Nel corso della storia la guerra è stata sempre giustificata come strumento di soluzione dei conflitti alternativo a quello della diplomazia e accettata pure nelle azioni rivoluzionarie miranti all’affermazione dei diritti.
In genere essa viene dichiarata da autocrati o da regimi pseudodemocratici alla ricerca di poteri idolatrici e viene giustificata con un’accesa propaganda demagogica inventandosi talora per nemici popoli che altro non desiderano se non vivere in autonomia e libertà.
Le popolazioni in ogni caso hanno avuto sempre una forte corresponsabilità quando, come ad esempio nell’Italia fascista o nella Germania nazista, hanno sostenuto decisioni folli nelle adunate plateali convocate allo scopo.
Per secoli anche la Chiesa Cattolica ne ha accolto l’idea e l’ha praticata.
Teologi e filosofi cristiani in un particolare contesto storico e per secoli hanno sostenuto perfino, sulla scia del pensiero di Agostino nel “De civitate Dei” o di Tommaso d’Aquino nella “Summa Theologiae”, che esisterebbe una “guerra giusta” dimenticando, ahimè, che Gesù di Nazareth da non violento è finito sulla croce per affermare diritti e liberare l’umanità dal male.
Il patriarca Kirill è giunto a definire santa l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin.
Papa Francesco ha tratto le conclusioni delle riflessioni compiute al riguardo dal magistero romano a partire già dai documenti del Concilio Vaticano II e nel gennaio del 2017 per la giornata mondiale della pace ha asserito che una politica per la costruzione della convivenza pacifica tra i popoli che voglia essere coerente con il Vangelo non può che fondarsi sulla non violenza attiva confermando poi tale assunto nell’enciclica “Fratelli tutti” del 2020 in particolare nei paragrafi 256 e 262 nei quali viene dichiarata inammissibile non solo la guerra ma anche la pena di morte.
Oggi l’informazione punta i fari unicamente su Ucraina e Medioriente dimenticando che siamo martoriati da 169 guerre e circa 300 micro conflitti armati locali soprattutto in Africa, Asia e America Latina alcuni dei quali si combattono per il controllo e il possesso dell’acqua.
Con i tanti innovativi sistemi tecnologici e nuove armi a disposizione la guerra non ha più un carattere territoriale, ma rischia di coinvolgere sempre più Stati se non l’intero Pianeta talora con improvvise azioni terroristiche, quali quelle delle Torri Gemelle l’undici settembre 2001 o dello scorso sette ottobre in Israele, minacciando oltretutto il rischio di uso dell’arma nucleare.
Talora si provocano guerre perfino per smaltire i vecchi arsenali e rinnovarli con nuovi tank, aerei come gli F-35 o il Tempest messo in cantiere per il 2035, droni, bombe a grappolo e armi chimiche, proibite ma comunque usate, lanciamissili, sensori a infrarossi e sistemi satellitari per annullare con l’hackeraggio militare tutti i sistemi informatici.
Secondo le stime del SIPRI di Stoccolma le spese militari del mondo nel 2022 hanno raggiunto la somma record di 2.240 miliardi di dollari complessivi crescendo di ben 127 miliardi ovvero del 3,7% rispetto all’anno precedente.
Nel rapporto Arming Europe, realizzato dall’organizzazione non governativa Greenpeace, al vertice della classifica per il riarmo troviamo gli Stati Uniti d’America e la Cina, ma anche gli Stati europei della Nato avrebbero avuto nel 2023 una spesa di 64,6 miliardi di euro con un aumento pari al 270% in un decennio.
I dati relativi al 2023 ci dicono che in Italia la spesa militare per i nuovi sistemi è passata da 2,5 a 5,9 miliardi di euro pari a 1,68% del PIL mentre nella bilancia commerciale la vendita di armi, anche a Paesi che negano i diritti umani, ha raggiunto i 5,3 miliardi di euro attraverso Leonardo, Iveco Defence Vehicles e Mbda Italia, aziende sempre sostenute da tutti i governi in carica.
Il dato che una guerra può arrivare a costare dieci miliardi al mese, come nel caso dell’Ucraina, dovrebbe indurci a qualche riflessione pensando che quella somma viene tolta a servizi essenziali per la collettività.
Dunque, mentre le spese militari e le esportazioni delle armi salgono nelle proporzioni descritte rendendoci talora complici di tanti regimi repressivi nei quali andiamo tranquillamente anche ad organizzare manifestazioni sportive perché “pecunia non olet” (il denaro non puzza), nell’Unione Europea diciamo di non avere fondi sufficienti per investimenti nell’ambiente, nella sanità e nell’istruzione, settori nei quali sicuramente si avrebbe maggiore occupazione e sviluppo economico e sociale.
Rispetto a tale situazione non è assolutamente sufficiente gridare la propria rabbia.
Io penso che l’attuale sistema borsistico abbia molti aspetti lontani da principi etici accettabili, ma, in attesa di radicali cambiamenti gestionali, occorre comunque educare i risparmiatori verso investimenti responsabili indirizzati ad aziende che operano per lo sviluppo e la convivenza pacifica tra i popoli.
Un esempio in tale direzione ci viene dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, di proprietà del Vaticano, che ha rinunciato a un milione e mezzo di euro offerti da Leonardo S.P.A., azienda italiana attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza.
L’offerta è stata giudicata “inopportuna” proprio in un momento in cui la guerra, pure respinta da tante Carte Costituzionali come mezzo di soluzione di controversie, sembra diventare abitudine nelle relazioni internazionali creando addirittura indifferenza perfino di fronte a genocidi che non si ha il coraggio di condannare apertamente unicamente per difendere interessi economici con i Paesi aguzzini.
Ho personalmente accolto con ammirazione una tale decisione che non poteva essere diversa di fronte a quanto ripete papa Francesco sulla guerra e sugli scenari che si affacciano minacciosi sul futuro dell’intera umanità.
“Come è possibile questo? – si chiede il papa riferendosi ai teatri di conflitto armato– È possibile perché dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi che sembra essere tanto importante.”
Alla Chiesa rimane ancora un passo, quello dell’eliminazione dei cappellani militari, figura discutibile e ambigua già per un profeta come don Lorenzo Milani.
La guerra non ha consolidato certo nel corso della storia la libertà, l’eguaglianza e la democrazia; ha fornito al contrario opportunità di potere, espansioni territoriali, accesso privilegiato a materie prime, discriminazioni e catastrofi umanitarie.
Nel suo saggio “21 lezioni per il XXI secolo” Yuval Noah Harari scrive che la bomba atomica ha trasformato un nuovo eventuale conflitto mondiale in un suicidio collettivo e dunque “Non dovremmo mai sottostimare la stupidità umana. Sia a livello personale che collettivo, gli uomini sono tendenzialmente portati a gettarsi in imprese autodistruttive”.
È verissimo soprattutto quando la follia umana asservisce la scienza e la tecnologia alla produzione di armi sempre più sofisticate e distruttive invece di fare del sapere un uso razionale e perciò indirizzato al bene collettivo.
Se osserviamo con attenzione l’orizzonte geopolitico, non può sfuggirci che in Ucraina, Medioriente, Myanmar, Taiwan, Haiti, Guayana Esequiba o nei tanti conflitti africani si sta combattendo o si rischia presto di combattere per loschi interessi economici e una ridefinizione del potere a livello mondiale tra le grandi potenze.
L’Unione Europea sa o dovrebbe sapere che nei suoi confronti è in atto un forte tentativo di destabilizzazione che viene condotto a più livelli da quello politico e finanziario ad altri di tipo commerciale o migratorio.
La sua nascita, ma soprattutto il suo percorso evolutivo privo di reale autonomia politica all’interno di un sistema multipolare già esistente, ha determinato serie difficoltà a partire dalla Brexit, dalla crisi greca, dai problemi creati al suo interno da talune cosiddette democrazie illiberali fino alle ipocrisie e ai doppi standard di affermazioni e comportamenti sulle violazioni dei diritti umani, sul fenomeno migratorio e sulle aree di crisi in atto nella stessa Europa e nel mondo a seconda degli interessi economici da difendere.
L’Unione Europea deve darsi una sua coerenza sul rispetto dei diritti e delle regole democratiche in tutti i Paesi aderenti, ma soprattutto un’indipendenza politica a livello mondiale che non possono derivare se non da un progetto politico internazionalista aperto dove non sia riconosciuto il potere autocratico di alcune grandi potenze ma la pari dignità di tutti gli Stati e i popoli.
Solo in tale prospettiva essa può avere un ruolo decisivo nella creazione di una società migliore di quella in cui viviamo.
La fase storica attuale, che vede nuove figure minacciose di autocrati e tantissimi popoli votati e purtroppo abbandonati al genocidio, deve interrogare la nostra responsabilità di cittadini che non può limitarsi a un impegno generico per una pace vaga e indefinita, ma trovare le strade per delineare una governance degli assetti internazionali e una società che dia giustizia sociale, dignità, diritti e coesistenza pacifica ai popoli in un ecosistema liberato dai danni che stiamo producendo da secoli.
Rifiutare la violenza non basta; occorre altresì definire proposte realistiche rispetto agli avvenimenti che abbiamo negli attuali scenari di guerra.
Provo allora ad avanzare qualche idea in merito.
Possiamo anche criticarne gli errori, ma è fuori discussione la necessità di rafforzare tutte le istituzioni internazionali a difesa dei diritti umani.
Poiché abbiamo un Consiglio di Sicurezza dell’ONU bloccato dai veti e in attesa delle riforme del caso, occorre, secondo gli stessi articoli 10 e 12 della Carta, che l’Assemblea possa surrogarlo in decisioni urgenti come sarebbero oggi quelle da prendere per l’invio di Caschi Blu come forza d’interposizione in conflitti dove, richiesto il cessate il fuoco, si riesca a impedire l’unica logica prevalente che è quella della violenza scatenata tra l’altro indiscriminatamente anche contro i civili.
È una soluzione da assumere con urgenza viste le violazioni delle stesse norme di guerra e i tanti genocidi spesso anche dimenticati che si stanno perpetrando nel mondo mentre su uno dei quali la stessa Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja di fronte a una richiesta del Sudafrica non intima a Israele d’interrompere i combattimenti, ma si limita a esortare di evitare un genocidio a Gaza.
Abbiamo poi il problema della produzione delle armi rispetto al quale non sono più sufficienti i proclami essendo sempre più necessaria quella che padre Alex Zanotelli chiama la disobbedienza civile rispetto a un settore industriale che costituisce il mezzo della diffusione del veleno della guerra.
Qualsiasi produzione di beni non può essere scissa dal vincolo di riferimento ad una sua positiva utilità che deve sempre salvaguardare la dignità della persona e il bene della comunità mondiale.
Già avviene con i droni, ma proviamo a immaginare l’autonomia delle armi con l’intelligenza artificiale.
L’essere umano finirà forse per non sentire più neppure la responsabilità di massacri che non comanderà direttamente.
Non è facile rompere gli schemi mentali di chi ci chiederà cosa fare di fronte al riarmo degli altri.
La risposta è semplice.
Non dovremo consentirlo politicamente con i sistemi e le istituzioni internazionali adeguate al caso.
Ci sono persone davvero grandi come Gesù di Nazareth, Ghandi, Luther King e tanti altri che hanno definito e percorso la strada della difesa popolare non violenza e dell’umanizzazione della coesistenza dei popoli.
È questo che bisogna indicare e pretendere da tutti i despoti o i terroristi che non vogliono convivere o dare una terra ad altre etnie, ma solo distruggerle perpetrando massacri.
Non mi convincerà mai il paradigma che l’unica via per difendersi debba essere quella di armarsi perché conduce solo a sciagure.
L’unico diritto che non possiamo consentirci sulla guerra è il silenzio perché sarebbe complicità.
Stare in piazza a difendere gli oppressi e i perseguitati è un dovere, ma ancora più importante è lavorare all’elaborazione di nuove strategie per la difesa popolare non violenta non nella sua genericità ma rispetto alle situazioni esistenti.
Rimane ancora ciò che in tale direzione possono fare la scuola che non ha mai dedicato grandi spazi alla cultura della pace e l’informazione che non è più capace di guardare e porre in primo piano valori, eventi e persone che indicano il vero senso della vita mentre, rincorrendo il pensiero guerrafondaio, talora riesce a confondere assediati con assedianti o a pensare a guerre che abbiano una proporzionalità rispetto alle azioni della controparte.
Non si riesce ancora a capire che la guerra è un male assoluto e come tale va cancellato dalla storia per non rimanere, citando Salvatore Quasimodo, ancora quelli “della pietra e della fionda”.
(Umberto Berardo)