Il problema principale è scegliere tra due piaghe. Entrambe purulente. Da una parte la corruzione, amaramente presente nelle cronache quotidiane. Dall’altra una crescente e pericolosa assuefazione. E se la prima ha qualche anticorpo nella magistratura e in sparuti, coraggiosi ed esemplari “no” (oggi sorprendentemente in salsa meneghina, dopo le stagioni della Milano da bere), la seconda, che purtroppo si sta impadronendo di sempre più cittadini sfiduciati, è forse la più deleteria.
C’è, infatti, una diffusa rassegnazione di fronte a politici disonesti che contaminano e impataccano l’immagine già segnata di intere forze politiche. Per cui tanti italiani – dopo l’infatuazione per l’onestà dei Cinquestelle (sebbene qualche loro esponente di primo piano si sia dimenticato di versare bonifici da 35mila euro) – il prossimo voto non lo daranno proprio. O al limite si faranno consigliare da una chiromante. Quel poco più del 25 per cento che s’è recato alle urne nei due municipi romani, in una città allo sbando, la dice lunga sui sintomi. E la democrazia s’invecchia, s’indebolisce, viene persino messa in discussione come valore. E’ questo il dramma vero.
La Politica con la P maiuscola, che dovrebbe costituire il balsamo contro l’assuefazione, continua invece ad offrire spettacoli di connivenza e di complicità. Capitola in massa davanti ad oscuri facilitatori che assumono ruoli da Mister Wolf de’ Noantri, che in confronto il personaggio del film di Tarantino è un probo da beatificare. Si arrende agli oliatori di ingranaggi che si muovono – proponendo le opportune “scorciatoie” – con disinvoltura in un Paese malato ed ingessato dalla burocrazia. Alimenta il protagonismo dei soliti palazzinari, burattinai del più becero potere dei salotti e di circolo sul Lungotevere, degni di film anni Cinquanta con quel genio dell’italianissimo (e romanissimo) Alberto Sordi.
Non c’interessano i nomi sbiaditi di quest’ennesimo pezzo di “Mafia Capitale”, seppure senza mafia e con molto capitale, che ha investito l’indolente Città Eterna con la paturnia del nuovo stadio della Magica. E nemmeno ci scervelliamo in attesa che qualcuno, brogliacci alla mano, ci dimostri l’elemento corruttivo dei comportamenti ipotizzati dai pubblici ministeri, tra la solita lista di personaggi da “saldare” in tutti i sensi e figli (e generi degeneri), eterni “piezz’e core”, cui trovare uno straccio di lavoro. Mala tempora currunt anche per loro, i figli di papà. E se le buste hanno perso smalto, c’è sempre pronta una casa da impacchettare, infioccare ed elargire. Mozartiano così fan tutte (e tutti). O forse no. Perché a Milano c’è pure chi l’appartamento lo spedisce al mittente. Eroe. Ormai la normalità partorisce persino semidei.
In questa commedia degli “Uno, nessuno e centomila”, il cuore è una locuzione dal sapore antico: “la questione morale”. Roba che riesuma la celebre intervista di Scalfari a Berlinguer del 1981. Che ci fa tornare in mente gli strali di uno scatenato Pertini presidente. Anche qualche sermone (legittimamente) moralista del dopo-Craxi, quando in Asia i politici con le famiglie allargate andavano in massa a spese di tutti noi e il debito pubblico diventava una montagna. Sempre mazzette, certo. Ma anche il Paese in cui le “famiglie” hanno accezioni diverse, le amicizie vanno coltivate ed i linguaggi evolvono in peggio. Dai latinismi agli slogan curvaroli da eterne campagne elettorali. In cui il presunto nuovo ritorna eternamente vecchio quando si tratta di difendersi dalle piogge di accuse, tra “sentirsi parte lesa” e vicende sempre “a propria insaputa”. Belpaese in cui l’evasione fiscale è da primato. In cui i furbi vanno a braccetto con i furbetti, del quartierino e del quartierone. In cui i condannati sono rari e le prescrizioni arrivano sempre a puntino, tra l’immancabile omelia sulla giustizia ad orologeria.
E tutto, come al solito, finirà “in caciara”, tra una battuta di Osho e l’uscita di Massimiliano Fuksas che progetterebbe gratis lo stadio, per la Roma questo e altro. Appunto, per la Roma questo e altro.