Vincenzo Cuoco, il primo grande “politologo”


Vincenzo Cuoco è stato uno dei più grandi politologi, saggisti ed economisti del nostro Paese.

Vincenzo Cuoco

Nasce a Civitacampomarano (Campobasso) il 1 ottobre 1770, figlio di Michelangelo Cuoco e Colomba De Marinis, famiglia borghese molisana.
Compie i primi studi nel suo borgo natale, si trasferisce nel 1787 a Napoli per frequentare la facoltà di giurisprudenza.
Avvocato e studioso di economia, nell’ambiente culturale napoletano conosce intellettuali illuminati, tra cui il conterraneo Giuseppe Maria Galanti (1743-1806), il quale in una lettera del 4 settembre 1790 al padre Michelangelo, descrive Vincenzo “capace, di molta abilità e di molto talento”, ma “trascurato” e “indolente”, probabilmente perché non soddisfatto della collaborazione di Vincenzo alla stesura della sua “Descrizione geografica e politica delle Sicilie”.
Partecipa alla rivoluzione del 1799 e alla Repubblica Partenopea a Napoli, dove è segretario di Ignazio Gonfalonieri ed ha l’incarico di organizzatore del Dipartimento del Volturno.
Quando tornano i Borboni viene spedito in carcere per alcuni mesi, condannato alla confisca dei beni e costretto all’esilio per venti mesi a Parigi e a Milano, dove nel 1801, in forma anonima, pubblica il suo capolavoro, il “Saggio storico sulla rivoluzione napoletana”, scritto a Parigi e poi ampliato nella successiva edizione. Il libro descrive le vicende accadute a Napoli tra dicembre 1798 (fuga di re Ferdinando I di Borbone in Sicilia) e la caduta della Repubblica Partenopea. L’opera riscuote un enorme successo, tanto da essere tradotta in tedesco e da andare esaurita.
Confrontando la Rivoluzione francese e quella partenopea, Cuoco indaga le ragioni del fallimento di quest’ultima e ne individua le cause, dal coinvolgimento di un’élite troppo limitata numericamente e impreparata all’arte del governo, alla mancanza di “educazione politica” nella coscienza popolare, fino quindi all’imposizione della rivoluzione ad un popolo estraneo ad essa, profondamente diviso dalla classe intellettuale.
Scrive Cuoco: “Se mai la repubblica si fosse fondata da noi medesimi; se la costituzione, diretta dalle idee eterne della giustizia, si fosse fondata sui bisogni e sugli usi del popolo; se un’autorità, che il popolo credeva legittima e nazionale, invece di parlargli un astruso linguaggio che esso non intendeva, gli avesse procurato de’ beni reali, e liberato lo avesse da que’ mali che soffriva; forse… noi non piangeremmo ora sui miseri avanzi di una patria desolata e degna di una sorte migliore”. Sempre a Milano dirige, tra il 1802 e il 1804, il “Giornale italiano”, quindi collabora con “Il Monitore delle Sicilie” di Napoli. Nel 1806 pubblica “Platone in Italia” (scaricabile al link:
www.liberliber.it/biblioteca/c/cuoco/platone_in_italia/pdf/platon_p.pdf), romanzo in forma epistolare che l’autore finge di aver tradotto dal greco. Influenzato da Vico e dal suo “De antiquissima Italorum sapientia”, il libro afferma la supremazia culturale italiana.
Torna quindi a Napoli, governata da Giuseppe Bonaparte, ottenendo importanti incarichi pubblici, prima come consigliere di Cassazione e poi direttore del Tesoro, distinguendosi come uno dei più importanti consiglieri del governo di Gioacchino Murat.
Nel 1809 elabora il “Progetto per l’ordinamento della pubblica istruzione nel Regno di Napoli”, nel quale l’istruzione pubblica è vista come indispensabile strumento per la formazione di una coscienza nazionale popolare.
Dal 1810 ha l’incarico di capo del Consiglio provinciale del Molise, scrivendo nel 1812 “Viaggio in Molise”, opera storico-descrittiva sulla sua regione natale. Gli ultimi anni di questo importante pensatore sono funestati dalla malattia mentale che lo colpisce dal 1816, spingendolo alla distruzione di molti suoi manoscritti rimasti inediti.
Muore a Napoli il 14 dicembre 1823. A Vincenzo Cuoco è stato dedicato il primo liceo di Napoli.

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