Alla ricca corte di Don Renato da Venezia



La Protezione Civile, in questi giorni nell’occhio del ciclone, è un Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che qualche settimana fa era finita nel mirino di un’inchiesta dell’Espresso dove erano documentati sprechi e abusi. Il brodo di coltura della corruzione è una pubblica amministrazione infettata dalle interferenze politiche e resa inefficiente dalla mancanza di valutazioni indipendenti dell’operato dei funzionari, uno dei tanti cavalli di battaglia di Brunetta trasformatosi presto in ronzino. E se qualcuno strappa il velo di omertà, i burosauri digrignano i denti.
Lo scorso 14 gennaio l’Espresso ha pubblicato un’inchiesta, intitolata “Silvio, quanto ci costi”, sugli sprechi e gli abusi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, corredata da un’ intervista (due video) a Pier Giorgio Gawronski, dirigente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’inchiesta giornalistica offriva un raro spaccato dall’interno di un’istituzione che dovrebbe essere la chiave di volta della pubblica amministrazione ed il suo fiore all’occhiello.
Dall’Espresso apprendiamo che a Palazzo Chigi lavorano circa 4.500 persone, quasi il doppio della pianta organica (e il quadruplo degli operai di Termini Imerese, verrebbe da chiosare). Uno spreco indecente, su cui quelli che urlano “Roma ladrona” potrebbero intervenire, visto che Sua Eccellenza il Ministro della Repubblica Italiana, Sen. Umberto Bossi ha il suo ufficio proprio a largo Chigi numero 19.
Gli organici gonfiati a dismisura sono il risultato di nomine e cooptazioni politiche, competenze perlomeno dubbie, concorsi fatti di rado e gestiti da commissioni interne di burocrati invece che esperti di grande caratura (come dovrebbe essere logico per lo staff del Primo Ministro di una nazione civile).
A Palazzo Chigi il sistema di reclutamento predilige il distacco da altre amministrazioni (alcune migliaia di dipendenti non sono abbastanza e servono rinforzi), la chiamata diretta, le consulenze ad personam (talora affidate ad ex dirigenti andati in pensione, ma decisi a non mollare l’osso). Non è peregrino ipotizzare che questo brodo di coltura generi inefficienza e malgoverno. Tanto per fare un esempio, catapultato sulle prime pagine in questi giorni, la Protezione Civile di Bertolaso & Co., che è proprio un Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri (anche se, dalle intercettazioni, appare una succursale di Villa Certosa).
La Costituzione disegna una pubblica amministrazione neutra rispetto al potere politico. L’articolo 98 stabilisce che: “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”. Per evitare che essi vengano trasformati in servi e scagnozzi bisognerebbe che un organismo indipendente valutasse le competenze e l’attività svolta da ciascun funzionario, così che possano migliorare anche i servizi ai cittadini.
Brunetta aveva annunciato, con la sobrietà e il rigore che tutti gli riconoscono, provvedimenti draconiani per introdurre efficienza e merito, soprattutto attraverso un sistema di valutazioni indipendente. Ma di questo sistema di valutazione a tutt’oggi non si vede traccia nemmeno nell’universo onirico di Don Renato da Venezia, popolato di premi Nobel, class action e tornelli. Quindi il dirigente, ma anche il semplice impiegato, rimane alla mercé del potere politico perché, in assenza di verifiche e garanzie, da esso dipendono carriere, benefici e punizioni. Insomma lo spoil system, introdotto con ambizioni anglosassoni, in salsa amatriciana, evoca invece il Venezuela di Chavez.
Immagino che nessuno planerà dalle nuvole sentendo parlare nella pubblica amministrazione di raccomandazioni, abusi dei politici, mortificazione del merito et similia. Ma il punto è proprio questo: un Paese si definisce civile quando questo malcostume costituisce un’eccezione. E, se scoperchiato, innesca una reazione, non un’alzata di spalle. Invece in Italia a furia di alzate di spalle sono spuntate troppe gobbe alle quali ormai non si fa caso.
Quindi è vitale che qualcuno abbia il coraggio di mettere in piazza queste vicende. Soprattutto a beneficio dell’elettorato che si autodefinisce variamente conservatore, di destra o liberale e che quindi dovrebbe essere sensibile proprio alla efficienza della pubblica amministrazione, alla riduzione degli sprechi, all’applicazione delle leggi, al prestigio dello Stato e al decoro delle Istituzioni (con la I maiuscola). Altrimenti non si comprende cosa significhi essere di destra o conservatore.
Ma è ancora più vitale far sapere che in molte istituzioni (incluse le Autorità Garanti, i Ministeri, gli Enti Locali) c’è oggi un clima pesante nei confronti dei funzionari più sensibili all’interesse pubblico o semplicemente alle persone oneste. Molti vengono isolati, subiscono il mobbing, vengono estromessi dalle funzioni, altri finiscono per adattarsi ritagliandosi un angolino nel quale non danno fastidio a nessuno, qualcuno protesta nei conciliaboli di corridoio.
A spadroneggiare rimangono persone, gruppi, cordate che perseguono fini privati di potere e appropriazione a scapito dei fini pubblici delle istituzioni.
Per gli onesti difendersi tramite la magistratura è un’illusione. I processi durano decenni e costano soldi, nel frattempo si rimane in balia di quelli a cui si pestano i piedi callosi. Ma anche qualora si andasse dal giudice per difendere l’interesse pubblico si scopre che il percorso è reso impervio da due fenomeni. Primo, il progressivo scollamento delle leggi dallo spirito della Costituzione con norme e regolamenti concepiti per consentire e perpetuare le disfunzioni e garantire gli abusi. Secondo, l’onere della prova tocca al whistle blower, ma le circostanze raramente vengono confermate da carte e verbali. Quasi sempre devono essere corroborate da testimonianze e ogni testimone si espone alle ritorsioni e alle intimidazioni. Le indagini della magistratura si limitano a qualche episodio di lotta all’assenteismo che finisce con un’assoluzione quasi generalizzata.
Rimangono i media, il Tribunale della Pubblica Opinione. Rompere il velo del silenzio. Ma anche questa non è un’opzione priva di conseguenze. In un Paese civile, quando i media segnalano disfunzioni nel settore pubblico l’amministrazione chiamata in causa costituisce una commissione indipendente per verificare se, tanto per fare un esempio, i dirigenti hanno qualifiche superiori o inferiori ai propri sottoposti. Oppure se le commissioni di concorso sono formate da persone con competenze in materia. Berlusconi, che ha iniziato la propria carriera nel settore edilizio, presumo non affidasse ai manovali la supervisione degli ingegneri. Invece il Berlusconi politico a Palazzo Chigi (il leader dell’Italia del Fare) non sembra adottare gli stessi parametri del Berlusconi imprenditore.
Altrimenti non si capisce come mai invece di investigare i fatti denunciati, il Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri se la prenda con PierGiorgio Gawronski, il whistle blower. E’ la logica maoista (adottata dalle BR) di colpirne uno per educarne cento, o mille o quanti si rendesse necessario, perché in realtà i vertici delle istituzioni qualche mal di pancia ogni tanto lo avvertono. Sanno che il disagio è molto diffuso e il tappo rischia di saltare. Se non si infligge una punizione il muro dell’omertà potrebbe sgretolarsi.
Due parole sul procedimento disciplinare contro chi “parla” (“l’infame” secondo il gergo dei corleonesi). Si sviluppa in due fasi. Nella prima fase, la Presidenza del Consiglio dei Ministri – “contesta” formalmente la violazione di una serie di articoli di legge – e aspetta le “controdeduzioni”. Poi si apre la seconda fase, in cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri (se non desiste, vale a dire se non trova convincenti le controdeduzioni) avvia il procedimento disciplinare vero e proprio. Dopo circa 15-20 giorni si imbastisce un simulacro di processo di fronte ad una sorta di Tribunale del Popolo in cui la giuria (secondo canoni da diritto cubano) sarà composta dai vertici della Presidenza del Consiglio dei Ministri (al tempo stesso giudici e parti in causa), che deciderà la sorte. Ovviamente a porte chiuse come di norma nei regimi dittatoriali. Almeno Putin i processi a chi gli si oppone li deve far svolgere in un dibattimento pubblico.
Per finire, al di là del merito delle accuse sul funzionamento e l’efficienza delle istituzioni, il caso Gawronski investe diritti fondamentali. I diritti politici, di espressione, di opinione non possono essere violati perché gli alti papaveri di un’istituzione vi ravvisano una denigrazione. Il dovere di riservatezza dei funzionari pubblici si riferisce alle pratiche amministrative, ma non può portare alla soppressione dei diritti politici sanciti dalla Costituzione (articolo 21). In soldoni, non si può proibire al dipendente pubblico di mettere in luce storture o inefficienze.
I vertici di Palazzo Chigi debbono spiegazioni all’opinione pubblica e non possono agire contro l’interesse dei cittadini a conoscere come viene amministrata la cosa pubblica. Tanto per cominciare il Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri dovrebbe divulgare l’elenco dei dipendenti distaccati da altre amministrazioni e le loro qualifiche, chi ha deciso il distacco e per quali motivi. Se non c’è nulla da nascondere e tutto è in regola non ci dovrebbero essere problemi a rivelare i nomi, le competenze e gli attuali incarichi. Giusto?

(Fabio Scacciavillani – 18 febbraio 2010)

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