NICOLA SANTANGELO



Altri protagonisti

Oltre ai “nomi più celebri” (raccolti nella sezione precedente), esistono tantissime persone d’origine molisana che si sono fatte onore nel proprio ambito. A loro abbiamo pensato (e intendiamo onorare), dando vita a questa sezione.
Essendo, però, davvero numerose le persone d’origine molisana sparse per il mondo, risulta difficile comporre una galleria sintetica di “protagonisti”.
L’elenco, pertanto, diviso nelle sottovoci “Italia” ed “Estero”, vuole essere puramente esemplificativo, ovviamente aperto ad ulteriori segnalazioni.


NICOLA SANTANGELO

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Nicola Santangelo, ministro dell’Interno per oltre un decennio nel Regno delle Due Sicilie,  nasce a Napoli il 5 gennaio 1785 da famiglia molisana di Busso (Campobasso).
Il padre, Francesco Santangelo, nato a Busso il 23 giugno 1754, è avvocato di grande fama nel Foro partenopeo. Intellettuale puro, esperto di letteratura, storia, archeologia e numismatica, colleziona quadri, statue, marmi, bronzi, vasi etruschi, monete e stampe, raccolta poi incrementata dal primogenito Nicola con la collaborazione dell’ultimo figlio Michele.
Nicola, dopo aver completato gli studi giuridici, nel 1797, a ventidue anni, viene nominato uditore al Consiglio di Stato; nel 1809 viene promosso segretario dell’Intendenza in Terra di Lavoro (l’odierna provincia di Caserta) e nel 1811 diventa, a soli ventisei anni, intendente di Basilicata. Avendo ottenuto ottimi risultati nella repressione del brigantaggio, viene trasferito a Reggio Calabria con la nomina a Intendente di Calabria.
Nel 1822 passa negli ordini giudiziari con il grado di Giudice della Gran Corte Civile di Napoli. Due anni dopo, nel 1824, viene mandato Intendente in Capitanata, promuovendo a Foggia la nascita del Teatro Comunale e del Monte di Pietà, riordinando i pascoli del Tavoliere, realizzando numerose opere pubbliche e incrementando il numero di fiere.
Nicola Santangelo dopo aver manifestato una grande volontà riformatrice e un’intraprendenza inusuale e aver acquisito grandi benemerenze, viene nominato da Francesco I, con Regio decreto del 23 ottobre 1831, Ministro nel dicastero degli Affari Interni, carica che tiene ininterrottamente per oltre tre lustri fino al 1847.
La nomina suscita tra i molisani attese e speranze, per un decisivo contributo al miglioramento del tenore di vita delle popolazioni, riassumibili in un discorso a lui dedicato a Campobasso da Alfonso Filipponi sul modo di far risorgere le arti e l’artigianato nel Molise.
Nicola Santangelo, se pure non risolve gran parte dei problemi della regione come forse si era ingenuamente sperato, si occupa anche del Molise che, come tante altre regioni del Regno, risente del benefico influsso del suo attivismo e della sua presenza al governo. Garantisce, infatti, un notevole impulso alle poche, malandate industrie molisane, per questo elogiato da Raffaele Pepe, dotandole di nuove macchine e proteggendole dalla concorrenza straniera. Incrementa le colture specializzate come il gelso e lo zafferano. Sollecita la Società Economica di Molise a distribuire semi di cotone e a premiare gli agricoltori più attivi.
Importante l’incremento alle vie di comunicazione. Fa, ad esempio, realizzare la Consolare Sannitica collegando il Tirreno con l’Adriatico (Napoli-Termoli). Fa costruire la strada provinciale per poter raggiungere più facilmente Busso dalla strada statale, all’altezza della contrada Tappino in Campobasso dove oggi si trova l’ospedale regionale.
Si interessa personalmente, coadiuvato dal fratello Michele, a organizzare e ad arricchire ulteriormente l’importante collezione, iniziata dal padre di vasi greco-siculi e italo greci, di terre cotte, di piccoli bronzi, e di circa 42mila monete greche, romane, bizantine, italiche, siciliane, medioevali e moderne di altre regioni, con un rilevante contributo del Molise. La collezione viene collocata in Palazzo Carafa di Maddaloni, eretto da Diomede Carafa nel XV secolo con importante fusione di stili tardo-gotici e rinascimentali, e acquistato da Francesco Santangelo proprio per riunirvi la collezione d’arte. Successivamente la raccolta viene ceduta nel 1865 dagli eredi al Museo Nazionale di Napoli per la simbolica somma di 15mila lire. Tra i pezzi più pregiati, ancora oggi in esposizione al museo, i vasi e le statuine di terracotta, mentre l’originale in bronzo della Testa di Cavallo del palazzo Carafa è esposta oggi alla metropolitana di Napoli a piazza Cavour.
Sul fronte delle opere pubbliche nel Mezzogiorno, fa costruire il cimitero di Poggioreale (che sostituisce quello fatiscente delle “366 fosse” del 1762), ristrutturare e sviluppare con dieci anni di lavori il Grande Archivio di Stato presso il complesso monumentale dei San Severino e Sossio, antico monastero sviluppatosi in un’area vastissima, artícolata in quattro chiostri e su quattro piani, e soprattutto fa edificare l’Osservatorio Vulcanologico Vesuviano (il primo nel mondo).
Il decreto di edificazione dell’Osservatorio porta la data dal 4 marzo 1839, ma la costruzione inizia solo due anni più tardi e l’inaugurazione dell’edificio, seppure incompleto, avviene nel 1845, in occasione dello svolgimento a Napoli del VII Congresso degli Scienziati Italiani (convocato, su sua proposta, da Ferdinando II). Il congresso registra la partecipazione di 1.613 studiosi, contro i 421 del primo, tenuto a Pisa, ed i 1.159 del quinto tenuto a Milano. Ben oltre la metà degli scienziati partecipanti è del Regno di Napoli, segno di come l’attività scientifica a Napoli è all’apice in Europa. Presidente generale del congresso è lo stesso Nicola Santangelo, strenue sostenitore dell’opportunità di tenere il congresso a Napoli, contro le posizioni avverse di altri componenti del governo.
Presso l’Osservatorio, che conosce subito grande fama, lavora anche lo scienziato molisano Leopoldo Pilla. Quale direttore dell’Osservatorio Meteorologico Vesuviano, Santangelo fa nominare il fisico parmense Macedonio Melloni, uno dei più grandi scienziati dell’Ottocento, noto soprattutto per le sue ricerche sul calore radiante e sul magnetismo. “Avvezzo da’ miei più teneri anni ai rigori di una scienza che nelle sue lente e faticose vie non patisce la più leggera imperfezione, io mi sarei astenuto del tutto da intrattenervi in un osservatorio ancora sfornito di strumenti, se il vivo desiderio e l’obbligo solenne d’onorare in tutte le possibili guise il settimo congresso italiano…”. Questo si legge nella minuta di Antonio Ranieri con discorso inaugurale dell’Osservatorio Vesuviano tenuto da Macedonio Melloni. L’Osservatorio viene consegnato ufficialmente al suo direttore il 16 marzo 1848. Melloni non vi ha ancora trasferito gli strumenti, quando a maggio scoppiano i moti liberali, cui fa seguito una dura repressione e la destituzione di Melloni dalla carica di direttore. Lo scienziato, liberale, è costretto a rifugiarsi a Parigi.
L’Osservatorio, senza Melloni, versa in abbandono, fino alla nomina del secondo direttore, Luigi Palmieri, laureato a Napoli, prima in fisica e matematica e poi in filosofia e professore universitario dal 1847 presso la Regia Università degli Studi con la cattedra di logica e metafisica. E’ nel 1852 che Ferdinando II concede a Palmieri di effettuare i suoi esperimenti presso l’Osservatorio Vesuviano e nel 1854 ne diviene direttore, rilanciandolo attraverso quella sorveglianza sistematica dell’attività del Vesuvio, che in quell’epoca è quasi continua, caratterizzata da importanti e frequenti eventi eruttivi, come quelli del 1855, del 1861, del 1868 e del 1872.
Tra le più importanti realizzazioni di Santangelo, ricordiamo che è lui a far istituire il Corpo dei Pompieri (non ancora esistente in Italia) e a costruire il primo tratto della celebre ferrovia a vapore Napoli-Portici, la prima in Italia.
L’eccezionale realizzazione ferroviaria nasce dall’esigenza di rompere la dipendenza del  Regno di Napoli dall’industria straniera, ma si inserisce anche nel clima di innovazione che coinvolge il Regno di Napoli in questo periodo dove si assiste all’inaugurazione del primo battello di linea a vapore d’Italia e alla creazione di una delle prime reti italiane  telegrafiche (Napoli-Sicilia).
L’idea della ferrovia nasce dalla visita nel 1836 a Napoli di un ingegnere francese, Bayard de le Vingtrie. L’ingegnere chiede a Re Ferdinando II il permesso di poter costruire una “strada ferrata” tra Napoli e Nocera. Il francese avrebbe realizzato l’opera a proprie spese in cambio di averne l’usufrutto per 99 anni (poi la “ferrovia” sarebbe divenuta proprietà dello Stato). Si consideri che la prima ferrovia del mondo è di appena sei anni prima: il 16 settembre 1830 viene inaugurata la Liverpool-Manchester, lunga quattordici chilometri.
La proposta viene studiata proprio da Nicola Santangelo, Ministro degli Interni.
Con decreto del 19 giugno 1836, il Re concede al Bayard la facoltà di costruire la ferrovia, ma con forti limitazioni: Bayard deve costruire l’opera in sei anni e depositare una penale di 100mila ducati. L’usufrutto viene limitata a 80 anni. L’atto tra il governo di Napoli e il Bayard viene stipulato a Parigi dal notaio M. Hailigalla Chaussèe d’Antin.
Dopo due anni – agosto 1838 – il primo tratto di binari è pronto da Napoli al Granatello di Portici.
Il primo tratto Napoli-Portici viene quindi inaugurato il 3 ottobre 1839. La locomotiva, chiamata ” Vesuviana”, viene montata a Napoli con pezzi costruiti e progettati in Inghilterra. E’ capace di percorrere 60 chilometri all’ora. Le carrozze. particolarmente eleganti, vengono costruite a Napoli.
La cronaca di quel primo storico viaggio inaugurale è riportata dal “Giornale delle Due Sicilie” del 5 ottobre 1839: “Ad un segnale datosi dall’alto di quella Tenda Reale partì dalla stazione di Napoli il primo convoglio composto di vetture sulle quali ordinatamente andavano 48 invitati, 60 ufficiali dell’Armata di S.M. 30 soldati di fanteria, 30 di artiglieria e 60 marinai dei nostri Reali Legni. Chiudeva il convoglio nell’ultima vettura la musica banda della Guardia Reale.
Giunto esso al Granatello tosto ne tornò alla stazione ond’erasi mosso.
Dopo questo primo viaggio (prova) fu preparato un altare per la solenne benedizione, e a ciò vi adempì Monsignor Giusti, Vicario di Napoli. Una salva di artiglieria annunziò al pubblico l’adempimento di quell’atto religioso. Immediatamente le vetture del primo convoglio con l’aggiunta della Vettura Reale partirono da Porta Nolana e si fermarono sotto al Ponte di Carrione, dove S. M. con la Reale Famiglia prese posto nella Real Vettura e tutti i prelodati personaggi che facevano corteggio si collocarono nelle altre.
Il Real Convoglio si avviò al Granatello e di là ritornando si condusse a Porta Nolana tra lieta moltitudine di gente, che festeggiando godevano del nuovo e gradevole spettacolo, sicchè quell’amenissima sponda del Tirreno, ornata da vaghi giardini e ville ed allora tutta coperta dell’allegra popolazione spettatrice, sembrava un anfiteatro oltre l’usato ridente, che non poteva non commuovere dolcemente di diletto e letizia. Un grido di grata ammirazione si alzava dal popolo dovunque passasse il Re col suo magnifico Convoglio. Pervenuto questo alla Stazione di Napoli S. M. nè partì con l’Augusta Famiglia per ritirarsi al Real Palazzo, e così ebbe fine sì memorabile cerimonia”.
L’area viene arricchita dalla realizzazione di un celebre opificio. E’ il 6 novembre 1840 quando Ferdinando II emana un decreto per l’acquisto di un suolo posto al confine fra Napoli e Portici sul quale impiantare il nuovo opificio. La zona è quella di Pietrarsa (così chiamata a causa di un’eruzione del Vesuvio nel Seicento). La nuova realizzazione viene visitata sia dallo zar Nicola I di Russia (nel 1845) sia da Papa Pio IX: entrambi ne rimangono molto colpiti. Addirittura lo zar ordina di rilevare la pianta dello stabilimento per riprodurlo nell’area industriale russa. Il Reale Opificio è il primo nucleo industriale della Penisola. Oggi i suoi padiglioni costituiscono uno straordinario esempio di archeologia industriale.
Legata a Nicola Santangelo anche l’omonima villa di Pollena, edificata nel borgo cittadino nella prima metà del Seicento (fatta costruire dalla famiglia Capece Scondito ed in seguito, nel 1736, acquistata dal marchese Paolo Francone di Salcito) e distrutta alcuni decenni fa per costruire uno dei tre edifici dell’Istituto Suore degli Angeli. La villa viene acquistata dalla famiglia dì Nicola Santangelo. Il Caracciolo scrive: “Durante il lungo ministero del Santangelo i pìù illustri personaggi del regno furono di passaggio per Pollena, per rendere atto di ossequio al potente ministro, e lo stesso re Ferdìnando con tutti i principi della sua famiglia vi venne un giorno a schiena d’asino da Portici per un’improvvisata che parve piuttosto dovuta ad un intrigo di corte. Infine nel 1845, quando Napoli ospitò per un solenne congresso i princìpali scienziati d’Europa, Nicola Santangelo li convocò tutti a Pollena per un sontuoso banchetto a 100 coperti”.
Tanti i documenti letterari che riguardano Santangelo, tra cui alcuni epistolari che dimostrano la sua autorevolezza, nonché il potere raggiunto. Tra gli archivi più importanti, c’è quello conservato nel Fondo Delfico dell’Archivio di Stato di Teramo: riguarda Melchiorre Delfico, uno dei più importanti intellettuali dell’Ottocento. L’Archivio conserva trentaquattro lettere inviate da Nicola Santangelo a Delfico. Un rapporto epistolare dal quale emergono non solo notizie di carattere personale, famigliare, politico ma anche la sincera amicizia, la stima e la grande considerazione tra i due.
In una di queste lettere, datata Napoli 22 giugno 1832, si legge: “Mi propongo di sottomettere all’ottimo nostro Sovrano (Ferdinando II) ciò che mi dite circa il progetto di scrivere intorno a’ confini continentali del Regno. Son certo che gradirà la v.ra idea, ed ove me lo permetta, non mancherò di fornirvi quelle notizie e quelle copie di documenti che potrebbero essere utili alla v.ra lodevole intrapresa. Tanto più il consenso del Sovrano mi è necessario, da che ò conosciuto che il Grande Archivio della Zecca non potrebbe fornirvi gli elementi opportuni. Le carte le più importanti, e delle segrete transazioni diplomatiche, per quanto mi si assicura, esistono in un particolare archivio che esiste nel Real Palazzo”. Tale scritto conferma l’intraprendenza e le entrature del Santangelo.
Il 2 aprile successivo, il ministro annuncia al Delfico che, terminata l’elegante copiatura del manoscritto lo ha “fatto ligare con gusto” e lo ha presentato al Sovrano il quale, nel manifestare la propria soddisfazione, come segno di gradimento e di mirabile attestato per le pregevoli qualità personali e intellettuali ha disposto il conferimento della Croce di Commendatore del Real Ordine di Francesco I. Aggiunge: “Vi prego di non comunicar ciò ad alcuno, prima che vi sia uffizialmente comunicato. Siete voi il primo a cui questo grado si conferisca non per carica, ma per merito letterario”.
A Santangelo, infine, si deve anche la fondazione degli “Annali Civili del Regno”.
Forse perché era diventato troppo potente, forse perché si era eccessivamente esposto con la nomina di Melloni, sicuramente Santangelo diventa un personaggio scomodo e per questo il 16 novembre 1847 viene esonerato da Ferdinando II dall’incarico di governo con il medesimo decreto che lo nomina Consigliere di Stato e gli conferisce il titolo di marchese sul cognome.
Muore a Napoli il 29 novembre 1851.
La comunità di Busso, grata per il legame che aveva voluto mantenere con il paese di origine della sua famiglia anche attraverso la costruzione della strada che ancora oggi rimane la principale via di accesso al mondo esterno, gli ha dedicato una delle più belle e spaziose piazze dei paesi molisani.

(su segnalazione di Lucio Sepede)

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