Siamo 60 milioni, grazie agli immigrati



ROMA – L’Italia supera la soglia dei sessanta milioni di abitanti. Grazie principalmente ai movimenti migratori dall’estero. Lo evidenzia l’Istat che rende note le stime dei principali indicatori demografici. Sono dunque occorsi esattamente cinquant’anni anni (dal 1959) per il passaggio della popolazione da 50 a 60 milioni. Soltanto 33, invece, ne occorsero per il passaggio da 40 a 50 milioni, realizzatosi nel periodo 1926-1959,
La stima per le nascite nel 2008 è pari a 576 mila unità (12 mila in più rispetto al 2007), a fronte di 580 mila decessi, primato dal secondo dopoguerra (in realtà nel 2003 se ne registrarono 586 mila ma per via delle “memorabili” condizioni meteorologiche estive).
Per quanto concerne le nascite, il fenomeno è da ricondurre principalmente a due fattori. Da un lato si assiste al recupero di natalità delle madri di cittadinanza italiana, conseguenti allo spostamento in avanti del calendario riproduttivo ben oltre l’età media dei trenta anni, dall’altro si fa sempre più importante il contributo alla natalità delle madri di cittadinanza straniera. Si stima, infatti, che nel 2008 circa 88 mila nascite pari al 15,3% del totale sia avvenuto per merito di madri straniere (29 mila nel 1999, pari al 5,4%), di cui il 3,4% con partner italiano e il restante 11,9% con partner straniero.
L’aumento dei decessi si inquadra nella logica del processo di invecchiamento della popolazione: maggiore è la quota di individui che anno dopo anno raggiungono le fasi estreme dell’esistenza maggiore sarà in valore assoluto l’ammontare dei decessi.
A livello territoriale la dinamica naturale si presenta differenziata. Le regioni del Nord e del Centro sono caratterizzate da un saldo naturale negativo, rispettivamente -0,4 e -0,5 per mille abitanti, quelle del Mezzogiorno da un saldo naturale positivo pari a +0,7 per mille. Le regioni del Mezzogiorno mantengono, dunque, il ruolo di serbatoio naturale del Paese ma perdono il primato della natalità che va a vantaggio delle regioni del Nord e, in particolare, del Nord-est (9,8 per mille) dove, rispetto agli anni scorsi, più forte è stato il recupero di natalità delle donne italiane e più alta è l’incidenza delle nascite da madre straniera (oltre 1 su 5). Riguardo alla mortalità si confermano livelli più alti nelle aree del Paese a più forte invecchiamento, vale a dire nel Nord e nel Centro (rispettivamente 10,1 e 10,2 per mille), e più bassi nel Mezzogiorno (8,9 per mille) la cui popolazione risulta ancora avvantaggiata da una struttura per età relativamente più giovane.
Ci sono però situazioni in controtendenza. La più clamorosa è in Molise dove si registra un saldo naturale negativo di 3,5, seguito da Abruzzo con 1,4, Basilicata con 1,3 e Sardegna con 0,4.
Il peso dell’immigrazione è dunque determinante. Per il 2008 la stima del saldo migratorio è pari a 438 mila unità in più dall’inizio dell’anno, per un tasso migratorio pari al 7,3 per mille (rispettivamente 495 mila e 8,3 per mille nel 2007). Questa quota comprende tre diverse voci: il tasso migratorio con l’estero (7,7 per mille), il tasso migratorio per altri motivi (0,6 per mille) ed il tasso migratorio interno (0,2 per mille). A fronte di circa 76 mila cancellazioni per l’estero si contrappongono ben 537 mila iscrizioni (497mila stranieri e 40mila italiani che rientrano in patria), con un saldo di 461 mila. Per quanto riguarda le cancellazioni, invece, la distribuzione si compone di 24 mila cancellati di cittadinanza straniera a fronte di 52 mila cancellati di cittadinanza italiana.
La capacità attrattiva del Paese si conferma in tutte le regioni. Le differenze territoriali sono dovute alla maggiore forza di richiamo esercitata dalle regioni del Centro-nord, dove si presentano maggiori opportunità di lavoro e integrazione: in queste due ripartizioni il saldo migratorio con l’estero è, rispettivamente, pari al 10,8 e al 9,4 per mille contro il 3,7 per mille del Mezzogiorno. Tra le regioni i valori massimi si riscontrano in Umbria (12,7 per mille), Emilia-Romagna (12,1) e Lazio (10,9), quelli minimi, ma comunque positivi, in Puglia (2,8), Basilicata (3,0) e Sardegna (3,0).
Le stime della mobilità interna al territorio nazionale per il 2008 non evidenziano sostanziali novità rispetto al quadro già conosciuto. Le regioni del Nord e del Centro, con tassi rispettivamente pari a 2,0 e 1,2 per mille, rimangono meta preferita dei residenti del Mezzogiorno, dove si registra un saldo negativo del -2,7 per mille. Sotto questo profilo, mostrano un’elevata capacità attrattiva l’Emilia-Romagna (4,6 per mille), le Marche (3,0 per mille), la Valle d’Aosta e l’Umbria (2,6 per mille per entrambe), mentre Campania (-4,3 per mille), Basilicata (-4,0 per mille) e Calabria (-3,9 per mille) risultano, tra le regioni del Mezzogiorno, quelle con il maggior saldo negativo.
L’incremento demografico
Per prevalente effetto dei saldi migratori la crescita totale è positiva soprattutto nelle regioni del Nord-est (Emilia-Romagna +14,7 per mille, Veneto +11,7 per mille, Trentino-Alto Adige +11,7 per mille) e del Centro (Umbria +12,7 per mille, Marche +11,7 per mille, Lazio +11 per mille). Più contenuta, ma superiore alla media nazionale (7,3 per mille) è invece la crescita totale per le regioni del Nord-ovest, con in primis la Lombardia (10 per mille). Nelle regioni del Mezzogiorno la crescita totale è inferiore alla media nazionale (Abruzzo escluso, 8 per mille) e assume segno negativo per Molise (-0,3 per mille) e Basilicata (-1,5 per mille).
Secondo le stime, gli stranieri residenti in Italia ammontano a circa 3 milioni 900 mila al 1° gennaio 2009, facendo così registrare un incremento di 462 mila unità (per un saldo totale pari al 12,6%) rispetto al 1° gennaio 2008. La popolazione residente straniera costituisce il 6,5% del totale (5,8% nel 2007). Le cittadinanze straniere maggiormente rappresentate sono quella rumena (772 mila), albanese (438 mila) e marocchina (401 mila) che, cumulate, costituiscono il 40% delle presenze.
La distribuzione degli stranieri sul territorio nazionale è nettamente più elevata nelle regioni del Nord dove risiede il 62% degli stranieri (23% nella sola Lombardia), contro il 25% di residenti del Centro e il 12% del Mezzogiorno. La composizione per età
Al 1° gennaio 2009 gli individui con 65 anni e oltre rappresentano il 20,1% della popolazione (erano il 17,8% nel 1999), mentre i minorenni sono soltanto il 17% (17,6% nel 1999). I giovani fino a 14 anni sono il 14% (14,4% nel 1999), la popolazione in età attiva, 15-64 anni, è pari a meno dei due terzi del totale (67,8% nel 1999). I residenti hanno in media 43,1 anni, circa due in più rispetto a dieci anni prima.
Fino all’età di 44 anni il numero degli uomini sopravanza quello delle donne. Dall’età di 45 anni fino al top della piramide le donne sopravanzano gli uomini e, come conseguenza dei più alti livelli di sopravvivenza femminile nel corso degli ultimi 100 anni, il rapporto tra i sessi aumenta progressivamente da 1,2 all’età di 73 anni fino a 3,2 all’età di 95 anni. Ben visibili sono le generazioni nate a metà degli anni ’60 (baby boomers) che anno dopo anno vanno a collocarsi tra le bande più anziane del segmento di popolazione in età attiva. Ancora più in basso, la piramide mostra una marcata inflessione come conseguenza dei più bassi regimi di fecondità intercorsi tra la metà degli anni ’70 e la metà degli anni ’90 e che oggi caratterizzano le generazioni (baby busters) nella fascia 15-34 anni.
Le regioni del Mezzogiorno conservano ancora il vantaggio di una popolazione meno invecchiata rispetto al resto del Paese, con in testa la Campania, unica regione peraltro rimasta con un’età media inferiore ai 40 anni e un rapporto anziani su giovani inferiore all’unità. Sul versante opposto si conferma la Liguria, nella quale risiede il maggior numero di anziani ultrasessantaquattrenni in rapporto al totale (26,8%) e dove il rapporto anziani su giovani è superiore a due.
Nelle regioni del Nord, la presenza degli immigrati riequilibra leggermente la struttura per età della popolazione in favore delle classi di età giovanili e adulte. Gli stranieri residenti in Italia hanno infatti un’età media di soli 31,2 anni. Ma nelle regioni del Nord, probabilmente per via di un mercato del lavoro che funge da stimolo a un maggiore ricambio generazionale, gli stranieri hanno un profilo per età ancora più giovane. Nel Nord l’età media degli stranieri è pari a 30,5 anni contro i 32,2 del Centro e i 32,8 del Mezzogiorno. Si ha, cioè, un quadro dell’invecchiamento inverso rispetto a quello della popolazione in generale, e un universo della popolazione straniera sempre più “tappabuchi” dei vuoti generazionali lasciati dagli italiani.
L’allungarsi della vita media
L’invecchiamento della popolazione è da attribuire all’eccezionale longevità degli italiani. Anche nel 2008 la popolazione ha beneficiato di ulteriori progressi di sopravvivenza. La stima della speranza di vita alla nascita è pari a 78,8 anni per gli uomini e a 84,1 anni per le donne. Rispetto al 2006, ultimo dato osservato, la crescita è di 0,4 e 0,1 anni, rispettivamente per uomini e donne. Continua così ad assottigliarsi la differenza tra i generi: da 6,9 anni nel 1979, anno di massimo storico, si è ridotta a 5,3 nel 2008. Il rallentamento della crescita di sopravvivenza tra le donne appare sensibile negli ultimi anni. Dal 2004 al 2008 guadagnano, infatti, solo 0,4 anni in più, contro 0,9 anni degli uomini.
A livello territoriale, le regioni più longeve nel 2008 sono, per gli uomini, le Marche (79,6 anni), la Provincia autonoma di Trento (79,4) e la Toscana (79,4); per le donne, la Provincia autonoma di Bolzano (85,2 anni), le Marche (85,1) e l’Abruzzo-Molise (84,8).
Su livelli minimi si trova, sia per gli uomini sia per le donne, la Campania (rispettivamente 77,4 e 82,8 anni). Il comportamento riproduttivo
Nel 2008 il numero medio di figli per donna (TFT) è stimato a 1,41. Il dato conferma che nel Paese è in atto una ripresa della fecondità che ha preso avvio dopo il 1995, anno in cui, con appena 1,19 figli per donna, si è registrato il minimo storico nazionale. Benché si sia ancora molto lontani dall’obiettivo del livello di sostituzione delle coppie (2,1 figli), lo scavalcamento della soglia 1,4 figli è tuttavia significativo, considerando che sono trascorsi 23 anni dall’ultima volta che tale evento si è verificato (1,45 nel 1985).
La ripresa della fecondità si lega a due importanti fattori. Il primo è il fenomeno della posticipazione dell’esperienza riproduttiva verso età sempre più avanzate. Nel 2008 l’età media al parto delle donne italiane è stimata in 31,5 anni, solo un gradino più in su di quella osservata nel 2006 (31,4) ma 1,7 anni in più rispetto al 1995 (29,8). Tale fenomeno sta determinando in questi ultimi anni un processo di recupero soprattutto da parte delle generazioni di donne italiane nate tra la seconda metà degli anni ’60 e i primi anni ’70. Nel 2008, infatti, il numero medio di figli per donna stimato per le sole donne italiane è pari a 1,33, contro l’1,26 osservato nel 2006.
Il secondo importante fattore di ripresa della fecondità è determinato dal contributo delle donne straniere. Si stima che nel 2008 quest’ultime abbiano avuto una fecondità pari a 2,12 figli per donna (2,50 nel 2006). La ragione di ciò risiede nel fatto che le donne straniere hanno un calendario della fecondità decisamente più anticipato rispetto alle italiane: l’età media al parto è infatti stimata sui 28,4 anni (27,6 anni nel 2006).
Ai primi posti nella graduatoria per maggiore propensione ad avere figli si trovano, nel 2008, sia regioni tradizionalmente prolifiche, come il Trentino-Alto Adige (1,59 figli per donna), la Campania (1,45) e la Sicilia (1,42), sia regioni che avevano raggiunto a metà degli anni ’90 un livello di fecondità estremamente basso, al livello di un figlio per donna, come la Lombardia (1,49), l’Emilia-Romagna (1,45) e il Veneto (1,45). In quest’ultime regioni, peraltro, è più forte il contributo specifico offerto alla fecondità da parte delle donne straniere. Ben il 19% per l’Emilia-Romagna, il 17% per il Veneto, il 16% per la Lombardia.

(G.C.)

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