Ridefinire le istituzioni



Che l’Italia stia affondando sul piano economico non è un’opinione, ma una costatazione oggettiva derivante dai dati sul PIL, sulla produzione, sul consumo interno e sull’occupazione che sono tutti negativi.
Molti opinionisti rilevano l’immobilismo del governo, del parlamento e dei partiti che ormai non riescono più a decidere e sembrano indirizzati tutti all’attendismo in attesa di superare le crisi interne derivanti dalle confusioni sulla linea politica, dall’incoerenza tra le posizioni preelettorali e le decisioni successive, dall’incapacità di definire un progetto per il superamento dello stallo e per il rilancio dello sviluppo del Paese.
Questo governo avrebbe dovuto fare una legge elettorale decente, rilanciare l’economia e l’occupazione, ridefinire la spesa pubblica eliminando sprechi e privilegi soprattutto nel finanziamento pubblico della politica, eliminare le province, rendere più equo il sistema fiscale specialmente con la lotta all’evasione ed all’elusione.
Su tali questioni la linea è quella del rinvio in attesa delle decisioni che la Cassazione assumerà sul processo Mediaset e dei risultati delle elezioni tedesche in settembre.
D’altronde un governo, che nasce sulle intese tra posizioni non diverse, ma opposte, cosa avrebbe dovuto esprimere se non la confusione e l’inerzia che ogni giorno registriamo?
Non si toccano i privilegi perché dicono tutti che si tratta di diritti acquisiti; non si sa distinguere tra la prima casa di un povero e quella di un ricco; sugli F-35, per i quali l’Italia spenderà 14 miliardi di euro per l’acquisto e 52 miliardi di euro fino al 2050 per manutenzione ed addestramento, si continua a sostenere che la pace va armata o si balbetta falsamente sull’impossibilità di recedere dal programma.
La cosa peggiore, tuttavia, è che in qualche decisione che si sta cercando di prendere si continua a lavorare con decreti legge e voti di fiducia che sono la negazione della sovranità del Parlamento.
A parte la legge costituzionale che si sta cercando di approvare per dettare nuove e pericolose procedure di modifiche alla Costituzione in deroga dell’art. 138, la verità è che la nostra non è più una repubblica parlamentare, ma in effetti si è già andati verso un presidenzialismo strisciante voluto da lobbies finanziarie o da partiti che ormai nominano i parlamentari impedendo ai cittadini di eleggerli con una scelta democratica.
Lo abbiamo scritto da sempre che le istituzioni in Italia sono un’oligarchia o, se preferite, una plutocrazia e che stanno impedendo decisioni democratiche sostituite da diktat del FMI, della BCE o delle agenzie di rating.
Il problema, allora, per evitare la catastrofe economica e il depotenziamento sempre crescente del Parlamento, è quello di rimettere alle decisioni del popolo la ridefinizione delle istituzioni.
Noi ci saremmo aspettati dall’opposizione non solo la protesta, ma soprattutto proposte da spingere e sostenere con forza nelle commissioni e nelle aule di rappresentanza.
Nulla di tutto questo!
È lapalissiano: nessuno dei partiti vuole davvero tornare ad una legge elettorale di tipo democratico.
Pertanto in estrema sintesi, come cittadini, abbiamo un solo modo, a nostro avviso, di rifondare la democrazia in Italia e di riportare il Paese ad una governabilità accettabile della vita comune.
Bisogna organizzare immediatamente un progetto d’iniziativa popolare per una legge elettorale che torni a dare effettiva capacità di scelta al popolo ed impedisca l’esasperata personalizzazione della politica che per molti è diventato solo un mestiere troppo ben remunerato e non più un servizio provvisorio alla collettività.
Se il Parlamento è immobile o nicchia, gli italiani devono riprendere l’iniziativa alla base imponendo un cambiamento delle storture che hanno portato l’Italia, soprattutto negli ultimi vent’anni, ad una pesante involuzione nella vita democratica.

(Umberto Berardo – 25 luglio 2013)

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