Il Comitato tecnico scientifico, l’organismo che dovrebbe contribuire ad orientare il governo nelle scelte nell’ambito dell’emergenza Covid, lascia spesso stupiti a causa delle sue discutibili decisioni o delle dichiarazione dei suoi principali membri. Non a caso Diego Bianchi nell’intelligente trasmissione “Propaganda Live” da qualche settimana ne sta facendo oggetto di parodia molto divertente sulle scelte che via via questo gruppo di “esperti” intende intraprendere.
Agostino Miozzo, a capo di questo pool, da qualche giorno rilascia interviste a iosa. L’ultima a Radio24, trasmissione “24Mattino” di Simone Spetia. Cosa ha detto, in sintesi, il dottor Miozzo?
Da una parte sostiene che sia azzardata l’apertura degli impianti sciistici “considerando che siamo nel pieno dell’epidemia”. Ci sta. E ancora: “Questo virus è incompatibile con le relazioni sociali che sono estremamente pericolose soprattutto per i più fragili, dovrà essere un Natale di intimità, come un giorno ordinario in famiglia”. E, diciamo, ci può ancora stare.
Poi, però, aggiunge riguardo alla riapertura delle scuole in presenza: “Apertura il nove dicembre? Potrebbe essere una buona opzione, bisogna far ritornare ragazzi e docenti a scuola garantendo la sicurezza”.
Quello delle “scuole in sicurezza” è un consumato ritornello che abbiamo sentito troppe volte già dalla scorsa estate. Poi sappiamo bene come siano andate le cose, visto che siamo dovuti tornare alla Dad, unica ciambella di salvataggio dalla “tempesta perfetta” (e largamente prevedibile, ma evidentemente non per tutti). Ora perché dovremmo far rimmergere nel pantano milioni di studenti, insegnanti e genitori? E davvero ci dovremmo fidare del solito refrain sulla sicurezza da una classe politica e gestionale che fino a settembre rivendicava la bontà di un “modello italiano” per il Covid addirittura invidiato nel mondo e che oggi è caratterizzato da un numero record di contagi e soprattutto di morti, oltre 51mila? Davvero dovremmo pensare che gli autobus torneranno magicamente ad essere frequenti e vuoti, i ragazzi tutti super diligenti, la classe docente tranquilla ed immune dal possibile contagio?
La realtà, ahinoi, è ben altra. È lì, certificata dall’Istituto superiore di sanità (quindi non proprio da un circolo di buontemponi) con gli ultimi dati: da fine estate al 7 novembre il record dei contagiati ufficiali è nella fascia d’età degli studenti, cioè fino a 19 anni: ben oltre le 102mila unità. Lasciando fuori, ovviamente, i tanti asintomatici che fanno parte per lo più proprio di quella fascia generazionale. Insomma, la pandemia in Italia è ripartita da lì. Non a caso è esplosa esattamente dopo 2-3 settimane dalla riapertura delle scuole. Ed ora, dove le scuole sono state chiuse, è in regressione.
Dai ragazzi, come sappiamo, molti contagi sono finiti nelle famiglie. Purtroppo. Non senza conseguenze serie.
Del resto è stato sufficiente transitare a settembre o a ottobre davanti all’ingresso di un istituto scolastico per rendersi conto dei giganteschi assembramenti con tanti studenti con le mascherine abbassate, anche per fumare una sigaretta o mangiarsi uno snack, oppure assistere a quei vagoni della metropolitana trasformati in carri bestiame, con studenti incolpevolmente ammassati grazie a scriteriate “non scelte” politiche.
Ma Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico scientifico, va oltre. “Riteniamo che l’apertura delle scuole non sia a rischio zero, però è un rischio sicuramente inferiore di immaginare i ragazzi liberi di andare nei centri commerciali senza regole”. Cioè, dal momento che i ragazzi vanno nei centri commerciali, è giusto riammassarli davanti ad una scuola o su un autobus.
Il problema vero è che la scuola è stata l’emblema del fallimento della politica, intenta ad acquistare gli esosi e spesso inutili banchetti, con rotelle e senza, ma non di prevedere il caos determinato dagli assembramenti e dai disastri organizzativi, mezzi pubblici compresi. La scuola è stata una “non scuola” a causa dei numerosissimi contagiati diretti e indiretti, con intere classi e docenti in quarantena, con giornate di chiusura per le sanificazioni, con l’assenza cronica e spesso strategica da parte di professori giustamente preoccupati, con le ansie di genitori e di nonni per il rischio di ritrovarsi contagiati da figli o nipoti. Tra settembre ed ottobre ha regnato soprattutto la “non scuola”, il caos, con docenti impossibilitati anche ad insegnare a distanza perché in quarantena, quindi ufficialmente e legalmente in malattia.
Certo, la didattica a distanza non è l’optimum, ma se davvero un’emergenza esiste, è la soluzione ideale per garantire la continuità. Oppure dobbiamo alimentare le ragioni dei complottisti, visto che la soluzione Dad sembra non piacere proprio a quei tanti impegnati a limitare i contagi?