Quale legge elettorale

La riduzione del numero dei parlamentari posta in essere dalla legge costituzionale c. 1585 dell’8 ottobre 2019 “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari” e dal referendum confermativo del 20 e 21 settembre 2020, pur prevedendo nell’art. 4 l’entrata in vigore della riforma dalla prossima legislatura, pone come problema immediato l’elaborazione di una nuova legge elettorale che dia garanzie di rappresentanza a tutte le forze politiche, soprattutto in considerazione dell’innalzamento del quoziente elettorale. C’è naturalmente la necessità di ridefinire anche i collegi e i regolamenti parlamentari.

Sia nello Statuto Albertino che nella Costituzione Italiana la legge elettorale prevista non è costituzionale, ma ordinaria.

Quella del Regno di Sardegna del 1859, estesa poi nel 1861 al Regno d’Italia, era di tipo maggioritario uninominale a doppio turno; la successiva di Depretis del 1882 era un maggioritario plurinominale mentre con Giolitti nel 1912 si tornò al maggioritario uninominale.

Con il governo Nitti si passò al proporzionale nel 1919, mentre la legge Acerbo voluta da Mussolini nel 1923 era un proporzionale con premio di maggioranza che garantiva alla lista vincente i due terzi dei seggi della camera.

La prima legge della Repubblica Italiana a suffragio universale maschile e femminile nel 1946 fu di tipo proporzionale.

De Gasperi provò con voto di fiducia e tra grandi polemiche a trasformarla con la legge n. 148 del 31 marzo 1953 introducendo un premio di maggioranza che garantiva il 65% dei seggi parlamentari alla lista o al gruppo di liste che avessero superato il 50% dei voti validi.

Con l’eccezione del Porcellum del 2005 che era di tipo proporzionale con forte premio di maggioranza, quelle successive ( Mattarellum del 1993, Italicum del 2016 e Rosatellum del 2017 ), alcune delle quali dichiarate parzialmente incostituzionali, appartengono a sistemi misti e tutte, con l’impianto delle liste bloccate, sono state una delle cause che hanno allontanato dalle urne una grande percentuale di elettori vedendo in esse il tentativo maldestro dei partiti di nominare in pratica i candidati togliendo sempre più ai cittadini la possibilità di scelta dei propri rappresentanti.

Se quella di De Gasperi venne chiamata “legge truffa”, queste lo sono davvero ed a maggior ragione.

In realtà per giochi di potere e voglia di oligarchia i partiti hanno finito per generare la notte della democrazia con tutta una serie di sedicenti pessime riforme come quella del Titolo V della Costituzione o le altre sulla riorganizzazione della gestione dei Comuni o delle Province.

L’apice negativo si stava raggiungendo con il progetto di riforma costituzionale di Renzi per fortuna finalmente bocciato dai cittadini nel referendum del 4 dicembre 2016.

Tuttavia, dopo quello scatto di reni, il popolo italiano non ha saputo impedire l’involuzione del processo democratico che è continuato fino a generare problemi enormi per il Paese non solo sul piano istituzionale, ma anche nei principi relativi alla convivenza nella quale non solo non si è lavorato a ridurre la forbice della diseguaglianza, ma si sono accentuate forme gravi d’ingiustizia, corruzione e criminalità tollerate come se appartenessero al normale ordine delle cose.

Ora, dopo il referendum confermativo sulla riduzione del numero dei parlamentari, specchietto per le allodole nella distrazione di massa sui reali problemi quotidiani, siamo a chiederci come collocarci nella società da cittadini attivi senza subire ancora che le regole generali di funzionamento dello stato di diritto vengano elaborate verticisticamente per giochi di potere piuttosto che per garantire una democrazia partecipata e reale.

Occorre allora essere presenti avanzando idee sulla legge elettorale da dare all’Italia.

Chi guarda lontano a sistemi di presidenzialismo ne immagina una di tipo maggioritario presentandola come il mantra della governabilità mentre in realtà essa limita o addirittura impedisce la rappresentanza delle minoranze.

È nostra profonda convinzione al contrario che una di tipo proporzionale sia la massima garanzia per una partecipazione effettiva della popolazione alla vita politica del Paese e per un’efficace e reale rappresentanza dei gruppi sociali nelle istituzioni.

Alla Camera è stato presentato da Giuseppe Brescia, presidente della commissione Affari costituzionali, un progetto di legge di soli tre articoli che prevede l’abolizione dei collegi uninominali previsti dal Rosatellum, una soglia di sbarramento al 5% e un diritto di tribuna per i piccoli partiti con una delega al governo per la determinazione dei collegi plurinominali nelle circoscrizioni che rimarrebbero ventotto.

Per il cosiddetto diritto di tribuna ci sarebbe un ripescaggio dei candidati delle formazioni che ottengono tre quozienti in almeno due regioni mentre al Senato per quelli che ottengono almeno un quoziente nella circoscrizione regionale.

Nel testo originale rimane ancora grande incertezza sull’abbassamento dell’età per il voto e la candidatura al Senato, per la cosiddetta sfiducia costruttiva e per la lunghezza delle liste nelle quali il PD spinge per listini bloccati con la selezione dei candidati attraverso le primarie mentre il M5S chiede il ritorno alle preferenze.

È del tutto evidente che nella proposta attualmente depositata in Parlamento le segreterie dei partiti continuerebbero ad imporre scelte verticistiche di candidati in mano a chi forma le liste prima del voto.

Una legge elettorale proporzionale non può che essere aperta alle preferenze, senza alcuno sbarramento e con la previsione a metà mandato della possibilità di revoca per gravi motivi penali dell’incarico conferito su richiesta di un numero di cittadini da definire, ma almeno pari a quello dei voti a suo tempo attribuiti all’eletto.

Negli ultimi trent’ anni nel Parlamento si è andati alla ricerca truffaldina di leggi elettorali che potessero agevolare partiti o coalizioni con il risultato grave di comprimere sempre più la percentuale dei votanti.

Anche quando la stabilità politica sembrava rafforzata in realtà abbiamo avuto governi sempre più discutibili ed amorfi, con incarichi a soggetti non eletti talora succubi del potere finanziario e lontani dalle esigenze dei cittadini.

L’alternativa a tali forme di potere si è incarnata purtroppo non nell’elaborazione di proposte diverse di soluzione ai problemi comuni, ma in forme di populismo e in certi personalismi inconcludenti e talora pericolosi per la stessa democrazia.

Una legge elettorale non è altro che un algoritmo per convertire voti in seggi e l’esperienza dimostra che non ne esiste una in grado di garantire in ogni caso la stabilità di governo che può dipendere invece dalla sfiducia costruttiva, dai regolamenti parlamentari e dalla capacità delle forze politiche di sedere nelle istituzioni in modo costruttivo cercando con onestà intellettuale e politica il bene generale del Paese.

In altre parole anche fare l’opposizione non significa remare contro il bene comune.

La qualità del sistema proporzionale risiede nella garanzia del principio di rappresentanza per tutte le espressioni culturali e politiche, ma anche nell’esigenza che, fuori da ogni personalismo, i candidati siano obbligati a raccogliere i consensi rappresentando con chiarezza agli elettori la propria identità ed il progetto politico del partito di riferimento.

Per ovviare all’inconveniente dell’eccessivo frazionamento delle forze politiche, che sicuramente dovrebbero superare le logiche di un purismo ideologico talora incapace non solo di compromessi ma neppure di confronti e di sinergie, si può pensare ad esempio a limitare la dimensione delle circoscrizioni piuttosto che proporre soglie di sbarramento, perché già c’è quello implicito dato dal computo dell’assegnazione dei seggi.

C’è ancora la necessità di un controllo dei fondi raccolti per le campagne elettorali per evitare episodi di clientelismo e corruzione nell’auspicio che il voto torni ad essere per tutti quello di opinione.

In ogni caso per ottenere una legge elettorale proporzionale senza sbarramento e assolutamente con le preferenze non possiamo lasciarne l’elaborazione e la discussione ai partiti.

È necessario che si apra un confronto nell’opinione pubblica per definire finalmente in maniera allargata le regole generali sul funzionamento di una vera democrazia anche perché negli ultimi giorni si rincorrono sempre più le voci sul rinvio della discussione sul disegno di legge depositato in commissione alla Camera in attesa di vedere come evolverà il quadro politico evitando anche di affrontare questioni troppo divisive per concentrarsi sul Recovery fund e sulla persistente pandemia.

Poiché in altre parole i contrasti al riguardo sembrano alquanto spigolosi, la tecnica scelta è menare il can per l’aia in attesa di tempi migliori soprattutto dopo il crollo elettorale di certe formazioni nelle ultime amministrative.

Ovviamente tali tecniche di rinvio danno all’opinione pubblica l’idea di un Parlamento sempre meno produttivo che sembra ormai dipendente dai decreti legge dell’esecutivo che si è disposti ad accettare pur di procrastinare il più possibile la nuova tornata elettorale arrivando a fine legislatura.

Solo che quella attuale non ci sembra più davvero si possa definire una repubblica parlamentare.

(Umberto Berardo)

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