Vuoti normativi sulle certificazioni di filiazione

Facendo da apripista, il 30 settembre 2015 il sindaco di Napoli Luigi de Magistris trascrive una nascita con la dicitura “genitore 1 e 2” eliminando la nomenclatura di madre e padre, ma il 5 novembre il prefetto della stessa città annulla l’attestazione anagrafica.

L’anno successivo Beppe Sala a Milano ripete la cosa con l’atto di nascita di due bambini nati in California su richiesta di una coppia di uomini riconoscendo a entrambi la genitorialità.

Altre registrazioni simili si hanno a Torino da parte del sindaco Chiara Appendino.

Nello scorso gennaio il ministero dell’Interno con una circolare alle prefetture interrompe le trascrizioni in Italia dei certificati di nascita dall’estero dei figli nati da coppie omogenitoriali facendo riferimento alla legge n. 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita che è consentita solo a coppie formate da persone di sesso diverso con diagnosi di infertilità, mentre viene vietata la maternità surrogata.

Piantedosi cita in merito la sentenza n. 38162 della Corte di Cassazione del dicembre scorso che stabilisce per i sindaci l’impossibilità della trascrizione dei certificati dei figli di due padri nati all’estero con maternità surrogata sottolineando che il solo genitore avente un legame biologico con il nato può essere menzionato nell’atto di nascita che viene registrato in Italia.

La legislazione vigente non consente dunque le trascrizioni di nascite derivanti da una coppia di uomini che ricorre all’utero in affitto all’estero; infatti le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno deciso che “non può essere trascritto nei registri dello stato civile italiano il provvedimento di un giudice straniero con cui è stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata e un soggetto che non abbia con lo stesso alcun rapporto biologico, il cosiddetto genitore d’intenzione”.

La commissione “Politiche europee” del Senato ha bocciato tra l’altro la proposta di regolamento che prevede la creazione di un certificato europeo di filiazione.

Per protestare contro lo stop del Viminale alle registrazioni anagrafiche dei figli all’interno di nuclei dello stesso sesso in piazza della Scala nei giorni scorsi a Milano nella manifestazione organizzata da Arcigay, Famiglie Arcobaleno e i Sentinelli c’erano diecimila partecipanti.

Sarà anche un tema che probabilmente non interessa direttamente moltissime persone e che forse, come alcuni pensano, serve magari a spostare l’attenzione dai tanti problemi urgenti del Paese, ma certo pone questioni serie e irrisolte.

Come spesso accade in Italia, queste decisioni hanno suscitato finora non un dibattito pacato su problemi che riguardano importanti diritti civili, ma le solite diatribe più fondate su ideologismi preconcetti che su analisi di ordine umano, etico e politico che sottendono i diversi aspetti della questione.

Invece di cercare allora contrapposizioni che talora si spingono alla denigrazione e perfino all’insulto per chi ha idee diverse, occorre intanto prendere atto che nel nostro Paese le posizioni antropologiche sul concetto di famiglia e su quello di genitorialità, di procreazione e di filiazione sono alquanto articolate e assolutamente trasversali a ideologie o confessioni religiose; quindi in una società civile e democratica devono trovare una sintesi di carattere legislativo che guardi con razionalità al bene dei soggetti interessati e sia capace di tenersi lontana da ogni forma di egoismi individualistici o di pressioni di lobbies.

Attualmente nel nostro Paese abbiamo 25 milioni di famiglie e 13.356 coppie dello stesso sesso in “stato coniugale” di cui 529 con figli.

In Italia finalmente si è fatta strada l’idea del pieno riconoscimento a ognuno del proprio modo di esprimere gli affetti e la sessualità e di unirsi in coppia con chi desidera.

Non si possono nascondere al contrario le differenze persistenti nell’opinione pubblica sul tema della procreazione, della genitorialità e dell’adozione.

C’è chi sostiene che debba essere riconosciuto per legge il diritto delle coppie omogenitoriali ad avere un figlio ricorrendo alla maternità surrogata nel caso di due papà o alla ricerca di gameti in laboratorio per due mamme, ma c’è anche chi pensa che in simili casi insorgano seri problemi di natura biologica, umana ed etica.

Qualcuno aggiunge che la nascita di una persona debba discendere da un atto di amore e che un bambino non possa essere considerato e a volte sfruttato come l’oggetto di un desiderio realizzato in forme molto discutibili e a prezzi umani ed economici talora inaccettabili.

Il ricorso a taluni sistemi procreativi contraddirebbe l’idea che un figlio debba derivare, come avviene in natura, da due identità generanti che sono un padre e una madre i quali garantiscono oltretutto al minore la complementarietà genitoriale il cui rilievo è fondamentale sul piano della crescita soprattutto a livello psicologico.

Secondo tale concezione di queste due figure lo stesso nascituro deve avere pieno diritto come anche della conoscenza relativa alle proprie origini e alla identità sul piano biologico e genetico.

L’utero in affitto, definito anche gestazione per altri, appare davvero a tanti una pratica intollerabile per la dignità della donna, per gli abusi, gli sfruttamenti e le controversie giudiziali di cui diventa occasione, ma soprattutto per il mercimonio che taluni provano a negare, ma che esiste e sottopone la donna a un ruolo di gestante per altri in meccanismi di un mondo maschilista nel quale si pensa di poter comprare tutto e quindi anche esseri umani in forme di un mercato profanatorio davvero molto pericoloso sotto diversi aspetti.

Siamo sicuramente davanti a sistemi di sfruttamento e di schiavizzazione del corpo della donna e credo che ognuno debba fare una riflessione molto accurata al riguardo.

Ci sono casi in cui la sovrapposizione tra la genitorialità naturale e quella legale crea diatribe sulla doppia paternità ma anche contrasti o incertezze nelle decisioni dei giudici sulla duplice maternità.

Tra l’altro fa riflettere come in genere ci si opponga alle manipolazioni sulla produzione dei frutti in agricoltura mentre si accettano sistemi quantomeno discutibili relativi alla procreazione umana che rischiano davvero di creare problemi seri ai soggetti coinvolti e alla stessa convivenza.

Concordo con Stefano Fassina quando scrive che non può essere credibile “una sinistra che reclama la difesa della dignità della persona che lavora dal profitto e la protezione della natura dal mercato, quando rivendica come conquista di civiltà il dominio dell’economico anche nella dimensione più sacra dell’umano, ossia la generazione della vita”.

Preso atto allora che sulle norme e le pratiche adottate dalla politica per regolare la vita biologica degli individui fin dalla nascita e nei suoi molteplici ambiti le posizioni fortemente divisive non hanno permesso di raggiungere ancora decisioni condivise, è necessario anzitutto superare posizioni preconcette e scontri di natura ideologica che a nulla servono se non ad avvelenare il clima di una riflessione seria e serena.

Intanto a me appare intollerabile e scorretto affrontare il tema in questione nei talk show televisivi affidandone l’analisi a soggetti che, senza alcuna competenza di natura scientifica e giuridica, sentenziano sul nulla attraverso slogan senza senso.

Sull’argomento, che certamente presenta aspetti delicati e problemi di non facile soluzione, manca un confronto pacato e aperto, ma si assiste ormai come al solito a uno scontro tra maggioranza e opposizione finalizzato unicamente a marcare il territorio politico e il risultato elettorale.

Al momento siamo in presenza di due proposte nettamente contrapposte nelle norme previste che sono quella della deputata di Fratelli d’Italia Maria Carolina Varchi e di Alessandro Zan del Partito Democratico.

Il problema impellente e reale che abbiamo di fronte è quello della tutela giuridica del riconoscimento di minori di coppie omogenitoriali nati con i metodi sopra descritti e la soluzione deve cercarla il Parlamento ponendo fine ai continui rinvii attraverso una legge che interpreti il più possibile un pensiero condiviso dalla popolazione.

Sanare le situazioni esistenti per il bene dei minori è un dovere della politica; altra cosa è la legittimazione di una genitorialità in taluni casi assai discutibile secondo il parere di molti studiosi della materia.

Abbiamo un vuoto normativo che occorre ad ogni costo colmare.

Quello che bisogna sicuramente evitare è la ricerca di soluzioni errate e penalizzanti per i diritti delle coppie e dei figli che potrebbero non solo perpetrare danni esistenti, ma crearne di nuovi.

(Umberto Berardo)

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