico alle porte dell’Europa, alla crescita dell’inflazione e della crisi energetica, ma anche – ha spiegato il presidente dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche –  a fattori interni,  come il basso livello dei salari che si lega alla scarsa produttività, alla poca formazione e agli incentivi statali per le assunzioni che non hanno portato quei benefici sperati, se pensiamo che più della metà delle imprese (il 54 per cento) dichiara di aver assunto nuovo personale dipendente, ma solo il 14 per cento sostiene di aver utilizzato almeno una delle misure previste dallo Stato. Occorrono quindi degli interventi mirati e celeri capaci di indirizzare il mercato del lavoro verso una crescita più sostenuta, che non può prescindere dalla rivoluzione tecnologica e digitale che sta modificando i processi produttivi”.

Il numero di assunzioni nel 2022 è peggiorato rispetto al 2021: 414mila nuove attivazioni nette nel 2022 a fronte di 713mila nel 2021. Si conferma un numero di attivazioni maggiore per la componente maschile (54% rispetto al 46% delle donne) mentre la categoria dei giovani, dopo essere stata colpita profondamente dalla pandemia e dalla precedente crisi del 2008, conferma il recupero di quote occupazionali: il 26% delle attivazioni del 2022 si concentra nella fascia dai 25 ai 34 anni, a seguire le quote dei 35-44enni (21%) e dei 45-54enni (20%).

La professoressa Corazza si è soffermata soprattutto su tre punti: la produttività che non cresce, il nuovo fenomeno delle “grandi dimissioni” e le difficoltà dell’occupazione femminile.

La docente dell’Università del Molise ha concluso richiamando l’importanza della crescita demografica collegandolo alla necessità di migliorare il lavoro delle donne.

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