Covid e scuole: non se ne parla mai abbastanza

Sin dall’inizio dell’emergenza Covid, la nostra organizzazione sindacale ha posto un’attenzione particolare sul rapporto tra contagi e mondo della scuola. Individuando in questa connessione un fattore con ricadute importanti sia nell’evoluzione della pandemia – se non altro perché la scuola coinvolge direttamente nove milioni di individui e determina trenta milioni di contatti al giorno – sia nelle conseguenze per l’economia in generale.

Abbiamo più volte denunciato la mancanza di approfondite ricerche sull’incidenza diretta e indiretta della scuola nel numero complessivo dei contagi. Il ministero dell’Istruzione, in particolare, ha effettuato solo parziali rilevamenti ad anno scolastico già abbondantemente avviato. Tuttavia già alcune analisi in autunno hanno posto l’accento su questo pericoloso “intreccio” tra virus e studenti, accentuato dai percorsi tra casa e scuola per i più grandi (tre milioni di loro utilizzano mezzi pubblici) o dallo stazionamento davanti agli istituti scolastici, spesso senza mascherina per fumare, mangiare o bere. A ciò va aggiunto il fatto che la maggior parte degli asintomatici è in quella fascia d’età e che molti giovani portano il virus in famiglia.

Questa accresciuta coscienza sul ruolo dei ragazzi nella inconsapevole diffusione del contagio aveva già trovato conferma all’estero: se durante i primi lockdown, la maggior parte dei Paesi comunitari ha provato a tenere aperte le scuole, nelle ultime settimane persino Regno Unito e Germania hanno di fatto sbarrato la porta degli istituti scolastici, assicurando a tutti gli studenti la didattica a distanza.

L’avvento delle varianti ha accentuato l’attenzione su questo rapporto. L’Istituto superiore di sanità ha pubblicato lo scorso 24 febbraio il “Focus età evolutiva” con una conclusione emblematica: dall’ultima settimana di gennaio l’incidenza settimanale ogni 100mila abitanti dei casi tra zero e 18 anni ha superato quella dei casi trovati tra tutte le persone con più di 20 anni.

Per fortuna le conseguenze del virus sui ragazzi continuano ad essere molto più lievi rispetto agli adulti. Addirittura è asintomatico circa il 70 per cento dei positivi con meno di 20 anni. Ma questo è un problema per le famiglie, dove la possibilità di contagiarsi aumenta.

Un’altra recente indagine è stata effettuata dalla Regione Veneto.

Emerge, da ottobre a gennaio, un’incidenza decisamente alta soprattutto per gli studenti più grandi (medie di 500 casi ogni 100mila abitanti), crollata a gennaio e febbraio grazie alle chiusure delle scuole (in Veneto chiuse fino al 1 febbraio).

Dato ancora più rilevanti in Emilia-Romagna. Il monitoraggio ha registrato 6.080 positivi tra bambini, ragazzi, insegnanti e personale scolastico a febbraio, con un aumento del 68 per cento rispetto all’intero mese di gennaio, quando i casi erano stati 3.614. Tra il 15 e il 28 febbraio l’incidenza dei casi dai 6 ai 18 anni è superiore a 350 ogni 100mila studenti.

In Toscana, secondo gli ultimi dati, i positivi tra gli studenti sono passati da 341 (settimana tra il 4 e il 10 gennaio) a 881 (dal 15 al 21 febbraio), quasi triplicati.

Insomma, pur a malincuore, la chiusura fisica delle scuole e l’attivazione della didattica a distanza è una misura necessaria sia per attenuare la pressione sugli ospedali sia per limitare le criticità al mondo produttivo, perché un’emergenza che si incancrenisce rischia di fare danni irreparabili.

Il nuovo Dpcm prevede meccanismi troppo blandi per chiudere le scuole. Occorre procedere subito perché il caos sanitario potrebbe avere effetti nefasti sulla campagna vaccinale e su una ripartenza che si rimanda troppo nel tempo.

(Domenico Mamone)

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