I simboli di un territorio



ROMA – A lungo il semi-sconosciuto Molise ha goduto di un po’ di notorietà grazie soprattutto ad una nota marca di pasta che ne richiamava il nome. Fu fatta pubblicizzare persino dal simpatico Nino Manfredi, il quale ovviamente le assicurò ulteriore motivo di attrazione (come del resto il bravo attore ciociaro ha fatto per una nota marca di caffè). In giro si diceva: “Ah, lei è molisano… Voi molisani avete una pasta insuperabile !”. Eccellenti carboidrati che hanno fatto più per l’identità di questa regione che non cinquant’anni di politica.
Il primo piatto con il marchio quasi di nicchia (allora tra i più costosi), insieme alle immagini delle nevicate invernali e al primato negativo delle temperature (e a Fred Bongusto, per quei pochi che fossero interessati più ai suoi natali che alle sue canzoni), ha costituito per anni una delle poche prove di esistenza in vita della regione. In verità ci sono state altre parentesi. Ma hanno acceso riflettori su “pezzettini” del già minuscolo Molise.
Ad esempio Aldo Biscardi, “l’alicetta di Larino”. O meglio, la sua parlata primigenia, che ha fatto improvvisamente diventare il basso Molise meta ambita di glottologi e linguisti. Siamo certi che l’ultracentenario Claude Levi-Strauss si stia ancora mangiando le mani per non aver preso il Minuetto direzione Campobasso. E a proposito del capoluogo, vuoi mettere il breve ma esaltante siparietto della squadra del Campobasso in serie B, mitici anni ottanta. Dio benedica sempre la mamma dell’indimenticabile bomber piemontese Oscar Tacchi, seminatore di sogni e di certezze al Romagnoli. Poi, per riscoprire il Molise un decennio dopo, s’è tornati verso la costa. Ecco Montenero di Bisaccia, museo di masserie e di trattori, capitale morale della nazione, culla del Tonino il fustigatore. Con le antiche pietre consumate dagli inviati dei telegiornali.
Ad onor del vero in questo tour ci dovrebbe essere anche Bojano – aiutata da questa “j” così anglosassone – con le sue autostrade di mozzarelle, ma occorre riconoscere che i più – è il caso di dire “prendendo una bufala” – le hanno sempre considerate “made in Campania”.
Tralasciamo ovviamente, per carità di patria, il discorso San Giuliano di Puglia e quell’infelice ma emblematica uscita dell’assessore che sottolineò la crescita di notorietà del Molise grazie al terremoto. La visibilità, da quelle parti, l’avrebbero ben volentieri evitata. C’è poi un altro prodotto, “più o meno” molisano, che – è il caso di dire – tenta di “farsi strada” come ambasciatore del “made in Molise”. Si tratta di qualche migliaio di auto costruite per lo più in Cina e assemblate negli stabilimenti di Macchia d’Isernia da un concessionario locale, ora divenuto anche costruttore di veicoli a quattro ruote (con un bel po’ di contributi pubblici, pare almeno 5 milioni di euro).
I Suv italocinesi (denominate “Dr”), venduti negli ipermercati insieme a polenta in scatola e gallette di soia (generi poco molisani), hanno avuto l’onore – tra qualche polemicuccia – di rappresentare il Molise nientemeno che alla Bit di Milano, la principale rassegna turistica del nostro Paese. Per la serie basta con “la terra dei caciocavalli”, meglio “il Michigan italiano dell’auto”. Anche se finora, secondo fonti accreditate, di auto “made in Macchia d’Isernia” ne circolano circa 3mila sui 36 milioni di veicoli che solcano l’asfalto italiano. Le previsioni dichiarate dall’azienda al “Corriere della sera” parlavano di 12mila entro il 2008. Più che Michigan ci viene in mente il Kansas city.
Anche il fronte promozionale ha riservato qualche sorpresa. L’azienda molisana è finita nel mirino del Comitato di controllo dello Iap, l’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria, per lo slogan, non proprio da brividi: “L’unico Suv a prezzo così poco Suv”. Motivo? Nel messaggio promozionale si esaltava la convenienza di “un motore italiano Powertrain Common-Rail di ultima generazione”, mentre è emerso che la versione reclamizzata non corrispondeva a quella venduta negli ipermercati, ma prevedeva un motore a benzina 1.6 di produzione cinese. Inoltre, nelle discussioni on line fioccano giudizi non proprio esaltanti sull’auto “made in Macchia”, con la pretesa di rappresentare il Molise: dalla presunta ispirazione dal vecchio modello della Rav 4 Toyota ai rivestimenti non proprio irresistibili. Anche Quattroruote ci va pesante: “Il motore a benzina (13,5 secondi nello 0-100 e una velocità di 160 km/h) stenta a portare in giro i 1375 kg della Suv molisana. Una “pigrizia” che diventa ancora più evidente sulle salite oppure quando, come in sorpasso, viene richiesta maggiore potenza”. C’è una vena luddista, in questa disamina, contro i “motorizzatori” molisani? Per carità. Le creature con gli occhi a mandorla di Di Risio conquistino le migliori fortune. Ma i simboli molisani sono ben altra cosa. I motori lasciamoli alle uggiose giornate torinesi. Meglio tenerci il più genuino Aldo Biscardi.
Seppur in modo frastagliato e spesso estemporaneo, oggi la più piccola regione del Mezzogiorno si sta facendo conoscere (e apprezzare) – per fortuna aggiungiamo noi – per ben altri emblemi. Per le eccellenze enogastronomiche. Dinamiche aziende, con quell’alacrità profusa nel lavoro, tipica dei molisani, riescono – il più delle volte “individualmente” e a fatica – a ritagliarsi spazi di pregio nel proprio comparto. Pensiamo a qualche cantina, a diversi frantoi, ad alcune produzioni casearie, ai distributori di tartufi. Sono loro a far viaggiare, con non pochi sacrifici, la migliore immagine del Molise. Spesso nemmeno supportati a dovere dalle associazioni cosiddette “di categoria”.

(Erennio Ponzio)

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