Rapporto sulla pena di morte



ROMA – La pena di morte, seppur lentamente, appare in via di estinzione. E’ quanto emerge dal rapporto “Condanne a morte ed esecuzioni nel 2008” diffuso da Amnesty International, l’associazione per la difesa dei diritti umani. Nel 2008 sono state eseguite condanne soprattutto in Asia: la Cina, da sola, ha ucciso legalmente più persone che nel resto del pianeta. In Europa utilizza la punizione estrema soltanto la Bielorussia.
Secondo il lavoro di Amnesty International, tra gennaio e dicembre dello scorso anno sono state messe a morte almeno 2.390 persone in 25 Paesi e sono state emesse almeno 8.864 condanne alla pena capitale in 52 Paesi. Un numero ancora enorme ma che segna un ulteriore e promettente calo. Occorre infatti aggiungere che solo 25 dei 59 Paesi che ancora mantengono la pena di morte hanno eseguito condanne nel 2008. In controtendenza Saint Christopher e Nevis e la Liberia, dove la pena di morte è stata addirittura reintrodotta.
Il rapporto annota i Paesi in cui sono state emesse condanne. Dopo l’Asia, dove undici paesi continuano a ricorrere alla pena di morte (Afghanistan, Bangladesh, Cina, Corea del Nord, Giappone, Indonesia, Malaysia, Mongolia, Pakistan, Singapore e Vietnam) il secondo maggior numero di esecuzioni, 508, è stato registrato in Africa del Nord e Medio Oriente. In Iran sono state messe a morte almeno 346 persone, tra cui otto minorenni al momento del reato, con metodi quali l’impiccagione e la lapidazione. In Arabia Saudita, le esecuzioni sono state almeno 102, solitamente tramite decapitazione pubblica seguita, in alcuni casi, dalla crocifissione. Negli Stati Uniti sono state 37 le esecuzioni, la maggior parte in Texas. Nell’Africa sub-sahariana, secondo dati ufficiali, sono state eseguite solo due esecuzioni, ma le condanne a morte sarebbero state almeno 362.
La ricerca ricorda “l’uso spesso sproporzionato della pena di morte nei confronti di persone povere o appartenenti a minoranze etniche o religiose in Paesi come Arabia Saudita, Iran, Stati Uniti d’America e Sudan” avvertendo del “costante rischio che vengano messi a morte innocenti, come dimostrato dal rilascio di quattro prigionieri dai bracci della morte statunitensi”.
Non è esente il Giappone, dove l’ordine d’impiccagione viene notificato ai prigionieri solo la mattina stessa dell’esecuzione, mentre i familiari vengono informati dopo che questa ha avuto luogo.
Ai dati sulla pena di morte andrebbero però aggiunti alcuni decessi in carceri dove le condizioni dono disumane, spesso acuite da torture. Sotto accusa anche prigioni statunitensi e israeliane.
Irene Khan, segretaria generale di Amnesty International, spiega: “La pena di morte è la punizione estrema. è crudele, inumana e degradante. Nel XXI secolo non dovrebbe esserci più posto per decapitazioni, sedie elettriche, impiccagioni, iniezioni letali, fucilazioni e lapidazioni. La pena capitale non è solo un atto ma un processo, consentito dalla legge, di terrore fisico e psicologico che culmina con un omicidio commesso dallo stato. A tutto questo dev’essere posta fine”.
La dirigente di Amnesty conclude: “La buona notizia è che le esecuzioni hanno luogo in un piccolo numero di Paesi. Questo dimostra che stiamo facendo passi avanti verso un mondo libero dalla pena di morte. La brutta notizia, invece, è che centinaia di persone continuano a essere condannate a morte nei Paesi che ancora non hanno formalmente abolito la pena capitale”.

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