Autonomia differenziata, una pseudo secessione

La Commissione Affari Costituzionali del Senato ha concluso l’esame del testo del disegno di legge del Governo sull’autonomia regionale differenziata, testo presentato dal solo Ministro Calderoli.
Dopo il voto su emendamenti e ordini del giorno riguardanti i 10 articoli del ddl ora ci sono le dichiarazioni di voto dei senatori e dopo il voto finale il testo sarà pronto per l’aula.

Nella sostanza il testo della legge non è cambiato. Resta una proposta di legge inaccettabile che merita tutte le critiche, a partire da quelle dei funzionari del bilancio del Senato, che subirono un linciaggio mai avvenuto per avere espresso valutazioni tecniche senza riguardi politici e per questo hanno sempre goduto di rispetto generale.

Dopo è stato il turno della Corte dei Conti e dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio – che svolgono un ruolo di controllo e garanzia sui conti pubblici anche verso l’Europa – che hanno sollevato una questione fondamentale e cioè che i diritti riguardano tutti i cittadini e quindi occorre garantire le risorse per questo obiettivo, quindi occorre prevedere quanto è necessario, con attenzione al debito pubblico che è in sofferenza, come ha ricordato da ultimo Moody’s.

Ancora, con le dimissioni di Amato, Bassanini ed altri dalla commissione Cassese hanno posto la questione di fondo che occorre definire tutti i Lep e i relativi finanziamenti, quindi non si può procedere al passaggio di funzioni alle Regioni se non ci sono le risorse in grado di garantire gli stessi diritti a tutti i cittadini in tutto il territorio nazionale.

Da ultimo il Governatore della Banca d’Italia con una lettera puntuale e motivata ha ricordato che occorre avere tutto il quadro finanziario per gli interventi per garantire i diritti, altrimenti potrebbero aumentare le differenze tra le Regioni.

La critica al ddl Calderoli è in crescita man mano che appare chiaro che la disponibilità a chiacchiere a raccogliere preoccupazioni per la stessa unità nazionale suona falsa. Infatti è previsto un meccanismo legislativo per il decentramento alle Regioni basato su leggi che recepiscono gli accordi tra Governo e singole Regioni e che essendo leggi successive possono modificare vincoli e garanzie decisi in precedenza come con questo ddl.

Diverso se fossero modifiche del titolo V come ha proposto il disegno di legge di iniziativa costituzionale agli articoli 116 c.3 e 117 che abbiamo presentato al Senato, forti di 106.000 firme. Abbiamo già chiesto al Presidente del Senato di metterlo all’ordine del giorno dell’Aula perché l’articolo 74 del regolamento del Senato lo prevede. Una norma costituzionale non sarebbe aggirabile da una futura legge.

Per questo va sottolineato che gli emendamenti accolti dalla maggioranza della Commissione risentono delle preoccupazioni espresse con forza da un vasto movimento sociale, istituzionale e politico, che non sono del tutto cadute nel vuoto anche se non c’è stato il coraggio di inserire queste modifiche nella Costituzione anziché nel testo del ddl Calderoli che appunto può sempre essere modificato. Inseriti nella Costituzione alcuni vincoli non potrebbero essere superati, ad esempio sono stati accolti alcuni emendamenti che riflettono l’esigenza di mantenere una visione unitaria e nazionale dei diritti.

L’approvazione del nostro ddl di iniziativa popolare potrebbe, al contrario, bloccare i tentativi di derogare da una visione rigorosamente unitaria del rapporto tra regioni ricche e quelle deboli.

Una lettura attenta degli ordini del giorno e degli emendamenti accolti dalla maggioranza fa capire che le preoccupazioni ci sono, anche se dissimulate, quindi la battaglia parlamentare al Senato è molto importante perché parte della maggioranza subisce il ricatto della Lega che sostiene il governo Meloni in cambio dell’approvazione dell’autonomia regionale differenziata.

Colpisce una modalità di rispondere alle preoccupazioni anticipando di fatto il premierato, cioè concentrando i poteri del Presidente del Consiglio. Si affida al Presidente del Consiglio il potere di togliere materie e funzioni dal decentramento alle regioni e può proporne la revoca al parlamento. E’ una modalità mai esistita e che sostituisce la chiarezza di norme oggettive e generali come l’obbligo per il Governo di chiarire in anticipo al parlamento quali sono le materie o le funzioni che ritiene non delegabili alle regioni. Mentre così tutto è affidato al Presidente del Consiglio. Una norma del tutto inaccettabile perché occorrono norme chiare ed oggettive ex ante invece di restare prigionieri di posizioni improvvisate e imperscrutabili del Presidente del Consiglio. Norme non trasparenti, forse perfino incostituzionali, utili per costruire la figura del premier pigliatutto, cioè il premierato.

Approfondiremo il significato accentratore ed eversivo per la Costituzione attuale del premier eletto direttamente, per fare rivivere la suggestione del capo tanto cara alla destra, tuttavia in questo caso la parte della maggioranza preoccupata per le derive para secessioniste ha cercato soluzioni discutibili e improbabili come una delega in bianco al Presidente del Consiglio a decidere sulle funzioni da inserire nel decentramento.

Le modifiche inserite nel ddl Calderoli non affrontano la sostanza dei problemi. La definizione delle materie e delle funzioni resta affidata ad un rapporto a due tra Governo e Regione che definisce l’intesa su cui il parlamento verrà solo consultato, perché il Governo può comunque procedere e porterà in parlamento un testo blindato che potrà essere modificato in futuro solo da un analogo patto a due e sempre con una maggioranza assoluta delle camere. In pratica un patto difficilmente modificabile.

Altro sarebbe una legge approvata dal parlamento che tiene conto della regione, ma lascia al parlamento l’ultima parola. Questo vorrebbe dire rovesciare il disegno di Calderoli.I quattrini sono l’alfa e l’omega del problema. Insieme alle funzioni debbono essere dati personale e compartecipazioni alle imposte, ovviamente tornare indietro sarà complicato se non impossibile. Inoltre se come afferma il testo Calderoli non ci possono essere costi aggiuntivi e alcune Regioni otterranno compartecipazioni di imposte si comprende perché emendamenti accolti dalla commissione fanno trapelare la preoccupazione, con ripetuti richiami al 118 e al 119 della Costituzione, che le altre regioni non avranno mai nuove risorse, anzi rischiano di perderne e per questo si dice ora che le loro risorse non possono diminuire, ma è chiaro che non aumenteranno senza risorse finalizzate al riequilibrio nazionale.

Il disegno di legge Calderoli resta il potenziale promotore di una simil secessione delle regioni più ricche.
E’ evidente che il disegno di fondo del ddl Calderoli resta quello di prima ma oggi è evidente che le critiche e le preoccupazioni che tanti hanno avanzato non erano infondate e alcuni echi sono arrivati ma risolti in modo deformato o inefficace.

Il confronto in parlamento, ora al Senato poi alla Camera, deve servire a chiarire ai cittadini del pericolo che per compiacere la Lega e le sue pulsioni para secessioniste le destre portino l’Italia indietro di decenni, forse a prima dello stato unitario.

Va considerata fin da ora la possibilità i rapporti di forza in parlamento consentano comunque l’approvazione della Calderoli e quindi occorre considerare il ricorso al referendum abrogativo per bloccare l’entrata in vigore di queste norme, del resto il ricorso a decreti legislativi anziché a Dpcm amplia la possibilità di ricorrere a referendum abrogativi.

Alfiero Grandi

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